«Guai agli spensierati
di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria!»
(Am 6,1.4-7)
«Tu, uomo di Dio,
evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla
carità, alla pazienza, alla mitezza.» (1Tm 6,11-16)
«C’era un uomo ricco,
che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a
lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di
piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano
i cani che venivano a leccare le sue piaghe … » (Lc 16, 19-31)
La Parola di Dio di domenica scorsa ci invitava a farci
furbi, ad usare saggiamente della ricchezza, per farci degli amici tra coloro che sono “potenti”
dinanzi a Dio: i poveri. Questa domenica, XXVI del Tempo Ordinario, ci mostra
un esempio di chi non è stato capace di agire così.
Credo sia importante chiarire
subito che la parabola non intende invitarci alla rassegnazione nei riguardi
della indigenza sperando in un “al di
là” in cui le cose saranno diverse. La parabola, infatti, non è rivolta ai poveri perché si rassegnino,
ma ai ricchi: Gesù parla in prima istanza ai Farisei amanti del denaro (v. 14). “Ricchezza” e “povertà”, inoltre, non
vanno intese solo in modo materiale come abbondanza o mancanza di beni; sono
principalmente atteggiamenti del cuore: essere attaccati, accecati, dai beni
(molti o pochi) che si possiedono o confidare in Dio ponendo in lui la nostra
fiducia. Si può essere “ricchi” anche possedendo pochissimo, se a quel poco che
possediamo attacchiamo il cuore convinti che da esso dipenda la salvezza della
nostra vita. Conseguenza immediata, infatti, è che, non siamo capaci di
condividere ciò che abbiamo con i fratelli.
Per S. Francesco d’Assisi questa condivisione è un atto di
giustizia senza la quale non può esserci pace con Dio e con i fratelli; è un
“restituire” a Dio i suoi doni. Nella Legenda dei tre compagni leggiamo che una
volta «disse a se stesso: “Tu sei generoso e cortese verso persone da cui non
ricevi niente, se non una effimera vuota simpatia; ebbene, è giusto che sia
altrettanto generoso e gentile con i poveri, per amore di Dio, che ricambia
tanto largamente”. Da quel giorno incontrava volentieri i poveri e distribuiva
loro elemosine in abbondanza». Per Francesco comportarsi diversamente equivale
a rubare al povero ciò che è suo perché ne ha bisogno.
C’era un uomo ricco
… Il protagonista della parabola odierna, non è il povero Lazzaro (il cui nome,
non a caso, significa “Dio aiuta”), ma il ricco senza nome di cui sappiamo
soltanto che banchettava lautamente e vestiva in modo regale. È significativo
il fatto che del ricco neanche si sappia il nome: mentre il povero Lazzaro è
conosciuto e amato da Dio in cui pone tutta la sua fiducia, il ricco si è
sottratto a questo amore accecato dai suoi beni. Il dramma di
quest’uomo non è quello di avere ricchezze materiali, ma quello di
essersi fatto accecare da esse tanto da non vedere il bisogno del fratello
davanti la sua porta. Peggio ancora, il dramma è nell’avere chiuso il cuore al
bisogno del fratello e quindi, direbbe san Giovanni, nell’avere chiuso il
cuore all’amore di Dio (Cfr. IGv 3,17). Ecco il pericolo della ricchezza:
illudersi che possa darci la vita, che possa spegnere la “sete di Vita” che
ogni uomo sente in se.
La fine di questa vita terrena, però, mette in luce
l’inganno: il povero, che ha confidato in Dio, è accolto in paradiso, “nel seno
di Abramo”; il ricco è sepolto. Sperimentano entrambi la sorte che si sono
scelti: il povero Lazzaro che confidava in Dio, ora gode di Dio in maniera
piena; il ricco che confidava nelle cose, nel cibo e nei vestiti, segue la
sorte di questi ultimi: finisce nella terra a disfarsi.
Aprendo uno spiraglio sull’Eternità, la seconda scena della
parabola mostra che Lazzaro, il quale confidava nell’aiuto di Dio, vede ora
appagata la sua “sete di Vita”; il ricco che pensava di appagare la sua
sete, sperimenta ora una “fiamma brucante”: una sete inestinguibile che le cose
non sono state capaci di placare e che ora lo divora per l’eternità.
“Hanno Mosè e i
profeti, ascoltino loro” La terza scena della parabola, infine, costituisce
un ammonimento ad ascoltare la Parola. L’ascolto che viene chiesto è un
“ascolto obbediente”. Il ricco e i suoi fratelli conoscono la Parola,
probabilmente partecipano pure alle liturgie, ma questo non cambia la loro
vita.
Non sia così per noi. Lasciamo che la Parola ci metta in
crisi e cambiamo la nostra vita per potere godere di quella pienezza di Vita
che solo Gesù può donarci.
Fr. Marco
Nessun commento:
Posta un commento