«A stento immaginiamo
le cose della terra … ma chi ha investigato le cose del cielo?» (Sap 9,
13-18)
«… perché tu lo
riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come
fratello carissimo» (Fm 1, 9-10.12-17)
«Se uno viene a me e
non mi ama più di quanto ami suo padre, la moglie, i figli, i fratelli, le
sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.» (Lc 14,
25-33)
La Parola di Dio della XXIII Domenica del Tempo Ordinario ci
pone una questione sapienziale: «Quale
uomo può conoscere il volere di Dio?». Si tratta di una questione
fondamentale, di avere quella Sapienza
che da sapore alla nostra vita
(sapienza e sapore hanno la stessa radice nel latino sàpere: “aver sapore”). Dal conoscere e fare la volontà di Dio, infatti,
dipende la realizzazione o il fallimento della nostra vita. Viviamo veramente
quando sappiamo e facciamo la volontà
di Dio. Senza questa Sapienza, quindi, la nostra vita risulta insipida, vuota, una vita in cui
“tiriamo a campare”. Ecco perché è importane cercare di conoscere il volere di
Dio.
Purtroppo, tuttavia, facciamo continuamente esperienza della
nostra inadeguatezza: a stento riusciamo a conoscere le cose a noi vicine;
spesso non conosciamo pienamente neanche noi stessi, tanto da restare sorpresi
da alcune nostre reazioni e da non riuscire a dominarci pienamente.
Il Padre stesso, però, ci viene incontro donandoci la Sua
Sapienza. Nell’antico patto ha donato la Legge; nella pienezza dei tempi ci ha
donato se stesso nel Figlio e nello Spirito perché l’Amore, riversato nei
nostri cuori, ci abilitasse a vivere la legge. Noi conosciamo il volere di Dio:
«Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,
23); «Amerai il Signore Dio tuo con
tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con
tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27).
Purtroppo, però, anche conoscendo il volere di Dio, non
sempre viviamo con sapienza, non sempre sappiamo ordinare i valori nella giusta
gerarchia: difficilmente rinneghiamo noi stessi per mettere Dio al primo posto.
Con difficoltà rinunciamo a tutti i nostri averi (rinunciamo a
possedere e a “possederci”) per camminare dietro il Maestro. Troppo
spesso confondiamo le cose importanti con le cose “urgenti”: sappiamo che è
importante l’Eucarestia domenicale, ma poi veniamo bloccati da mille cose che
ci impediscono l’incontro con il nostro Signore; sappiamo che è importante
pregare e meditare la Parola di Dio, ma le “urgenze” di ogni giorno fanno sì
che non troviamo tempo da dedicare al Signore; sappiamo che Gesù ci chiede di
perdonare “settanta volte sette”, ma spesso l’amor proprio (magari camuffato da
“amore di giustizia”) ci impedisce di obbedire al nostro Signore.
Colui che non porta la
propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Gesù
oggi ci ricorda che la vita cristiana, la vita da discepoli, è una vita
impegnativa e va presa seriamente. Siamo chiamati a camminare dietro a Lui
facendo della nostra vita un dono d’amore: questo significa prendere la croce.
Non è raro, purtroppo, che il nostro modo di vivere la fede ci
renda simili a quel tale che ha iniziato a costruire una torre, ma l’ha
lasciata incompiuta. Una vita cristiana vissuta con superficialità è una vita
che dà scandalo: noi non gustiamo la bellezza della vita e chi ci osserva non è
attratto alla sequela (quante volte sentiamo il commento: «Se questi sono
quelli che vanno in Chiesa … »)
Accogliamo l’invito del Maestro: prendiamo seriamente l’impegno della sequela e
viviamo la vita con sapienza. La nostra vita sarà più bella, più "saporita",
vivremo pienamente.
Fr. Marco
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