«Molti sono gli uomini
orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la
potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato.» (Sir 3,19-21.30-31)
«… Voi invece vi
siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme
celeste e a migliaia di angeli» (Eb 12,18-19.22-24)
«Quando sei invitato
a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro
invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti:
“Cèdigli il posto!”. … Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia
sarà esaltato» (Lc 14,1.7-14)
La Parola di Dio della XXII domenica del Tempo Ordinario ci
richiama al valore dell’umiltà. Fin dalla prima lettura, tratta dal libro
sapienziale del Siracide, ascoltiamo: «Quanto
più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore.»
Ecco, quindi, il primo motivo per cui l’Umiltà è preziosa: per trovare grazia dinanzi
al Signore.
Nel Vangelo ascoltiamo che il Maestro approfitta del
banchetto in cui è invitato per insegnare attraverso parabole ispirate da ciò
che accadeva attorno a lui: gente che sceglie i primi posti e che sgomita per
mettersi avanti agli altri. Un atteggiamento prepotente che presto troverà
umiliazione e discredito da parte del padrone di casa.
«Chiunque si esalta
sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». L’umiltà è la strada per
giungere alla vera gloria, quella che dà il Padre nel Regno. Cosa significa
però essere umile? Potremmo rispondere: parlare poco di sé e mai per vantarsi; confessare
le proprie colpe (dinanzi a Dio e dinanzi ai fratelli); non essere vanitosi;
essere disposti ad ascoltare … Sono tutte forme in cui si manifesta l’umiltà,
eppure non vanno alla radice. Può accadere anche che la nostra umiltà sia
falsa: siamo disposti a dire male di noi, purché gli altri ci contraddicano.
Guai se chi ci ascolta denigrarci mostra di essere d’accordo con noi!
«Imparate da me che
sono mite ed umile di cuore». Il versetto alleluiatico, introducendoci al
Vangelo, ci riporta le parole con cui Gesù addita se stesso a modello di
umiltà. Quale è stato il modo in cui Gesù è stato umile? Non una “umiltà delle
parole”, ma l’umiltà dei fatti: «pur
essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con
Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo
simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi
obbediente fino alla morte e alla morte di croce.» (Fil 2,6-8). Gesù è stato
umile perché ha scelto per sé l’ultimo posto, si è abbassato concretamente a
lavare i piedi ai suoi discepoli, ha donato la vita per noi. Per questo
Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro
nome (Fil 2,9).
Ecco l’umiltà che oggi Gesù ci addita nell’immagine del
banchetto: scegliere l’ultimo posto, abbassarsi per servire. Questo significa
imparare da Gesù mite ed umile. Questo significa comportarsi come Gesù si è
comportato.
L’umiltà, inoltre, ci aiuta a fare verità su noi stessi: non
meritiamo l’amore gratuito di Dio. Siamo amati gratuitamente. Ecco che
scopriamo allora il rapporto tra la prima e la seconda parte del vangelo: « … quando offri un banchetto, invita
poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.»
Se umilmente abbiamo riconosciuto di essere amati gratuitamente da Dio, allora
anche noi siamo chiamati alla gratuità, a fare del bene a chi, come noi, non lo
merita.
Solo se vivremo questa umiltà che ci rende simili al Figlio amato, potremo
entrare al banchetto del Regno perché saremo riconosciuti come Suoi discepoli e
figli di Dio.
«Per la misera condizione
del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male.»
La prima lettura di oggi, inoltre, ci mette in guardia dal pericolo della superbia,
atteggiamento opposto all’umiltà. Se con l’umiltà, infatti, imitiamo il
comportamento stesso di Dio che continuamente si abbassa fino a noi per amore,
con la superbia, invece, volendo esaltare noi stessi, ci allontaniamo da Dio e
ci comportiamo come Lucifero.
Prima di concludere vorrei riproporvi le “tre parole” che
Papa Francesco ci ha proposto fin dai primi tempi del suo pontificato:
permesso, scusa e grazie. Mi sembrano tre comportamenti concreti che ci aiutano
a vivere l’umiltà: chiedere permesso, cioè accostarsi all’altro con delicatezza
e non con l’arroganza ci chi pensa di avere sempre ogni diritto sull’altro; chiedere
scusa, cioè riconoscere umilmente che anche noi sbagliamo; ringraziare sempre
per ciò che riceviamo senza la presunzione che tutto ci sia dovuto.
Fr. Marco
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