venerdì 30 agosto 2019

Imparate da me che sono mite ed umile di cuore

«Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato.» (Sir 3,19-21.30-31)

«… Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli» (Eb 12,18-19.22-24)

​«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. … Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,1.7-14)

La Parola di Dio della XXII domenica del Tempo Ordinario ci richiama al valore dell’umiltà. Fin dalla prima lettura, tratta dal libro sapienziale del Siracide, ascoltiamo: «Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore.» Ecco, quindi, il primo motivo per cui l’Umiltà è preziosa: per trovare grazia dinanzi al Signore.
Nel Vangelo ascoltiamo che il Maestro approfitta del banchetto in cui è invitato per insegnare attraverso parabole ispirate da ciò che accadeva attorno a lui: gente che sceglie i primi posti e che sgomita per mettersi avanti agli altri. Un atteggiamento prepotente che presto troverà umiliazione e discredito da parte del padrone di casa.
«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». L’umiltà è la strada per giungere alla vera gloria, quella che dà il Padre nel Regno. Cosa significa però essere umile? Potremmo rispondere: parlare poco di sé e mai per vantarsi; confessare le proprie colpe (dinanzi a Dio e dinanzi ai fratelli); non essere vanitosi; essere disposti ad ascoltare … Sono tutte forme in cui si manifesta l’umiltà, eppure non vanno alla radice. Può accadere anche che la nostra umiltà sia falsa: siamo disposti a dire male di noi, purché gli altri ci contraddicano. Guai se chi ci ascolta denigrarci mostra di essere d’accordo con noi!
«Imparate da me che sono mite ed umile di cuore». Il versetto alleluiatico, introducendoci al Vangelo, ci riporta le parole con cui Gesù addita se stesso a modello di umiltà. Quale è stato il modo in cui Gesù è stato umile? Non una “umiltà delle parole”, ma l’umiltà dei fatti: «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.» (Fil 2,6-8). Gesù è stato umile perché ha scelto per sé l’ultimo posto, si è abbassato concretamente a lavare i piedi ai suoi discepoli, ha donato la vita per noi. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome (Fil 2,9).
Ecco l’umiltà che oggi Gesù ci addita nell’immagine del banchetto: scegliere l’ultimo posto, abbassarsi per servire. Questo significa imparare da Gesù mite ed umile. Questo significa comportarsi come Gesù si è comportato.
L’umiltà, inoltre, ci aiuta a fare verità su noi stessi: non meritiamo l’amore gratuito di Dio. Siamo amati gratuitamente. Ecco che scopriamo allora il rapporto tra la prima e la seconda parte del vangelo: « … quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.» Se umilmente abbiamo riconosciuto di essere amati gratuitamente da Dio, allora anche noi siamo chiamati alla gratuità, a fare del bene a chi, come noi, non lo merita.
Solo se vivremo questa umiltà che ci rende simili al Figlio amato, potremo entrare al banchetto del Regno perché saremo riconosciuti come Suoi discepoli e figli di Dio.

«Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male.» La prima lettura di oggi, inoltre, ci mette in guardia dal pericolo della superbia, atteggiamento opposto all’umiltà. Se con l’umiltà, infatti, imitiamo il comportamento stesso di Dio che continuamente si abbassa fino a noi per amore, con la superbia, invece, volendo esaltare noi stessi, ci allontaniamo da Dio e ci comportiamo come Lucifero.
Prima di concludere vorrei riproporvi le “tre parole” che Papa Francesco ci ha proposto fin dai primi tempi del suo pontificato: permesso, scusa e grazie. Mi sembrano tre comportamenti concreti che ci aiutano a vivere l’umiltà: chiedere permesso, cioè accostarsi all’altro con delicatezza e non con l’arroganza ci chi pensa di avere sempre ogni diritto sull’altro; chiedere scusa, cioè riconoscere umilmente che anche noi sbagliamo; ringraziare sempre per ciò che riceviamo senza la presunzione che tutto ci sia dovuto.
Fr. Marco

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