«Così dice il
Signore: “Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi
verranno e vedranno la mia gloria.”» (Is 66,18-21)
«Perciò, rinfrancate
le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi,
perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.» (Eb
12,5-7.11-13)
«Un tale gli chiese:
“Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Disse loro: “Sforzatevi di
entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare,
ma non ci riusciranno.”» (Lc 13,22-30)
In questa domenica, XXI del tempo ordinario, il Vangelo ci
pone dinanzi la questione della salvezza: “sono pochi
quelli che si salvano?”. Il Maestro non risponde direttamente alla domanda
che, in effetti, è posta male: sembra una curiosità su gli altri.
“Sforzatevi (voi) di entrare per la porta stretta” Gesù,
invece di rispondere, approfitta della domanda per esortare il tale che pone la
questione e tutti i presenti a preoccuparsi della propria salvezza. Ciò che più
ci deve urgere, infatti, non è tanto la curiosità oziosa e pettegola se Tizio e
Caio si salveranno o se i musulmani o gli induisti si salveranno; ciò che con
più urgenza mi devo chiedere è: “Io mi salverò?”.
Il Signore oggi ci esorta ad entrare per la “porta stretta”.
Come sapete, le città antiche, circondate da mura, avevano delle porte grandi e
spaziose che permettevano l’accesso di un gran numero di persone. Durante la
notte, però, per sicurezza, queste porte erano chiuse e, se qualcuno avesse
avuto necessità di entrare in città dopo il tramonto, doveva passare per una
porticina che permetteva l’accesso di una sola persona alla volta in modo che
il custode potesse riconoscerlo e permettere o negare l’accesso.
Per entrare, quindi, bisognava essere riconosciuti. Ciò che
ci permetterà di accedere alla salvezza, allora, sarà l’essere riconosciuti dal
Padre, l’esserci conformati a Cristo, l’esserci rivestiti di Cristo.
Diversamente (“Non so di dove siete”),
non potremo entrare. Se non ci saremo conformati a Cristo, non ci servirà a
niente la nostra appartenenza ad un popolo o ad una congregazione; non ci
servirà a niente essere stati a Piazza S. Pietro durante l’udienza del Papa,
l’essere stato in questo o quell’altro santuario o l’avere partecipato a questa
o quell’altra manifestazione (“ … tu
hai insegnato nelle nostre piazze …”) Se non avremo i tratti distintivi del
Figlio di Dio, non ci servirà a niente persino essere stati presenti a Messa
ogni domenica (magari con la testa e il cuore altrove: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza”).
Ciò per cui potremo entrare nella salvezza è l’impegno che avremo messo per
conformarci a Cristo, per rendere manifesta quella conformazione iniziata con
il nostro Battesimo.
Quali sono, allora, i tratti distintivi del Figlio di Dio?
Oggi Gesù ci è presentato mentre si dirige a Gerusalemme e sappiamo bene che lì
sarà crocifisso per la nostra salvezza. Da risorto, entrando nel cenacolo, per
essere riconosciuto mostrerà agli apostoli le mani e il costato piagati dalla
croce. Ecco, dunque, da cosa potremo essere riconosciuti come conformi a Lui: se
saremo stati capaci di portare con amore la nostra croce, se avremo fatto della
nostra vita un dono d’amore, se Lo avremo seguito sulla via del Calvario unendo
la nostra vita alla Sua per la salvezza del mondo.
Il Maestro è esigente, ma non preclude a nessuno la salvezza: “Verranno da oriente e da occidente, da
settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio.” A
condizione di essere trovati conformi a Cristo, la salvezza è offerta a tutti.
Sforzatevi di entrare
per la porta stretta. Una sottolineatura vorrei farla, infine, sulla
necessità dello “sforzo”, dell’impegno: il Signore è esigente e non si
accontenta di niente di meno che di tutto il nostro impegno. Il Signore guarda
il cuore: ciò che importa è l’amore che mettiamo in ciò che facciamo, l’impegno
con cui lo facciamo. Può accadere che questo nostro impegno non sortisca
l’effetto che vorremmo. Può accadere anche che il Signore stesso, perché non
montiamo in superbia, permetta che il nostro impegno non porti i frutti
desiderati. Ricordiamo che più che ai frutti, il Signore guarda l’amore e
l’impegno che avremo messo nelle nostre azioni. Concludo con una citazione di Santa
Teresa di Calcutta: “Non importa fare grandi cose, ma fare le cose con grande
amore”.
Fr. Marco
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