venerdì 30 settembre 2022

Terzo giorno del Triduo: Il Cantico di Frate Sole

 «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.» (Lc 17,5-10)

In questo terzo giorno del Triduo di san Francesco, ascoltando la pagina evangelica della liturgia domenicale, prendo spunto dall’invito ad avere fede e a contemplare l’obbedienza del creato a Dio e a quanti hanno fede, per leggere con voi la preghiera forse più conosciuta di San Francesco: il Cantico di frate sole[1].

1 Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.

5 Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual’ è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore :
de te, Altissimo, porta significatione.

10 Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle,
in celu l’ai formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dai sustentamento.

15 Laudato si’, mi’ Signore, per sor ‘aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte,
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

20 Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’ , mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore,
et sostengo infirmitate et tribulatione.

25 Beati quelli ke’ l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare.
Guai a cquelli ke morrano ne le peccata mortali,
30 beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ’l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
et serviateli cum grande humilitate.

Conosciuto anche come il Cantico delle Creature, il Cantico di frate Sole, la lauda francescana in volgare italico diventata uno dei testi più amati della letteratura cristiana, è sgorgato dal cuore di Francesco a San Damiano di Assisi un freddo mattino della primavera 1225 (Francesco ha probabilmente 43 anni). Come ci informa il biografo Tommaso da Celano (cfr. 1 Cel 105: FF 502), Francesco è molto malato: il suo ventre si era gonfiato, le sue gambe si erano inturgidite (idropisia), la malattia agli occhi lo ha reso quasi cieco e il resto del corpo era così macilento che il Serafico Padre sembrava ormai ridotto solo a pelle e ossa. È in queste condizioni che Francesco compone il cantico dopo una notte turbata da inauditi tormenti, ma consolata dalla promessa divina di cieli nuovi e terra nuova inondati dalla luce di Dio: «Perciò, rallégrati e sii pieno di giubilo nelle tue infermità e tribolazioni, perché da questo momento puoi ritenerti così sicuro come se fossi già nel mio regno» (CAss 83; FF 1614).

Il Cantico, che si manifesta «modellato liberamente insieme sul ritmo dei Salmi e dei Cantici, e su quel tipo di prosa rimata che trionfò in quei secoli anche nel'uso liturgico e che proprio in quegli anni cominciava ad essere applicata anche al volgare»[2], non è una esaltazione delle creature, ma una liturgia cosmica, un grande appello universale alla lode del Creatore, come peraltro aveva già capito il Celano che, in una pagina della sua prima biografia, del Cantico lascia trasparire tutto, l'empito contemplativo e le fonti bibliche: «Come un tempo i tre fanciulli gettati nella fornace ardente invitavano tutti gli elementi a glorificare e benedire il Creatore dell’universo, così quest’uomo, ripieno dello spirito di Dio, non si stancava mai di glorificare, lodare e benedire, in tutti gli elementi e in tutte le creature, il Creatore e governatore di tutte le cose.» (1 Cel 80; FF 459). La lode umana del perdono, della sofferenza e della morte (vv. 23-31), introdotta in momenti successivi, rende evidente l'ispirazione cristiana di «questo canto dell'universo redento, pacificato e salvato in Cristo, vero canto pasquale del mondo nuovo, che Cristo riconsegnerà al Padre» (F. Olgiati).

Dalla definizione del Cantico come liturgia cosmica derivano gli altri suoi tratti costitutivi: lo sguardo stupito del cantore che, dopo aver proclamato il diritto esclusivo di Dio alla lode (vv. 1-4), discende dai corpi celesti incorruttibili, il sole, la luna e le stelle (vv. 5-11), ai quattro elementi sublunari, il vento, l’acqua, il fuoco e la terra (vv. 12-22), per trascinarli subito nel moto ascendente della lode ad Te solo, Altissimo; verità e amore del Padre creatore che traspaiono dal volto e dal nome delle creature, tutte chiamate frate e sora per la prima volta nella storia del mondo.  L'uomo, infine, entra nella lode assumendo il volto infermo, tribolato, obbediente fino alla morte (Fil 2,8), del Cristo, in attesa della corona di vita (vv. 23-31). Non è da trascurare, inoltre, l'importanza del versetto di congedo, Laudate e benedicete... (vv. 32-33), che segnando grammaticalmente il passaggio da Dio, destinatario della lode, agli ascoltatori umani ai quali è rivolta la esortazione, costituisce la conferma interna al testo degli scopi molteplici per i quali il Cantico è sgorgato dalla mente e dal cuore di Francesco.

Sappiamo che il versetto sul perdono (v. 23) nasce in un momento successivo. Ad Assisi il vescovo e il podestà litigano ferocemente e Francesco vede compromesso il sommo bene della pace.  Rivolto ai frati che lo assistevano così si esprime: «Grande vergogna è per noi, servi di Dio, che il vescovo e il podestà si odino talmente l'un l'altro, e nessuno si prenda pena di rimetterli in pace e concordia» (Legper 44: FF 1593; cfr. Spec 101:FF 1800)

Composta la strofa sulla pace, il serafico padre mandò due frati dal podestà e altri due dal vescovo, perché in suo nome, cantassero loro il Cantico con l'aggiunta della nuova strofa invitandoli alla riconciliazione. Secondo il resoconto dei compagni il successo dell'impresa fu schiacciante: le due autorità si avvicinarono l'una all'altra, confessarono la loro colpa e si perdonarono a vicenda (cfr.Legper 44: FF 1593; Spec 101: FF 1800). La strofa della pace, come del resto l'intero Cantico, è rivolta a Dio ed è, prima di tutto, una preghiera. Considerando l'afflizione provocata dal contrasto, Francesco loda il suo Signore per tutti coloro che perdonano. La sua preghiera è allo stesso tempo anche una lirica in cui risuonano accenti di predica, invito ed ammonizione, con cui si rivolge alle parti avverse. È proprio col richiamarsi a Dio, che è il Signore di entrambi, che raggiunge lo scopo della sua iniziativa di pace. Ciò rappresenta un'altra vittoria del suo amore, derivante dalla sua intensa relazione intima con Dio e dal suo rapporto vivo e profondo, fino all'ultimo con i fratelli, con il creato e tutte le sue creature.

All’approssimarsi di sorella nostra morte corporale, dopo una vita tutta donata al Signore, Francesco è colmo di gratitudine e dal suo cuore, pur in mezzo ai tormenti, sgorga la lode. Impariamo dal Serafico Padre a donare la Vita a Dio e ai fratelli per sperimentare la gioia vera e con lui lodare il Signore

Fr. Marco


[1] [1] l’analisi della Preghiera è presa in gran parte da: Carlo Paolacci, in Francesco d’Assisi. Scritti, pp. 229-231

[2] Branca, Il Cantico, p. 69

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