sabato 6 febbraio 2021

Il libero servizio dei figli di Dio

«L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario? … Ricòrdati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene» (Gb 7,1-4.6-7)

« … pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.» (1Cor 9,16-19.22-23)

«La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. … Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni … Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. … andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.» (Mc 1,29-39)

Nelle prime quattro domeniche del tempo ordinario, il Vangelo ci ha invitati alla conversione e ad accogliere Gesù come maestro e liberatore. In questa quinta domenica la Parola ci presenta il motivo per fare tutto ciò: perché la  nostra vita abbia un senso pieno.

Nella prima lettura ascoltiamo Giobbe che lamenta la mancanza di senso di una vita tutta dedita ad un “servizio mercenario” il cui salario risulta sempre insufficiente. Una vita vana che si riduce ad un soffio: breve, inconsistente e che non lascia traccia. Ha senso vivere una vita così?

La pagina evangelica odierna è tratta  dall’ultima parte di quella sezione del Vangelo di Marco che potremmo chiamare il “sabato di Cafarnao”: una giornata tipo in cui Gesù insegna, guarisce e prega.

Il Signore Gesù, infatti, è venuto a liberarci dalla schiavitù del peccato e delle passioni che ci costringono a spendere i nostri giorni per ciò che non è capace di “saziarci”. È venuto a donarci una vita abbondante e una gioia piena (cfr. Gv 10,10 e Gv 15, 11). Lo fa principalmente offrendoci se stesso come esempio di colui che si prende cura della vita in tutte le sue espressioni: insegnando, guarendo, liberando dai demoni; dando a tutti la Speranza perché gli uomini passino dalla schiavitù di un servizio fatto per costrizione (prima lettura) alla libertà del servizio dei figli, un servizio fatto per amore.

Nei primi versetti della pagina evangelica ascoltiamo il racconto della guarigione della suocera di Pietro che viene liberata dalla schiavitù della malattia e fatta “alzare”. Da notare che il Vangelo usa qui lo stesso verbo della resurrezione: la suocera di Pietro viene fatta “risorgere” dalla schiavitù della malattia; adesso può liberamente “servire”, fare della propria vita un dono sull’esempio di Colui che “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Cfr Mc 10,45).

È di questo stesso servizio che ci parla S. Paolo nella seconda lettura: tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io. È evidente che per Vangelo qui si intende l’opera della redenzione di Cristo e il Regno che Egli è venuto ad instaurare. L’apostolo non serve come un mercenario, in funzione della ricompensa, ma per amore di Cristo e desiderando solo di partecipare a quel Regno che contribuisce ad instaurare. Quanta differenza con coloro che, ancora schiavi della logica del mondo e del peccato, si dicono cristiani e vivono la loro religiosità per ottenere da essa la protezione dalle intemperie della vita! O peggio, con coloro che usano del loro ministero nella Chiesa per ottenerne benefici!

… si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. L’esempio del Maestro, infine, ci insegna anche l’importanza della preghiera. Perché il nostro servizio possa essere un servizio filiale, perché possiamo riconoscerci ed essere riconosciuti come figli di Dio, è fondamentale la relazione con il Padre: l’ascolto della Sua Parola e il dialogo con Lui.  Una vita che non abbia un orizzonte di trascendenza che trascuri il suo legame con il Padre, difficilmente sarà una vita piena di senso, ma facilmente cadrà nella inconsistenza lamentata da Giobbe.  

Accogliamo, allora, questo invito di Cristo a farci ministri (servi) della vita in tutte le sue espressioni tutelandola soprattutto dove è più debole. Impariamo a dare un senso alla nostra vita facendone un dono a Dio e ai fratelli: è l’unico modo perché essa cessi di essere “come un soffio”, e diventi invece Vita piena che dura per l’eternità.

Fr. Marco

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