venerdì 20 novembre 2020

Ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo

 


«Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare.» (Ez 34, 11-12. 15-17)

«È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte.» (1Cor 15, 20-26.28)

«Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi.» (Mt 25, 31-46)

​Nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, ultima domenica dell’anno liturgico, la Parola ci presenta ancora ciò che sarà alla fine del tempo, quando Gesù prenderà possesso in maniera definitiva del suo Regno ricapitolando tutto in sé.

Le letture di questa domenica sono dominate dall’immagine del “re-pastore”. Nella prima lettura, tratta dal profeta Ezechiele, Dio è presentato come un pastore che raduna il suo gregge, lo passa in rassegna e conduce le sue pecore all’ovile. Il profeta scrive contro i governanti del suo tempo che non si sono curarti del bene del popolo, del gregge loro affidato, ma hanno cercato solo il loro interesse. Contro costoro Ezechiele  profetizza un tempo in cui sarà Dio stesso a prendersi cura del suo popolo e a dare a ciascuno ciò che meritano le sue azioni.

Nella seconda lettura san Paolo utilizza un’immagine assai comprensibile al suo tempo: un figlio di Re che, dopo avere condotto una battaglia contro gli usurpatori del regno, lo riconsegna al Padre. Cristo è presentato, quindi, come colui che vince ogni opposizione al Regno dei Cieli.

La pericope evangelica odierna, infine, fa una sintesi delle due figure (... siederà sul trono della sua gloria … come il pastore …). La parabola, infatti, ci mostra questo Re che, preso possesso del suo Regno riconosce “i suoi” distinguendoli da coloro che hanno scelto di vivere sotto un’altra signoria. Discrimine per essere riconosciuti come appartenenti al Regno è il riconoscere, coi fatti, la Signoria di Cristo: vivere come lui ci ha insegnato con l’esempio e la Parola.

Saremo giudicati davanti al trono della sua gloria (v.31). C’è una anticipazione del trono della gloria che è la croce. La Pasqua è il trono della gloria. La croce, allora, è il criterio di valutazione, per Dio, della vita di un uomo. Ogni discepolo è chiamato a “prendere la propria croce”, cioè a fare della propria vita un dono d’amore. Non basta dire “Signore, Signore”. Bisogna mettere in pratica ciò che Lui ha comandato: l’amore per Dio autenticato dall’amore per i fratelli. Soprattutto per i fratelli più piccoli, quelli che non contano nulla nel mondo e che non hanno da ricambiare. 

"Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo. Erediteremo il Regno. L’eredità appartiene ai figli e che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: "Abbà! Padre!" (Gal 4,6) Se viviamo secondo lo Spirito, allora, se ci lasciamo conformare al Figlio, siamo figli ed eredi e, quindi, non più schiavi degli idoli del mondo. Liberi dall’idolatria dell’avere, avremmo chiaro che la vita non dipende da ciò che uno possiede, ma viene dal Padre che conosce i nostri bisogni. Altrove il Maestro ci insegna: «cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33) la “cosa” più importante da cercare e da condividere con i fratelli, allora, non sono i beni materiali (che pure servono), ma la conoscenza e l'annunzio del Regno. Testimoniando con i nostri concreti gesti d’amore che «non di solo pane vive l’uomo» (Mt 4,4)

Non basta, allora assistere i fratelli, magari con il nostro superfluo e “per metterci a posto la coscienza”, a farci eredi. Eredi lo siamo se, avendo accolto lo Spirito in noi, desiderosi di compiacere il Padre, ci comportiamo da figli amando concretamente i fratelli che abbiamo accanto, condividendo con loro il pane materiale e la conoscenza del Regno. 

...quando mai ... Mi colpisce sempre lo stupore dei giusti e dei reprobi dinanzi la sentenza. entrambi non hanno riconosciuti Cristo nei fratelli. I giusti però, pur non riconoscendo Cristo, si sono conformati a Lui nell'amare i fratelli. Questo, infatti, è importante: che il fratello nel bisogno veda in noi i tratti del Figlio di Dio. 

Solo se saremo capaci di conformarci al Nostro Signore Gesù Cristo nell’amare gratuitamente i nostri fratelli, quindi, potremo essere riconosciuti come “Suoi” ed essere ammessi nel regno preparato per noi. Diversamente, se nella nostra vita non avremo concretamente ed esistenzialmente riconosciuto la signoria di Cristo, ma avremo servito altri padroni, primo fra tutti il nostro “io”, la sentenza finale non potrà che prendere atto di questo stato di cose: saremo esclusi dal Regno, che in sostanza non abbiamo mai riconosciuto, e subiremo la sorte dei ribelli (il diavolo e i suoi angeli).
Accogliamo l’invito di questa Parola e, contemplando le realtà ultime, cominciamo fin da ora a vivere nella Signoria di Cristo per potere, in quell’ultimo giorno, essere ammessi alla pienezza della gioia.

Fr. Marco

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