sabato 13 luglio 2019

Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?


«Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. … questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30,10-14)

«Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili» (Col 1,15-20)

«… “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Gli disse: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”» (Lc 10,25-37)


La Parola di Dio della XV domenica del Tempo Ordinario ci propone il comandamento centrale della legge d’Israele: l’Amore di Dio e del prossimo. IL dottore della legge, infatti, sollecitato da Maestro, enuncia un comandamento tratto dallo Shemà, professione di fede contenuta nel Deuteronomio (6,4 ss), e dal “Codice di santità” contenuto nel Levitico (capp. 17-26; in particolare da Lv 19,18).Già nella sapienza antica si afferma che dall’osservanza dei comandamenti deriva la Vita, quella vita piena che il Signore ha pensato per il suo popolo. Il Signore, quindi, dà i comandamenti al suo popolo perché questi sappia come comportarsi per rimanere in comunione con Dio e godere di una vita bella e piena di senso.
Col passare del tempo, però Israele finisce per assolutizzare sempre più la Legge a scapito della relazione vitale con Dio che essa doveva custodire. Comincia ad elaborare comandi su comandi che perdono il loro originario significato. La “fede” d’Israele si allontana sempre più dalla comunione con Dio e diventa una “fede speculativa” in cui è impossibile per la gente comune osservare tutti i comandi. È in questo contesto che nasce la domanda del dottore della legge: «Che cosa devo fare …?». Gesù risponde rimandando in suo interlocutore a ciò che già conosce e invitandolo a metterlo in pratica.
«E chi è il mio prossimo?» Il dottore della legge tenta di scappare dalla pratica con la “speculazione”: lo straniero, il peccatore, l’eretico … sono il mio prossimo? Non devo forse starne lontano? 
«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico …» Al tentativo di fuga nella speculazione, il Maestro risponde raccontando un a parabola. Da notare che l’uomo incappato nei briganti scende “da Gerusalemme a Gerico”. Questo itinerario, in chiave spirituale, potrebbe indicare un allontanamento dalla santità verso il peccato. Potremmo allora identificare quest’uomo con “il peccatore” che, proprio per la sua condizione di peccato, è “mezzo morto”. Il “cuore freddo” del sacerdote e del levita, un cuore ormai lontano da cuore di Dio, resta ancorato alla purezza legale e si guarda bene dal contaminarsi con il sangue dell’uomo ferito. Solo un Samaritano, un uomo considerato dai pii giudei come eretico e scismatico, ha compassione. Una compassione che lo porta ad agire e a spendere del suo per aiutare il bisognoso. Solo la compassione, la misericordia, che muove all’azione, infatti, è autentica.

«Chi … ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» Adesso è Gesù ad interrogare il dottore della legge, ma la prospettiva è ribaltata: il prossimo da individuare non è colui che è caduto nelle mani dei briganti, ma colui che è stato capace di farsi a lui prossimo.
La pagina del Vangelo si chiude ancora con l’invito alla “pratica”, al fare ciò che sappiamo essere bene perché possiamo “ereditare la vita eterna”, quella Vita Piena che solo la relazione di amicizia con Dio può donarci.

Fr. Marco

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