«Essi allora se
ne andarono via dal Sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire
oltraggi per il nome di Gesù.» (At 5,27b-32.40b-41)
«L’Agnello, che è
stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e
forza,
onore, gloria e benedizione». (Ap 5, 11-14)
«Simone, figlio di
Giovanni, mi ami più di costoro?». […] Pietro rimase addolorato che per la
terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci
tutto; tu sai che ti voglio bene». (Gv 21, 1-19)
La Parola di Dio della terza domenica di pasqua ci mostra Cristo
Risorto che si china sulla debolezza dei suoi. Anche quando facciamo esperienza
del fallimento, della nostra incapacità e debolezza, siamo invitati a non
scoraggiarci, ma a confidare nella grandezza del Signore capace di compiere
grandi cose a partire dalla nostra pochezza.
Il racconto evangelico, infatti, si apre con l’ennesima
notte in cui i discepoli, andati a pescare, non
presero nulla. Penso sia importante sottolineare l'annuncio di Pietro: «Io vado a pescare». finché il protagonista è il nostro Io, finché facciamo le cose senza il Signore, no possiamo far nulla. Solo l’incontro con il Risorto e l’obbedienza alla Sua Parola
garantiscono un risultato insperato e sovrabbondante. L’evangelista Giovanni,
dietro l’immagine della pesca, presenta le difficoltà dei missionari della
Chiesa delle origini: fanno esperienza della loro inadeguatezza e incapacità,
ma scoprono anche che il Signore Risorto li accompagna ed assiste.
La seconda scena evangelica ci mostra Gesù che ha già
preparato da mangiare per i suoi, ma chiede ugualmente ai discepoli di portare
il frutto della loro pesca. È il Signore a preparare a noi il banchetto della
vita, senza di Lui non avremmo nulla da
mangiare, ma vuole comunque la nostra collaborazione. È quello che il
sacerdote ci invita a fare prima della preghiera offertoriale: «Pregate, fratelli e sorelle, perché portando
all’altare la gioia e la fatica di ogni giorno, ci disponiamo a offrire il
sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente.» Siamo invitati ad accostarci
alla mensa eucaristica portando la nostra vita in offerta perché, unita a
quella di Gesù, possa essere mensa di salvezza per il mondo intero.
La terza scena del Vangelo, infine, ci fa assistere al
dialogo tra Gesù e Pietro: la triplice professione d’amore richiama e ripara al
triplice rinnegamento e fonda la missione di pascere il gregge. I verbi greci
usati sono infatti agapao e fileo: il primo (agapao) indica l’amore “allocentrico”, che sposta il proprio centro
sull’amato, che si china sull’amato, un amore di donazione che non è
condizionato dalla reciprocità (la reciprocità è sempre sperata/desiderata
dall’amore, ma qui non è la condizione); il verbo fileo, invece, indica l’amore in cui il soggetto, mantenendo il
proprio centro in sé, porta nella sua intimità l’amato: è un amore più
condizionato dalla reciprocità e in cui è ancora presente la ricerca di sé.
Rivolgendosi a Pietro, il Signore le prime due volte usa il verbo agapao (“mi ami?”). Pietro risponde
con fileo (“ti voglio bene”,
“ti sono amico”). Alla terza volta, Gesù, quasi a chinarsi sulla debolezza di
Pietro, usa anch’egli fileo. Il
Maestro chiede a Pietro un amore capace di donarsi gratuitamente, di
dimenticarsi di sé. Pietro, però, ha già fatto esperienza della propria
debolezza e non si sbilancia: è capace di accoglierlo nella propria intimità,
ma non è capace di espropriarsi ed ha bisogno di sentire forte la Sua presenza
e le Sue consolazioni. Pietro non più fondato su se stesso, non è più
quell’uomo che non cenacolo aveva superficialmente affermato «Darò la mia vita per te!» (Gv 13, 37).
Ormai ha sperimentato la propria debolezza. Proprio fondandosi su questa
disponibilità ad amare e sulla consapevolezza della propria debolezza, però,
Gesù affida a Pietro il compito di pascere il suo gregge. Conoscendo la
debolezza umana e la potenza di Dio, Pietro ora può guidare, confortare e
nutrire i suoi fratelli. Così il Vangelo che si era aperto con il protagonismo di Pietro, si chiude con l'invito alla sequela: «Seguimi!».
La debolezza umana, infatti, non è ostacolo alla potenza di
Dio: nella prima lettura abbiamo letto di come, dopo la Pentecoste, Pietro e
gli apostoli non cercano più di salvare se stessi, ma anzi sono lieti di
soffrire per amore di Gesù.
Fr. Marco
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