«Paolo e Bàrnaba con
franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a
voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della
vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. ...» (At 13,14.43-52)
«… Non avranno più
fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché
l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle
fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi»
(Ap 7, 9.14b-17).
«Le mie pecore
ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita
eterna … » (Gv 10, 27-30).
La Parola di Dio della quarta domenica di pasqua ci presenta
il Signore come il Pastore che conosce e ama le sua pecore e dà loro la vita
eterna. Nei versetti precedenti (Gv 10 12-13) Gesù fa una chiara distinzione
tra se stesso, il Pastore che è disposto a dare la vita per le sue pecore, e i
mercenari che vogliono solo trarre un profitto per loro stessi e scappano
appena vedono arrivare il lupo.
«Io le conosco». È un’affermazione che trovo consolante: il
Signore della vita ci conosce, singolarmente, uno per uno, e ci ama. Ci
garantisce la vita eterna, la nostra vita non sarà perduta. Tutto ciò, però, a
condizione di essere Sue pecore, cioè di riconoscere la Sua voce e seguire il
nostro Pastore.
«Io do loro la vita
eterna» Credo sia il caso di soffermarci brevemente a riflettere sulla vita
eterna che il Signore quest’oggi ci promette usando il tempo presente. La vita
eterna non è quella “futura”, che segue questa vita terrena; non è un’utopia
che ci fa “stringere i denti” nelle tribolazioni del mondo in vista di una
felicità futura di cui non abbiamo altra certezza che la Fede. Una vita eterna
che fosse solo questo, può a ragione essere definita “oppio dei
popoli”. La vita eterna comincia qui, comincia con il nostro battesimo, nel
momento in cui veniamo innestati in Cristo, nella sua morte e resurrezione.
Qui, in questa vita terrena cominciamo a sperimentare la Vita eterna
come una vita piena di senso. Una vita che “non è perduta”, cioè che non è
sprecata. Per sperimentare questa vita, però, siamo chiamati a seguire il
nostro Pastore nella sua vita di donazione d’amore. Perché la nostra vita non
sia perduta, sprecata, siamo chiamati a spenderla bene! A donarla per amore;
allora sperimenteremo quella pienezza di senso che nessun altro potrà darci,
sperimenteremo che stiamo vivendo veramente.
Nella vita non è importante il numero di attimi o anni che
si susseguono, ma l’intensità con la quale questi attimi sono vissuti. Seguendo
il nostro Maestro e Pastore, anche noi passeremo per le tribolazioni, ma esse
non saranno subite passivamente, stringendo i denti, ma accolte e valorizzate
come donazione d’amore. È in questo stesso discorso che Gesù chiarisce: «nessuno mi toglie la vita, ma la offro da
me stesso» (cfr. Gv 10,18).
Certamente, in tutto ciò non può mancare il volgere lo
sguardo “in alto”, alle cose di lassù dove Cristo è assiso alla destra del
Padre: è necessario sapere che la nostra vita è destinata ad
un’ulteriorità che ci permette di dare il giusto valore alle tribolazioni
presenti.
Oggi la Chiesa intera prega per le vocazioni di speciale
consacrazione. Permettetemi di concludere con l’appello ad ascoltare la voce
del Buon Pastore: ascoltiamo la Sua voce, accogliamo il suo progetto d’amore
per ciascuno di noi, e la nostra vita non andrà perduta, ma andrà di
pienezza in pienezza per l’eternità.
Fr. Marco
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