sabato 29 giugno 2024

Non temere, soltanto abbi fede!

 

«Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi.» (Sap 1,13-15; 2,23-24)

​«Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.» (2Cor 8,7.9.13-15)

«“Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”. Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere, soltanto abbi fede!”». (Mc 5,21-43)

Oggi, tredicesima domenica del Tempo Ordinario, la Parola di Dio riprende l’invito a non lasciarci paralizzare dalla paura, ma a vincere la paura con la fede: Non temere, soltanto abbi fede!  Quando tutto è perduto, quando nessuno può più aiutarti, non lasciarti prendere dalla paura, ma abbi fede.

Già, l’autore del Libro della Sapienza, nella prima lettura, ci ricorda che Dio non è venuto per la morte o per la rovina, ma per la Vita di coloro che ha creato e amato fin dall’eternità. Il nostro Dio è il Signore che ha dato tutto se stesso per noi, che da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (II lettura).

« Non temere, soltanto abbi fede!» Gesù oggi ci invita a credere, a fidarci, anche quando l’ultima speranza sembra perduta. Nel Vangelo leggiamo di una donna che nessuno può curare e di una bambina ormai morta. Di fronte a queste situazioni in cui l’uomo sperimenta la propria impotenza, Gesù esorta al coraggio della fede. La donna emorroissa è invitata a prendere posizione, a uscire dall’anonimato testimoniando la propria fede. Il padre della bambina, ormai morta, è esortato a continuare a credere.

La pagina evangelica di oggi, inoltre, ci mette in guardia da due cose che possono impedirci di credere: la paura e il “non prendere sul serio” il Signore. Entrambe hanno origine nel porre se stessi come misura del possibile.

Nel primo caso, la nostra fede è minacciata dalla paura del nostro limite e della nostra indegnità: pensiamo che se noi non possiamo fare niente, se noi non possiamo perdonarci, nessuno lo possa fare. La donna emorroissa sa di essere “impura” ed ha paura di presentarsi dinanzi a Gesù. Il Maestro la deve chiamare a farsi coraggio perché possa ricevere, oltre alla guarigione, anche la salvezza. I servitori di Giairo ritengono ormai inutile “disturbare il Maestro”.

Nel secondo caso, confidando eccessivamente sulla nostra ragione, siamo tentati di ritenere stoltezza ciò che non comprendiamo: i discepoli non capiscono come Gesù possa domandare, in mezzo ad una folla che lo stringe, «Chi mi ha toccato?»; i presenti nella casa di Giairo deridono Gesù che afferma: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».

Come i protagonisti del Vangelo di oggi, anche noi siamo invitati ad avere Fede, a credere, e quindi a prendere sul serio Gesù; non lasciamo che la grande confidenza che ci accorda ci faccia dimenticare che Lui è il Signore e il Maestro. Siamo invitati a fidarci di Lui più che di noi. Se faremo così, se davvero crederemo al Suo amore onnipotente e provvidente, allora anche noi, liberi dalla paura e dalla morte, potremo aprirci alla Vita vera che si sperimenta nel donare con gioia e generosità (II lettura).

Fr. Marco

venerdì 21 giugno 2024

Perché avete paura? Non avete ancora fede?

«Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all’uragano: “Chi ha chiuso tra due porte il mare …?”» (Gb 38,1.8-11)

«Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro.» (2Cor 5,14-17)

«Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”. … “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”». (Mc 4,35-41)

Già domenica scorsa la Parola ci esortava alla fiducia operosa e alla speranza nell’opera di Dio. In questa XII domenica, ribadendo l’esortazione ad avere fede, la liturgia ci presenta il contrasto tra la paura per la propria vita e la Fiducia che lascia che Dio sia Dio.

Nella prima lettura abbiamo ascoltato parte della risposta di Dio a Giobbe che gli chiede conto del perché delle sue sofferenze. In sostanza il Signore gli risponde: «Io sono il Signore che ha creato e ordinato il mondo, tu sei una creatura. Lascia che io sia Dio!».

«Maestro, non t’importa che siamo perduti?» Nella pagina evangelica, riportando il miracolo della tempesta sedata, l’evangelista Marco si rivolge probabilmente in prima istanza alla sua comunità che soffre la persecuzione e che comincia a chiedersi perché il Signore la permetta, perché non distrugga i persecutori.

Ritengo che capiti anche a noi, ogni tanto, di avere la tentazione di volere insegnare a Dio ciò che deve fare; o forse di chiedergli conto del perché soffriamo. Anche noi, ogni tanto, come i discepoli chiediamo «non t’importa che siamo perduti?». Oggi anche a noi Gesù risponde: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».

Il brano evangelico si chiude sull’interrogativo riguardo l’identità di Gesù, un interrogativo rivolto anche a noi: «Chi è dunque costui …?» È il Signore, Colui per cui viviamo, come ci ricorda s. Paolo nella seconda lettura? O è al nostro servizio e deve fare ciò che gli chiediamo noi?

Ci fidiamo di Gesù? Se è così, dobbiamo preoccuparci solo di appartenergli, di vivere sotto la sua signoria; dobbiamo preoccuparci solo di non fare la nostra, ma la sua volontà. Gesù ci ha insegnato a pregare così: «Venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà …».

Lasciamoci guidare da Gesù: anche se dovremo attraversare la tempesta, se dovremo salire con Lui sulla croce della sofferenza per amore … anche quando tutto sembrerà perduto (“le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena”), Egli ci condurrà ad una Vita piena ed Eterna che solo Lui può darci (a Giobbe, alla fine del racconto, viene restituito moltiplicato tutto quanto aveva perso). Se, invece, cercheremo scappatoie e scorciatoie, allora sì rischieremo di perderci, di non giungere mai al Porto.

Ravviviamo, allora, la nostra fiducia: «l’amore del Cristo ci possiede»; siamo nelle Sue mani, non lasciamoci condizionare dalla paura.

Fr. Marco

venerdì 14 giugno 2024

Il seme sul terreno, di notte o di giorno, germoglia e cresce

 «Così dice il Signore Dio: «Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; lo pianterò sul monte alto d’Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico.» (Ez 17,22-24)

«… siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.» (2Cor 5,6-10)

«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura» (Mc 4,26-34)

La Parola di Dio della XI domenica del TO ci esorta alla fiducia e alla Speranza: è il Signore che opera; a noi è chiesto solo di fidarci di Lui e di non porre impedimenti.

Il Vangelo di oggi, infatti, ci invita a guardare alla realtà contemporanea con gli occhi profetici del contadino della parabola: lui lavora, prepara il terreno e getta il seme, ma non vede immediatamente i frutti; sa di dovere aspettare con pazienza; sa di avere fatto la sua parte, ma che il frutto non dipende da lui.

Anche noi siamo invitati quest’oggi a fare quanto è in nostro potere, a preparare “il terreno del nostro cuore” ad accogliere la Parola del Signore, il Suo Corpo e il Suo Sangue. Siamo invitati lavorare quotidianamente nel mondo per trasformarlo nella “vigna del Signore”. Siamo invitati a fare tutto “quanto dovevamo fare” (Cfr. Lc 17,10) anche se sul momento, magari, non vedremo frutti.

Sarà Lui, il Signore, se glielo permettiamo e non poniamo impedimenti, a portare frutto nella nostra vita, a condurci alla Vita Piena, Eterna e realizzata che Egli da sempre ha pensato per noi. Se lasciamo operare il Signore in noi e realizziamo la nostra vocazione alla santità per la strada che Egli ha pensato per noi, qualunque essa sia, allora anche il mondo, arricchito dai frutti che il Signore saprà produrre in noi, diventerà sempre più quel Regno di Dio che è “già e non ancora”.

Ciò che il Signore ci chiede, la nostra responsabilità, quindi, è di lasciarci guidare e di seguire Lui anche quando il “mondo” e il nostro stesso “corpo” (l’uomo “vecchio”, “carnale”, secondo il linguaggio paolino della II lettura) ci tirano in un’altra direzione. Lasciamoci guidare con fiducia. Alimentiamo in noi la Speranza anche quando l’attesa ci tenta allo sconforto. Non spaventiamoci se gli inizi saranno quasi insignificanti: l’albero inizia con un ramoscello e i frutti con un germoglio.
Ma non dubitiamo: arriva “la mietitura” in cui si vedranno i frutti che avremo permesso al Signore di produrre in noi. In quel giorno riceverà ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male (II lettura).

Fr. Marco

venerdì 7 giugno 2024

Liberaci dal Male!

 «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,9-15)

«Fratelli, animati da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: «Ho creduto, perciò ho parlato», anche noi crediamo e perciò parliamo» (2Cor 4,13-5,1)

«“In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna”». Poiché dicevano: “È posseduto da uno spirito impuro”» (Mc 3,20-35)

La liturgia della Parola della X Domenica del tempo ordinario si apre con il racconto, tratto dal libro della Genesi, della conseguenza del peccato originale: la paura e l’inimicizia. Il Creatore però non si rassegna a perdere l’uomo e annunzia il “protovangelo”: la buona notizia che alla fine la stirpe della donna schiaccerà la testa al serpente antico.

Nel capitolo 3 del Vangelo di Marco, da cui è tratta la pericope odierna, l’evangelista presenta l’interrogativo sull’identità di Gesù e ci guida a riconoscerlo come Colui che è venuto a sconfiggere il serpente antico, il male in tutte le sue espressioni.

Nei versetti che precedono la nostra pericope, infatti, Gesù insegna ed opera guarigioni e liberazioni suscitando l’adesione entusiastica della folla che gli si stringe attorno e vuole attingere al suo potere salvifico ed al suo insegnamento. Così ce lo presenta l’inizio della nostra pericope: assediato della folla e dimentico di se stesso tanto da fare esclamare: «È fuori di sé»

L’evangelista, però, non manca di notare, fin dai primi versetti del capitolo, la durezza di cuore di scribi e farisei (vv. 5 e 6). Che si rifiutano di riconoscerlo e di credergli. Persino i demòni, prima di essere, scacciati lo riconoscono come il figlio di Dio (v. 11). Non così scribi e farisei che, prima decidono di farlo morire (v. 6) poi, messi dinanzi l’evidenza dei segni, insinuano addirittura che sia posseduto da Beelzebùl. È il peccato che non può essere perdonato: l’ostinato rifiuto di credere e di accogliere Gesù come salvatore. Solo Gesù salva. Voltando le spalle a Lui, non volendolo riconoscere, in nessun altro possiamo trovare perdono e salvezza.

Anche noi quest’oggi siamo invitati a prendere posizione riguardo la fede. Siamo invitati a credere in Gesù, riconoscendolo davvero nostro salvatore e Signore, e ad annunciarlo con le nostre parole e le nostre azioni. È ciò che ci invita a fare san Paolo nella seconda lettura.

«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» Se lo accoglieremo riconoscendolo nostro Signore, non solo con le parole, ma facendo la volontà di Dio, anch’egli ci riconoscerà come appartenenti a Lui: suoi fratelli, sorelle e madri.

«Siamo sposi, quando l'anima fedele si congiunge a Gesù Cristo per l'azione dello Spirito Santo. E siamo fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo, che è in cielo. Siamo madri , quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l'amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri.» (S. Francesco, Lettera ai fedeli, FF 200)

Fr. Marco