sabato 21 ottobre 2023

Rendete a Dio quello che è di Dio

  «Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio» (Is 45, 1.4-6)

«Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro.» (1Ts 1,1-5)

«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22, 15-21)

La Parola di Dio della XXIX domenica del tempo ordinario anno A​ ci presenta una verità fondamentale: non c’è altro Dio che il nostro Dio. Chiunque agisce con retta coscienza, cercando di compiere il bene nella la sua vita con le sue azioni, anche se non conosce il nome di Dio, anche se non ha ancora incontrato Gesù Cristo, anche se inconsapevolmente e imperfettamente, compie la volontà di Dio ed accoglie la Sua salvezza (Cfr Gaudium et spes n.22).

«Io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca.» Nella prima lettura, infatti, il profeta Isaia si rivolge a Ciro, un re pagano che non conosce il nome di JHWH, come all’eletto attraverso il quale il Signore farà risorgere Gerusalemme.

«Io sono il Signore e non c’è alcun altro» Nessuna autorità, quindi, può sentirsi esonerata dall’osservanza della Volontà di Dio. Dio Padre, Figlio e Spirito Santo è il Signore della storia, Colui che, se glielo permettiamo, guida i nostri passi nelle via della Vita. Ecco perché, come ci ricorda Papa Francesco, «La santità cristiana non è prima di tutto opera nostra, ma è frutto della docilità – voluta e coltivata – allo Spirito del Dio tre volte Santo.» (omelia 23/2/14).

Se il nostro Dio è il Signore della Storia e l’unico Dio, allora non ha senso rivolgersi agli “idoli” cercando in essi salvezza. Non penso solo agli “idoli” più evidenti, quelli di cui ascoltiamo nella Scrittura o a cui alcune popolazioni fanno una statua e danno un nome; penso anche e soprattutto a quegli idoli che subdolamente si insinuano nel nostro cuore e a cui ci attacchiamo aspettando da essi vita e “salvezza”: le superstizioni con tutti i riti magico/scaramantici che troppo spesso facciamo in modo di osservare; gli oroscopi con la loro pretesa di farci conoscere in anticipo ciò che ci accadrà; il “mito” della vincita milionaria al “gratta e vinci”; il politico “amico” che spesso promette di concederci come favore ciò che in realtà ci spetta come diritto (e a volte neanche mantiene la promessa); etc. Perfino il lavoro, quando nella nostra vita prende il posto di Dio, può diventare un idolo dal quale aspettiamo salvezza, ma che in realtà ci riduce a schiavi.

«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.» Il Maestro è chiaro: a ciascuno il suo. A “Cesare”, all’autorità civile, va dato il rispetto per le leggi, il pagamento del tributo, ma a Dio va data tutta la nostra vita. Se, infatti, a Cesare va restituita l’immagine incisa nella moneta, a Dio va restituita l’immagine che Egli ha impresso in noi. Consapevoli della nostra “doppia cittadinanza” (Celeste e terrena), i cristiani siamo chiamati a testimoniare nella società civile la Vita bella del Vangelo con l’osservanza delle leggi giuste, comportandoci da cittadini responsabili attenti al Bene Comune quanto e forse più che al proprio particolare interesse privato; più attenti ai nostri doveri verso Dio e verso i fratelli, che ai nostri diritti.

Proprio perché cristiani, siamo chiamati ad essere presenti nella società civile anche con una consapevole partecipazione alla vita politica, ma soprattutto, come oggi ci invita a fare S. Paolo: con l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo.

Un ultima parola voglio spenderla sul verbo usato da Gesù nella sua risposta: “rendete”. Non usa il verbo dare, ma rendere, restituire. Un concetto molto caro anche a s. Francesco d’Assisi. È Dio il datore ci ogni bene. Noi non possiamo dare nulla a Dio che Lui non ci abbia già dato. È per il dono che ci è fatto che possiamo vivere la comunione con Dio per mezzo del nostro rendere ciò che ci ha dato. Non c’è rapporto con Dio che parta da noi stessi: ogni rapporto con Dio parte dal suo dono. Ogni comunione con Lui parte dal Suo dono. Restituiamo a Dio, allora, i doni che ci ha dato facendoli fruttificare a gloria del Suo nome.

Fr. Marco

Nessun commento:

Posta un commento