«Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio
popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti:
conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e
per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una
terra dove scorrono latte e miele”». (Es 3,1-8.13-15)
«… chi crede di stare in piedi,
guardi di non cadere …» (1Cor 10,1-6.10-12).
«Credete che quei Galilei fossero più
peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se
non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo … “Padrone, lascialo ancora
quest’anno, … Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo
taglierai”» (Lc 13,1-9)
In questa terza domenica di quaresima la
Liturgia della Parola ci esorta ancora, in maniera pressante, alla conversione.
Nella pagina di Vangelo che abbiamo ascoltato, infatti, Gesù prende spunto da
due fatti di cronaca che gli vengono riferiti per invitarci a cambiare vita, a
usare bene il tempo che ci viene donato per fare frutti di vita
eterna.
«Credete che … fossero più peccatori … per
aver subito tale sorte?» Sentendo parlare di alluvioni, terremoti,
disgrazie sul lavoro, morti sotto le bombe, forse anche a noi siamo tentati di
credere che le vittime di tali tragedie se le siano in qualche modo
“meritate”: è un pensiero che ci rassicura perché ci permette di puntare il
dito su gli altri e riusciamo a racchiudere la disgrazia in una logica che
possiamo comprendere.
«No, io vi dico, ma se non vi convertite,
perirete tutti allo stesso modo» Il Maestro prende le distanze da una
lettura che veda in queste tragedie il castigo di Dio. Tuttavia conclude: «se
non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Credo sia lo stesso
avvertimento che altrove diventa: «Il Figlio dell’Uomo verrà come un
ladro di notte» (Cfr. Mt 24, 42-44). È l’invito a essere sempre pronti
a rendere conto della nostra vita. Quegli uomini morirono improvvisamente e
forse senza essere pronti: ecco perché l’urgenza della conversione! Una
conversione personale: l’appello alla conversione non è per “gli altri”, è per
me. Sono io che devo convertirmi: abbandonare le mie vie per seguire le vie di
Colui che mi ama.
«Io sono colui che sono!» Il
nome di Dio rivelato a Mosè al roveto ardente andrebbe meglio tradotto «Io Sono
colui che ci sono (per te)» (Cfr. G. von Rad, Theologie des
Alten Testaments). Dinanzi le guerre e le sofferenze di tanti bambini e
innocenti, dinanzi gli stermini razziali e tutte le efferatezze di cui
l’umanità è capace, forse possiamo essere tentati di chiederci «Dov’è Dio?».
Oggi il Signore ci risponde: «Io ci sono!»: il nostro Dio conosce la sofferenza
dei suoi Figli e soffre con Essi. Lui c’è e alla fine avrà la vittoria.
Il nostro Dio, infatti, Colui che si è
rivelato a Mosè e, nella Sua Pienezza in Gesù, non è un Dio assente, lontano e
neanche un Dio vendicatore che ci punisce per il male che abbiamo fatto. Il
male è già punizione a se stesso e chi compie il male ne soffrirà le
conseguenze. Il Dio che ci rivela Gesù è, invece, un Padre che non smette di
chiamare il suo popolo alla salvezza, un Dio che “osserva la miseria” del suo
popolo con occhi di misericordia (Cfr. I lettura) e non cessa di chiamarlo a
libertà pronto a darci tutto l’aiuto di cui abbiamo bisogno.
Il nostro tempo, tuttavia, è limitato e
corriamo due pericoli ugualmente da evitare: da un lato il pericolo di
costruirci l’immagine errata di un “Dio giustiziere” pronto a “pesare”
scrupolosamente i nostri peccati e a punirci per essi; dall’altro lato il
pericolo di costruirci l’immagine di un Dio “troppo buono” che,
indipendentemente dalle nostre azioni, alla fine salverà tutti.
Entrambe le immagini sono false. La prima
immagine ci porta ad assumere atteggiamenti servili: agiamo spinti dalla
paura, attenti all’osservanza letterale della legge, ma con il
cuore distante da Dio. In tale prospettiva la salvezza, destinata a
pochissimi, non è dono di Dio, ma conquista dell’uomo che alla fine farà
l’amara scoperta di non potersi salvare e di non avere mai conosciuto il Dio
Vivente. La seconda immagine, al contrario, ci porta a deresponsabilizzarci, a
non vigilare sul nostro comportamento: viviamo, di fatto, come se Dio non
ci fosse, presumendo che ci sarà sempre tempo … e che alla fine “Dio
perdona tutti”. Dimentichiamo che il nostro tempo è limitato e che non
sappiamo quando compariremo davanti il Suo giusto giudizio. Il Dio vivo e vero
che Gesù, ci rivela in pienezza, è, invece, il Padre infinitamente giusto
e misericordioso: si china sulla miseria del suo popolo, prende l’iniziativa
della salvezza, nutre la nostra debolezza con i sacramenti, ma ci chiede di
accogliere questa salvezza, di portare frutto, di assumere la logica
dell’amore.
«Padrone, lascialo ancora quest’anno …». Usiamo
bene il tempo che il Signore ci dona, assumiamo la logica dell’amore sulla
quale saremo giudicati. Facciamo in modo di essere pronti quando il Signore
cercherà i frutti. Pur confidando nella misericordia del Padre, vigiliamo sulla
nostra vita senza presumere della nostra salvezza: «… chi crede di
stare in piedi, guardi di non cadere …».
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