sabato 12 settembre 2020

Perdona l’offesa al tuo prossimo e ti saranno rimessi i peccati.


«Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati?» (Sir 27,33 – 28,9)

«Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.» (Rm 14,7-9)

«“Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.”» (Mt 18,21-35)

Nel Vangelo della XXIV domenica del tempo ordinario, Gesù continua l’insegnamento di domenica scorsa mostrandoci l’esigenza del perdono reciproco. Alla correzione fraterna segue il perdono, cioè dare al fratello una nuova possibilità.

Il perdono, infatti, non è “dimenticare” il torto subito; un dimenticare che se da una parte sentiamo come impossibile, dall’altra potrebbe significare non voler guardare in faccia la realtà. Il perdono non è dato per debolezza; non è cioè fare finta di non tener conto di un torto per paura del più forte che l’ha commesso. Il perdono non consiste nell’affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male. Il perdono non è indifferenza.

Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi un atto di libertà, che consiste nell’accogliere il fratello e la sorella così com’è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all’offesa con l’offesa, ma nel fare quanto ci dice S. Paolo: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (Rm 12,21). Il perdono consiste nel donare al fratello che ha sbagliato la possibilità di un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi, per lui e per te, di ricominciare la vita, di far sì che il male non abbia l’ultima parola.

Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Un numero simbolico che indica la sovrabbondanza, il perdono illimitato. Pietro forse pensava di essere stato generoso nel perdonare “sette volte”: sette è il numero della pienezza, ma una pienezza “limitata”. Il Maestro chiede, invece, che il perdono sia illimitato, come quello che il Padre è disposto a concederci. Interessante, poi, che alcuni codici riportino “settantasette volte” con un chiaro riferimento a Gen 4,24: «Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette». Lì dove l’uomo cerca la vendetta, il Signore chiede il perdono.

La parabola che segue spiega anche il motivo del perdono: siamo del Signore, come ci ricorda oggi san Paolo nella seconda lettura, e a lui dobbiamo rendere conto delle nostre incorrispondenze, delle nostre ingratitudini … dei nostri peccati. Se prendessimo davvero coscienza di tutto l’amore che il Signore ogni giorno ci dona e delle nostre incorrispondenze, non potremmo che riconoscerci nel servo debitore di diecimila talenti che è impossibilitato a restituire. Gesù, nel Padre Nostro, ci ha insegnato a chiedere ogni giorno «rimetti a noi i nostri debiti». È il motivo per il quale cominciamo ogni nostra celebrazione con l’atto penitenziale, chiedendo perdono al Signore di tutti i nostri peccati.

Nel Padre Nostro chiediamo «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori» Come possiamo, però, chiedere al Signore di perdonarci se noi non siamo disposti a fare altrettanto con il nostro fratello? È ciò che si chiede nella prima lettura l’autore del libro del Siracide: «Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati?».

Accogliamo l’insegnamento di Gesù e perdoniamoci a vicenda di vero cuore per potere ricevere il perdono del Padre.

Fr. Marco

Nessun commento:

Posta un commento