«Abisài disse a
Davide: “Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io
l’inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo”.
Ma Davide disse ad Abisài: “Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul
consacrato del Signore ed è rimasto impunito?”». (1 Sam 26,2.7-9.12-13.22-23)
«Come è l’uomo
terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i
celesti. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili
all’uomo celeste.» (1Cor 15, 45-49)
«Ma a voi che
ascoltate, io dico … Amate invece i
vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra
ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo
verso gli ingrati e i malvagi.» (Lc 6, 27-38)
Domenica scorsa la Parola ci esortava a porre solo in Dio il
nostro fondamento, la nostra fiducia, e dichiarava: «maledetto l’uomo che confida nell’uomo» e «guai a voi, ricchi». Questa domenica, VII del tempo ordinario, la
Parola approfondisce ancora di più cosa significhi essere poveri e confidare
nel Signore e cosa invece essere ricchi e confidare nell’uomo (soprattutto in
se stessi).
Ma a voi che
ascoltate, io dico... La pericope evangelica di oggi, infatti, nel Vangelo di
Luca si apre con una congiunzione avversativa che rende esplicito il
collegamento con quanto precede e l’invito a prendere le distanze
dall’atteggiamento prima descritto: ricchezza e fiducia nelle proprie forze e
nell’approvazione degli uomini. Noi che
ascoltiamo la Parola, siamo invitati a vivere in un atteggiamento diverso.
Già nella prima lettura di oggi, vediamo Davide che rinuncia
a farsi giustizia con le proprie mani: Saul, che lo cerca per ucciderlo, si
trova esposto e vulnerabile. Abisai, pensando come direbbe s. Paolo, come l’uomo terreno, gli consiglia di
approfittare della debolezza del suo nemico e ucciderlo. Ma Davide pone la sua
fiducia nel Signore, non nelle proprie forze e sa che, nonostante tutto, Saul è
consacrato al Signore, appartiene a Lui. Solo al Signore spetta rendere a ciascuno secondo la sua giustizia
e la sua fedeltà.
Anche il Vangelo di oggi, quindi, ci invita a perdonare, a
fare del bene anche a chi ci fa del male, a pregare per i nostri nemici … vette
altissime della vita del cristiano. Talmente alte che da qualcuno sono
considerate irraggiungibili. Eppure solo comportandoci così saremo considerati
figli dell’Altissimo, che è benevolo
verso gli ingrati e i malvagi, e
potremo renderci conto se siamo passati dalla morte alla Vita. Lo dice
chiaramente l’Apostolo Giovanni nella sua prima lettera: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i
fratelli. Chi non ama rimane nella morte.» (1Gv 3,14). Rinunciamo a farci
giustizia da soli. Come il Padre Misericordioso, diamo tempo ai fratelli per
pentirsi. Ricordandoci, inoltre, che ogni giorno preghiamo il Padre di rimettere a noi i nostri debiti come noi li
rimettiamo ai nostri debitori, facciamo attenzione ad essere “di larga
manica” perché la misericordia nei nostri confronti possa essere altrettanto
abbondante. Faccio notare, ancora, che questa è l’unica petizione del Padre
Nostro che Gesù riprende e commenta: «Se
voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei
cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure
il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.» (Mt 6,14-15)
Riconoscendo la nostra povertà e piccolezza, allora, non
presumiamo di conoscere tutta la verità e lasciamo a Dio il giudizio. Verrà il
momento in cui ciascuno sperimenterà i frutti delle proprie scelte: la “morte”
il non senso eterno, l’eterna mancanza della “Vita”, della pienezza, del senso;
o la “Vita eterna”, la gioia piena, la felicità che non passa. Tutte cose che
sperimentiamo già qui nella misura in cui viviamo in Dio o senza di Lui.
Amate invece i vostri
nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla. Torna l’appello alla
povertà, a non confidare nella carne, a non fare del bene per ottenere un
contraccambio, a non sperare nulla
dal bene che facciamo. Se amiamo quelli che ci amano (se poniamo come
condizione al nostro amore il fatto di essere a nostra volta amati), e facciamo
del bene per ricevere altrettanto, stiamo ponendo la nostra fiducia sulle
nostre forze, stiamo cercando una “ricchezza” su cui confidare e ricadiamo
nella maledizione dell’uomo che confida nell’uomo. Ciò vale nei confronti degli
“uomini” che siamo chiamati ad amare “gratuitamente”, anche se a nostro parere
non se lo meritano; ma vale anche nei confronti di Dio che siamo chiamati ad
amare per se stesso, da figli e non da “mercenari” che fanno qualcosa per
ottenere una ricompensa.
Le mete che oggi ci pone il Vangelo sono altissime, ma
imprescindibili per chi vuole seguire il Maestro sulla via della vita. Benché
altissime, inoltre, sono mete “alla nostra portata”. Come ci ricorda S. Paolo
nella seconda lettura, infatti, con il Battesimo siamo stati conformati
all’Uomo Celeste, al nostro Signore Gesù Cristo, abbiamo ricevuto lo Spirito
Santo, lasciamolo operare nella nostra vita.
Fr. Marco
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