sabato 28 luglio 2018

Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto

«Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”». (2Re 4,42-44)

« … comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.» (Ef 4,1-6)

«“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?” … erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. … riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.» (Gv 6,1-15)

La Parola di Dio della XVII domenica del Tempo ordinario prosegue il racconto della “cura pastorale” di Gesù verso le folle. La scorsa domenica, nel Vangelo, ascoltavamo che Gesù ha compassione della folla perché erano come pecore che non hanno pastore e Lui, il  Vero e Buon Pastore, si mette a insegnare, dà loro la guida di cui hanno bisogno per giungere ai “pascoli” della Vera Vita. La liturgia di questa domenica continua il racconto scegliendo, però, la versione del vangelo di Gv più ricco di simboli: l’erba su cui viene fatta sedere la folla, simbolo dei pascoli a cui il buon pastore conduce il gregge; la simbologia eucaristica dei gesti e delle parole di Gesù; le dodici ceste avanzate simbolo delle “dodici colonne” del nuovo popolo di Dio.
Centro della Parola odierna, oltre alla presentazione di Gesù come il Vero Pastore, il “profeta” atteso che attualizza i gesti di Mosè nell’esodo (Cfr. Dt 18,18), è la necessità della condivisione.
L’indiscusso protagonista del brano evangelico è Gesù che prende l’iniziativa di nutrire la folla; che, provocatoriamente, pone la domanda: Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?; che distribuisce il pane ed il pesce. Perché il miracolo si compia, tuttavia, Gesù chiede la collaborazione dell’uomo: si fa consegnare i cinque pani e due pesci, il poco posseduto da un ragazzo presente.
Solo a partire da questo gesto di condivisione di chi non tiene per sé il poco che possiede, ma è pronto a donarlo con generosità, è possibile il miracolo che tutti abbiano da mangiare. La “logica del mondo”, improntata all’egoismo, insegna: «Meglio uno sazio che cento digiuni!»; la logica evangelica, invece, ci insegna a donare con generosità, a “perdere”, per amore. Solo il pane condiviso è capace di saziare quella “fame” che nessun pane potrà mai saziare: la fame di amore, di fraternità, di comunione.
Gesù non ha cessato di prendersi cura del suo popolo: è ciò che avviene ad ogni celebrazione eucaristica in cui veniamo nutriti alla duplice mensa della Parola e dell’Eucarestia. Oggi come allora, però, il Maestro chiede la collaborazione della pochezza umana per potere compiere il suo miracolo. All’offertorio, insieme al pane ed al vino, siamo chiamati a presentare a Gesù ciò che essi significano: il nostro lavoro quotidiano, la nostra stessa vita, “la gioia e la fatica di ogni giorno”. È tutto questo che Lui moltiplica e “trasforma” per donarci se stesso, il Suo Corpo e Sangue che ci nutre per la vita eterna e ci dà la forza per unire la nostra vita alla Sua offerta per la salvezza del mondo.
Lo facciamo sacramentalmente durate la celebrazione, ma siamo poi chiamati a viverlo esistenzialmente uscendo dalle nostre chiese: siamo chiamati, sull’esempio del Maestro, a fare della nostra vita un dono d’amore; a non farci fermare dalla nostra pochezza: fidiamoci del Signore che la farà sovrabbondare. Siamo chiamati, infine, a “sopportarci nell’amore” gli uni gli altri: a sostenere la debolezza del fratello/sorella che il Signore mi ha messo accanto, a sorreggerlo e a custodirlo.

Oggi è in maniera particolare il fenomeno migratorio a chiamarci alla solidarietà, a non chiudere il cuore dinanzi a questi fratelli e sorelle che spinti da sogni e spesso illusi ed ingannati da veri e propri “trafficanti di uomini”, intraprendono un viaggio disperato verso una vita migliore (che spesso non trovano). Ognuno con il suo ruolo, abbiamo il dovere di rispondere a questo fenomeno. Chi ha il ruolo di Governo non può sottrarsi al compito di “governare” il fenomeno: regolamentando gli arrivi perché i fratelli e sorelle accolti possano realmente essere integrati e non buttati in mezzo alla strada a chiedere l’elemosina (o peggio schiavizzati sui marciapiedi o nei campi), come ha ricordato Papa Francesco il 22 giugno scorso; richiamando l’Europa tutta a farsi carico dell’accoglienza e lavorando perché cessino nelle Terre di origine di questi fratelli e sorelle le condizioni di miseria spesso causate dalle “politiche coloniali” di quei paesi che con più difficoltà si aprono alla prima accoglienza. Ad ognuno di noi compete, però, aprire realmente il cuore a questi fratelli e sorelle, non solo a parole o con begli slogan, ma concretamente per quanto si può con intelligenza e discernimento ( che sono doni dello Spirito).
Se faremo così Vivremo la Vita Piena che il Signore ci ha pensato per noi e il mondo resterà affascinato dal nostro Maestro.
Fr. Marco

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