«Dallo da mangiare
alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”». (2Re
4,42-44)
« … comportatevi
in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e
magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare
l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.» (Ef 4,1-6)
«“C’è qui un ragazzo
che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?” …
erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso
grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto
ne volevano. … riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani
d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.» (Gv 6,1-15)
La Parola di Dio della XVII domenica del Tempo ordinario prosegue
il racconto della “cura pastorale” di Gesù verso le folle. La scorsa domenica,
nel Vangelo, ascoltavamo che Gesù ha compassione della folla perché erano come pecore che non hanno
pastore e Lui, il Vero e Buon Pastore, si mette a insegnare, dà
loro la guida di cui hanno bisogno per giungere ai “pascoli” della Vera Vita. La
liturgia di questa domenica continua il racconto scegliendo, però, la versione del
vangelo di Gv più ricco di simboli: l’erba su cui viene fatta sedere la folla,
simbolo dei pascoli a cui il buon pastore conduce il gregge; la simbologia
eucaristica dei gesti e delle parole di Gesù; le dodici ceste avanzate simbolo
delle “dodici colonne” del nuovo popolo di Dio.
Centro della Parola odierna, oltre alla presentazione di
Gesù come il Vero Pastore, il “profeta” atteso che attualizza i gesti di Mosè
nell’esodo (Cfr. Dt 18,18), è la necessità della condivisione.
L’indiscusso protagonista del brano evangelico è Gesù che prende l’iniziativa
di nutrire la folla; che, provocatoriamente, pone la domanda: Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?; che distribuisce il pane ed il pesce. Perché il
miracolo si compia, tuttavia, Gesù chiede la collaborazione dell’uomo: si fa
consegnare i cinque pani e due pesci, il poco posseduto da un ragazzo presente.
Solo a partire da questo gesto di condivisione di chi non
tiene per sé il poco che possiede, ma è pronto a donarlo con generosità, è
possibile il miracolo che tutti abbiano da mangiare. La “logica del mondo”, improntata
all’egoismo, insegna: «Meglio uno sazio che cento digiuni!»; la logica evangelica,
invece, ci insegna a donare con generosità, a “perdere”, per amore. Solo il
pane condiviso è capace di saziare quella “fame” che nessun pane potrà mai
saziare: la fame di amore, di fraternità, di comunione.
Gesù non ha cessato di prendersi cura del suo popolo: è ciò
che avviene ad ogni celebrazione eucaristica in cui veniamo nutriti alla
duplice mensa della Parola e dell’Eucarestia. Oggi come allora, però, il
Maestro chiede la collaborazione della pochezza umana per potere compiere il suo
miracolo. All’offertorio, insieme al pane ed al vino, siamo chiamati a
presentare a Gesù ciò che essi significano: il nostro lavoro quotidiano, la
nostra stessa vita, “la gioia e la fatica di ogni giorno”. È tutto questo che
Lui moltiplica e “trasforma” per donarci se stesso, il Suo Corpo e Sangue che
ci nutre per la vita eterna e ci dà la forza per unire la nostra vita alla Sua
offerta per la salvezza del mondo.
Lo facciamo sacramentalmente durate la celebrazione, ma siamo poi chiamati a
viverlo esistenzialmente uscendo dalle nostre chiese: siamo chiamati,
sull’esempio del Maestro, a fare della nostra vita un dono d’amore; a non farci
fermare dalla nostra pochezza: fidiamoci del Signore che la farà sovrabbondare.
Siamo chiamati, infine, a “sopportarci nell’amore” gli uni gli altri: a
sostenere la debolezza del fratello/sorella che il Signore mi ha messo accanto,
a sorreggerlo e a custodirlo.
Oggi è in maniera particolare il fenomeno migratorio a
chiamarci alla solidarietà, a non chiudere il cuore dinanzi a questi fratelli e
sorelle che spinti da sogni e spesso illusi ed ingannati da veri e propri “trafficanti
di uomini”, intraprendono un viaggio disperato verso una vita migliore (che
spesso non trovano). Ognuno con il suo ruolo, abbiamo il dovere di rispondere a
questo fenomeno. Chi ha il ruolo di Governo non può sottrarsi al compito di “governare”
il fenomeno: regolamentando gli arrivi perché i fratelli e sorelle accolti
possano realmente essere integrati e non buttati in mezzo alla strada a
chiedere l’elemosina (o peggio schiavizzati sui marciapiedi o nei campi), come
ha ricordato Papa Francesco il 22 giugno scorso; richiamando l’Europa tutta a
farsi carico dell’accoglienza e lavorando perché cessino nelle Terre di origine
di questi fratelli e sorelle le condizioni di miseria spesso causate dalle “politiche
coloniali” di quei paesi che con più difficoltà si aprono alla prima
accoglienza. Ad ognuno di noi compete, però, aprire realmente il cuore a questi
fratelli e sorelle, non solo a parole o con begli slogan, ma concretamente per
quanto si può con intelligenza e discernimento ( che sono doni dello Spirito).
Se faremo così Vivremo la Vita Piena che il Signore ci ha
pensato per noi e il mondo resterà affascinato dal nostro Maestro.
Fr. Marco
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