lunedì 30 dicembre 2024

Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna

 « … porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò» (Nm 6, 22-27)

«Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.» (Gal 4,4-7)

«Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.» (Lc 2,16-21)

Ogni anno civile si chiude e si apre sotto la materna protezione di Maria santissima Madre di Dio. La liturgia della Parola di questa solennità si apre con la benedizione che Signore consegna a Mosè perché benedica il Popolo. Anche oggi, attraverso la sua santissima Madre, il Signore fa splendere il suo volto sui suoi consacrati. 

La pagina del Vangelo ci porta ancora una volta, insieme ai pastori, davanti la mangiatoia in cui è adagiato Gesù nostra Speranza, il principe della Pace, il Volto della Misericordia di Dio, che viene nel fragile segno di un bambino. Come i pastori, anche noi, siamo invitati a lasciarci prendere dallo stupore. In una società come quella attuale dove sembra che niente possa più stupirci, dove assistiamo continuamente e con atteggiamento indifferente alle più alte vette del genere umano e alle più abbiette miserie della nostra umanità, siamo invitati a ravvivare la nostra Speranza e a riscoprire il sentimento di stupore che prese i pastori dinanzi la gloria di Dio manifestata nel bambino Gesù. Anche quando non capiamo dove il Signore sta conducendo la nostra storia, come Maria santissima fidiamoci del Signore e lasciamo che continui a mostrarci le sue meraviglie!

«Maria … custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» È importante che impariamo l’atteggiamento di Maria la quale meditava la povertà della stalla, la visita dei pastori mandati da un angelo, il canto delle schiere celesti degli angeli. Meditava soprattutto il mistero del suo figlio, Dio fatto uomo ed era consapevole della sua divina maternità. Quel bambino piccolo, debole e bisognoso di tutto era il suo Dio ed era suo figlio! L'infinita tenerezza della maternità di Maria è un riflesso della paternità di Dio.

In questo giorno in cui inizia un nuovo anno civile, impariamo, inoltre, dalla nostra santissima Madre a mettere Gesù al centro della nostra vita. Maria, infatti, in quanto Madre di Dio, è costantemente rivolta al Figlio con lo sguardo, il pensiero, il cuore e tutta se stessa. Ha contemplato Gesù fin dalla sua nascita in costante atteggiamento di stupore e di adorazione.

Iniziando il nuovo anno, credo sia bello oggi pregare il Signore, con le parole di quella che forse è la più antica preghiera mariana (III sec.), perché ci conceda la pace per intercessione della Madre di Dio: «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta».

Alla protezione della Madre di Misericordia, come la invochiamo nel Salve Regina,  affidiamo tutte le vittime, della violenza delle guerre, dell'odio, dell’egoismo; specialmente i cristiani vessati, sradicati, perseguitati e uccisi. Preghiamo perché in quest’anno giubilare, facendo esperienza dell’Amore misericordioso del Padre, possiamo ravvivare la nostra Speranza.

In questo primo giorno dell’anno, guidati dalla Parola e resi figli nel Figlio, lasciamoci raggiungere dalla benedizione divina e lasciamo che il Suo volto Misericordioso risplenda su di noi e attraverso di noi perché il mondo conosca quella Pace che il Signore è venuto a portare. Buon 2025. 

Fr. Marco

venerdì 27 dicembre 2024

Siamo figli di Dio. Accogliamo l'amore del Padre

«Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, “perché – diceva – al Signore l’ho richiesto”». (1Sam 1,20-22.24-28)

«Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato […] Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui.» (1Gv 3,1-2.21-24)

«“Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”» (Lc 2,41-52)

​ Nelle messe di Natale Gesù ci è stato presentato, come la Luce vera del mondo che viene a darci la Speranza: il Verbo eterno del Padre che si fa uomo perché noi possiamo diventare figli di Dio (cfr. Gv1,12). Oggi, festa della Santa Famiglia, la Parola di Dio ci presenta in che modo il Verbo eterno si incarna nel nucleo fondamentale della Chiesa che è la famiglia. La pagina di Vangelo, infatti, ci racconta uno scorcio di quotidianità della famiglia di Nazareth.

Una cosa è subito chiara: è una famiglia “esperta nel soffrire” (come la definisce l’inno delle Lodi mattutine), a cui non sono risparmiati i travagli e le angosce di ogni giorno. In questo passo del Vangelo di Luca, Maria e Giuseppe appaiono angosciati per lo smarrimento di Gesù. La pace che viene a portare Gesù, infatti, non è assenza di tribolazioni, ma una capacità di affrontarle con la comunione animata dall’Amore che si accoglie da Dio e che ci permette di accoglierci reciprocamente come dono.

La liturgia della Parola di questa festa, in effetti, evidenzia come tutto, perfino il dono fondamentale della vita, sia un dono da accogliere con gratitudine da Dio. È ciò che sottolinea la prima lettura presentandoci la gratitudine di Anna per il dono del figlio Samuele. I figli sono un dono da impetrare e accogliere con gratitudine, non un diritto da pretendere; né tantomeno un “prodotto” da ordinare a pagamento! Anche S. Giovanni, nella seconda lettura,  manifestando lo stupore per il grande amore del Padre che ci ha resi suoi figli, ci orienta alla gratitudine per la liberalità di Dio.

È nella categoria del dono, quindi, che siamo chiamati a leggere la nostra vita: un dono che abbiamo ricevuto e che a nostra volta offriamo ai fratelli. Per poterci comprendere come dono, però, è necessario che riconosciamo il Donatore, che diamo il giusto posto al Padre che ci ha amati fin dall’eternità ed ha per noi progetti di salvezza: noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato.

«Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» La Santa Famiglia oggi ci è presentata come modello di ogni famiglia chiamata a mettere Dio al centro, ad accogliere il Suo amore, perché i membri della famiglia possano accogliersi l’un l’altro nella libertà senza possessi soffocanti o disinteresse deresponsabilizzante. Mettendo Dio al centro, “occupandosi delle cose del Padre”, ciascuno potrà scoprire pienamente se stesso e accogliere l’altro con un amore che fa crescere e libera.

Impariamo dalla sacra famiglia a leggere la  nostra vita nella categoria del dono. Accogliamo il Dono dell’Amore misericordioso del Padre, mettiamo Lui al centro della nostra vita e della nostra famiglia. Scopriremo il progetto d’amore che Egli ha per ciascuno di noi, quel progetto concretizzando il quale saremo davvero uomini e donne realizzati.

Fr. Marco

martedì 24 dicembre 2024

L'Eterno entra nella storia! Gloria a Dio nel più alto dei cieli

 «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”». (Is 52,7-10)

«Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente» (Eb 1,1-6)

​«Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.» (Gv 1,1-18)

​In questo giorno solennissimo non c’è spazio per la tristezza: viene nel mondo il Messaggero dell’amore misericordioso di Dio, irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, la Luce vera che illumina ogni uomo, dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia!

Il nostro Signore Gesù Cristo, il Volto della Misericordia di Dio, si è fatto uno di noi, si è consegnato piccolo e fragile nelle nostre mani. L’Onnipotente si è fatto bisognoso dell’amore di una madre, della custodia di un padre, del calore del fieno.

Questa notte, inoltre, si è aperto l’anno giubilare che ravviva la nostra Speranza e ci permette di fare esperienza in modo particolare della Misericordia del Padre.

La Speranza non delude: il Creatore del mondo, Colui per mezzo del quale tutto e stato fatto e senza del quale nulla è stato fatto di ciò che esiste, si china sulla miseria degli uomini. L’Eterno entra nella storia. il Signore si fa obbediente e si assoggetta alle leggi umane.

Il Figlio eterno del Padre si fa figlio dell’uomo per renderci figli di Dio. Ci chiede solo di essere accolto, di credere in Lui, per compiere questo miracolo. 

Che significa però accoglierlo e credere? Significa riconoscerlo Signore delle nostra vita, riconoscerci bisognosi della Sua Misericordia e lasciarlo operare in noi.

È proprio sulla docilità necessaria ad accoglierlo che vorrei fermare la mia attenzione. Questa notte, ascoltando il racconto della nascita di Gesù secondo il Vangelo di Luca, abbiamo contemplato la docilità della Sacra Famiglia alla volontà di Dio che si manifestava attraverso le leggi umane: un decreto di Cesare Augusto li mette in movimento, li fa partire dalla loro casa, dalla loro sicurezza, proprio all’approssimarsi del tempo in cui sarebbe nato il Bambino atteso. In tal modo, per Maria si compiono i giorni del parto proprio in quelle condizioni che, immagino, non avrebbe scelto: lontana dalle persone care, fuori casa perché non c’è posto pel loro, costretta a rifugiarsi in una stalla e ad usare una mangiatoia come culla per il Neonato.

È proprio attraverso quest’ “obbedienza agli eventi”, però, che si manifesta la Misericordia di Dio per l’umanità: Colui che è venuto per cercare le pecore perdute della casa d’Israele, nasce in una stalla adorato dai pastori; il Pane del Cielo che viene a saziare la fame dell’umanità, nasce a Betlemme, la “casa del pane”, ed è deposto in una mangiatoia; colui che è il Messia atteso dalla discendenza davidica, nasce nella città di Davide.

Accogliamo docilmente la manifestazione della Misericordia di Dio, lasciamo che Colui che “sa scrivere dritto nelle righe storte degli uomini” conduca la nostra storia. Crediamo davvero nel suo amore misericordioso e fidiamoci di Lui. Anche noi allora vedremo le meraviglie di Dio e saremo riempiti della Grazia. Auguri.

Fr. Marco.

lunedì 23 dicembre 2024

Per loro non c’era posto nell’alloggio

«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia.» (Is 9,1-6)

«Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani» (Tt 2,11-14)

«Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.» (Lc 2,1-14)

Celebrando la solennità del Natale, siamo invitati a gioire perché è avvenuto l’impossibile: il Verbo si è fatto Carne, l’Eterno è entrato nel tempo, Dio si è fatto uomo; il Creatore si è fatto creatura nel grembo della Vergine per fare di noi, sue creature, figli di Dio. Contemplando il fragile segno del Bambino posto nella mangiatoia, quindi, esultiamo di gioia. Una gioia, però che purtroppo non raggiunge tutti.

«Per loro non c’era posto nell’alloggio». Così abbiamo sentito nella pagina di Vangelo. Maria e Giuseppe sono costretti a trovare rifugio in una stalla e la prima culla del Figlio Eterno del Padre fatto uomo è una mangiatoia. Il mondo non lo ha riconosciuto e purtroppo ancora non lo riconosce. Quanti festeggiano un natale senza senso, un natale in cui non nasce nessuno, in cui non c’è Gesù!

«Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto». Ad accoglierlo, lo abbiamo sentito, sono solo i pastorelli che vegliavano le greggi. I “grandi della terra” non si accorgono nemmeno della sua venuta. “I suoi”, quanti si fregiavano del titolo di popolo di Dio, hanno smesso di attendere e non si accorgono di lui. Tra qualche giorno, inoltre, scopriremo che, tutt’altro che accoglierlo, “i suoi” vogliono eliminarlo.

«A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio». Così ci ricorderà la pericope evangelica della Messa del giorno. Il Figlio eterno del Padre è venuto a renderci figli! Non solo creature, ma figli, capaci di riconoscere il Padre e di entrare in relazione con Lui. Cosa significa accogliere il Verbo Eterno fatto uomo? Significa riconoscerlo Dio, Signore della nostra vita e vivere sotto la Sua signoria; significa ascoltare la Sua Parola e fare la Sua Volontà. Se accolgo Gesù come Signore, è evidente che non sono più io il signore della mia vita e sicuramente non sono il signore di quanti mi stanno accanto. Ecco perché è così difficile accoglierlo: l’uomo figlio di Adamo, vuole essere signore, vuole dominare, vuole decidere ciò che è bene e ciò che è male … e così facendo si rovina la vita. Essendo solo una creatura, infatti, non può donarsi la vita. Le sue scelte senza Dio, che è la Vita, non possono che essere scelte di morte.

A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. Il Battesimo, conformandoci a Cristo, ci rende figli di Dio. Una volta questo sacramento, celebrato da adulti, era frutto di una scelta consapevole alla quale ci si preparava per anni: davvero si accoglieva Gesù come Signore. Oggi, con il Battesimo dei bambini amministrato in una società anticristiana, spesso ci si ritrova cristiani senza esserlo mai diventati.

Accogliendo Gesù diventiamo Figli di Dio. In relazione d'Amore col Padre. Con la serena consapevolezza di avere un Padre che provvede a noi. Sapendo che dove non arriviamo noi, arriva il Padre. Con la certezza che la nostra vita è nelle mani del Padre e che alla fine sarà il Suo abbraccio ad accoglierci.

Facciamo posto nella nostra vita al Verbo Eterno, alla Parola di Dio che si fa carne; riconosciamo, con i fatti e nella verità, Gesù come Signore della nostra vita per sperimentare la gioia di essere figli di Dio. Buon Natale del Signore.

Fr. Marco

venerdì 20 dicembre 2024

Ecco, io vengo per fare la tua volontà

«E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1-4)

«“Ecco, io vengo per fare la tua volontà”. Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo.» (Eb 10,5-10)

«Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa,  … “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”.» (Lc 1,39-45)

Nella quarta domenica di avvento, ormai a pochi giorni dal Natale, la pagina di Vangelo ci fa contemplare la visita di Maria a s. Elisabetta. Il Signore, che sceglie la via della piccolezza per manifestarsi, viene a visitare il suo popolo e a portare la Gioia piena che il mondo non conosce.

Maria si alzò e andò in fretta … La scena della visitazione, raccontando la gioia dell’incontro tra le due madri e i bimbi che portano in grembo, ci mostra la gioia che scaturisce dall’accoglienza e dalla condivisione. Elisabetta, e Giovanni nel suo grembo, sono pieni di gioia per avere accolto Maria ed in lei Gesù. Dal canto suo Maria è piena di gioia perché ha accolto la volontà del Padre e ha generato nel suo grembo, per opera dello Spirito Santo, il Figlio Unigenito. Questa gioia, però, chiede di essere condivisa, la spinge verso la parente nel bisogno presso cui rimane il tempo necessario al servizio.

« … il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo» Nel descrivere la scena dell’incontro, l’evangelista Luca ha di certo in mente il racconto del viaggio dell’Arca dell’Alleanza dalla casa di Obed Edom a Gerusalemme (1Cr 15,25-29): come Davide danzò di gioia dinanzi l’Arca dell’alleanza, così Giovanni Battista, nel grembo della madre, danza di gioia all’arrivo di Maria, la vera e definitiva Arca dell’Alleanza. Quella antica conteneva una testimonianza della manna del deserto, Maria porta in sé il vero Pane del Cielo; l’Arca conteneva le tavole della Legge, Maria porta in sé il Legislatore divino.

«Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» Ritengo sia utile evidenziare che la gioia di Elisabetta nasce anche dal sapere scorgere senza invidia l’opera che il Signore sta compiendo in Maria. Quanta tristezza scaturisce, invece, in noi quando, con occhi, impuri guardiamo con invidia l’opera che Dio compie nei nostri fratelli e attraverso di loro!

Il Signore è vicino: contemplando la scena della visitazione, prepariamoci anche noi ad accogliere Colui che viene a fare la Volontà del Padre donando tutto se stesso. Sperimentiamo anche noi la gioia accogliendoci reciprocamente, mettendoci gli uni al servizio degli altri. Se sarà vera accoglienza (e non strumentalizzazione dell’altro), se sarà vero servizio (e non ricerca di guadagno), se saremo mossi da vero amore (e non da desiderio di visibilità e approvazione), allora sperimenteremo la Gioia perché nell’altro accoglieremo Gesù. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

sabato 14 dicembre 2024

Rallègrati! Il Signore tuo Dio è un salvatore potente

 «Rallègrati, figlia di Sion, grida di gioia, … non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,14-18)

«Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-7)

«In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: “Che cosa dobbiamo fare?”. … «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. … “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. … “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; …”» (Lc 3,10-18)

Questa domenica, terza di Avvento, è detta domenica Gaudete dalla prima parola dell’antifona d’ingresso, ed è caratterizzata dalla letizia: il Signore è vicino e viene a salvarci e a rinnovarci con il Suo Amore; viene a incontrare la sua creazione su cui non cessa di riversare il Suo Amore salvifico e misericordioso. L’attesa si colora di Speranza e di gioia.

La prima lettura, tratta dal libro del profeta Sofonia, ci presenta la gioia del Popolo che vede revocata la sua condanna e sperimenta l’amore e la vicinanza di Dio. Anche S. Paolo, nella seconda lettura, ci invita a stare sempre lieti nel Signore perché la nostra gioia diventi testimonianza della salvezza ricevuta.

«Che cosa dobbiamo fare?» Perché la gioia raggiunga anche noi, che troppo spesso siamo in preda alla tristezza e alla disperazione, come i contemporanei del Battista siamo chiamati a fare frutti degni della conversione (Cfr. Lc 3,8). Nella pericope evangelica odierna il Battista, rispondendo alla domanda della folla, ripropone l’insegnamento dei profeti poi ripreso da Gesù e specificherà quali sono questi frutti di conversione: l’amore operoso e misericordioso del prossimo come autenticazione dell’amore per Dio.

Se facciamo attenzione alle risposte che Giovanni dà alle richieste della folla, notiamo che egli non chiede ai suoi interlocutori di “uscire dal mondo”, di lasciare il loro stato di vita: c’è speranza di salvezza per ogni uomo in ogni stato di vita.

«Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». La prima indicazione del Battista è quella della condivisione, del prendersi cura del fratello nel bisogno. Anche qui, Giovanni non chiede alle folle di spogliarsi per donare tutto ai poveri (non tutti sono chiamati a questo), ma chiede di condividere ciò che si ha, di non restare indifferenti al bisogno dei fratelli.

«Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». La seconda risposta del Battista, rivolta ai pubblicani, invita a rinunciare all’avidità e al disonesto guadagno. Anche per loro, considerati peccatori pubblici, c’è speranza di salvezza se smetteranno di attaccare il cuore e le loro speranze al denaro da procurarsi ad ogni costo, anche con sotterfugi e disonestà. Anche a noi oggi Giovanni chiede di vivere onestamente, di non cercare più di quanto è lecito, di rinunciare al guadagno disonesto, di non vivere la nostra vita andando avanti a forza di inganni e raccomandazioni; di accontentarci di ciò che ci spetta (invito ripreso poi anche nella risposta ai soldati).

 «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Ai soldati il Battista chiede di rinunciare alla violenza gratuita e alla volontà di sopraffazione. Anche per noi oggi è valido l’invito alla “non violenza”: quanta violenza nei nostri rapporti interpersonali! Quante volte abbiamo cercato di sopraffare l’altro con la violenza delle nostre parole e dei nostri atteggiamenti se non addirittura con la violenza fisica!

«Viene colui che è più forte di me, a cui  non sono degno di sciogliere i lacci dei sandali». Un’ulteriore indicazione su cosa fare possiamo trarla dal comportamento del Battista dinanzi le attese messianiche dei suoi contemporanei: l'umiltà di riconoscere il proprio giusto posto, il non appropriarsi della gloria che non ci appartiene.

«Fratelli, siate sempre lieti nel Signore». Nella seconda lettura, infine, san Paolo ci suggerisce un ultimo “frutto” di conversione: la letizia. Convertirsi significa entrare nella logica del Vangelo, della “buona notizia” che il Signore ci ha salvato, che il Signore è vicino. Un vangelo che siamo chiamati a testimoniare prima di tutto con la nostra vita lieta e bella.

Il Natale è ormai vicino,  esercitiamoci in questo ultimo tratto dell’Avvento a mostrarci sempre amabili e lieti. Ritengo che sia una “penitenza” non facile, gradita al Signore e che ci renderà testimoni credibili: il Signore è vicino.

fr. Marco

sabato 7 dicembre 2024

Santi e immacolati di fronte a lui nella carità

 «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,9-15.20)

«Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, … In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo» (Ef 1,3-6.11-12)

«Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te … Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,26-38)

La liturgia della Parola della solennità dell’Immacolata Concezione di Maria si apre con il racconto delle immediate conseguenze del peccato dei progenitori: la rottura di ogni rapporto di amicizia tra l’uomo e Dio («Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto»), tra l’uomo e la donna («La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato») e tra l’umanità e il creato («Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato»). Insieme all’inimicizia con il Creatore, entra nella creazione anche la paura.

Questa inimicizia, infatti, questa incapacità di vedere Dio come il Padre che ci ama al di là di ogni nostra immaginazione e i fratelli e il Creato come un dono d’amore, è la conseguenza del peccato originale che si tramanda per ogni generazione. Con il peccato l’anima separata da Dio sperimenta la paura e la morte.

La pagina di Genesi che abbiamo ascoltato nella prima lettura, però, si conclude con quello che viene chiamato il “proto-vangelo”: l’annuncio che la Stirpe della Donna avrebbe schiacciato la testa del serpente antico.

È quello che avviene in Maria: in vista dei meriti di Cristo, è da Lui redenta fin dal grembo materno e quindi resa capace, con la sua obbedienza fiduciosa al progetto del Padre, di essere “aurora della redenzione”, colei attraverso la quale è giunto nel mondo il Redentore.

In questa solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, però, vorrei che riflettessimo su ciò che questo dogma dice a noi per la nostra salvezza. Maria oggi ci viene presentata non solo come “avvocata di grazia”, ma anche come “modello di santità” (prefazio). L’opera redentrice di Cristo, che ci raggiunge nei sacramenti, infatti, compie in noi ciò che ha operato in Maria fin dal concepimento: Maria è immacolata fin dal grembo materno, noi diventiamo immacolati con il battesimo.

A differenza di Maria, tuttavia, noi non sempre corrispondiamo pienamente a questa Grazia rendendoci colpevoli con i nostri peccati volontari (mai compiuti da Maria) e non aderendo al progetto d’amore del Padre. Per questo il Signore, che, come ci ricorda S. Paolo oggi nella seconda lettura, ci vuole santi e immacolati di fronte a lui nella carità, ha istituito il sacramento della riconciliazione: se ben celebrato (con un vero pentimento e un sincero proposito di non peccare più), ci restituisce la santità battesimale. È un ottimo modo per “preparare la via del Signore, raddrizzare i suoi sentieri”, come ci avrebbe esortato a fare Giovanni Battista invitandoci ad attendere la manifestazione della Salvezza di Dio (Cfr. Lc 3,1-6).

Non sprechiamo tali doni d’amore, ma impegniamoci a corrispondere alla Grazia di cui Dio vuole colmarci e a compiere la volontà del Padre nella nostra vita. Guardando a Maria tutta bella, ricolma di ogni virtù e senza alcuna macchia di peccato, la Chiesa tutta e ogni singolo battezzato può oggi contemplare ciò che il Signore vuole fare con ciascuno di noi e con la Chiesa nel suo insieme: un capolavoro di Santità.

Contemplando Maria la nostra madre immacolata, anche noi impegniamoci ogni giorno per dire a Dio la nostra risposta di obbedienza fiduciosa: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

Fr. Marco.

venerdì 29 novembre 2024

State attenti a voi stessi. Vegliate in ogni momento pregando.

 «In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.» (Ger 33,14-16)

«Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti … come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio …» (1Ts 3,12-4,2)

«Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. … Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo.» (Lc 21,25-28.34-36)

Quest’anno la Parola di Dio della prima domenica di Avvento ci presenta la duplice attesa che caratterizza questo tempo della Chiesa. Colui che nella pienezza del tempo è venuto come Salvatore, tornerà a ricapitolare tutta la Storia e ad instaurare il Regno Eterno.

Nella prima lettura, infatti, il profeta Geremia, rivolgendosi ad un popolo che va verso la deportazione e non vede speranza di salvezza, profetizza la nascita di un germoglio di Davide che avrebbe regnato con giustizia su tutta la terra. Nel Vangelo, invece, Gesù parla delle “cose ultime” che devono accadere; cose che sconvolgeranno e getteranno nel terrore coloro che hanno lasciato che il loro cuore si appesantisca in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita, ma che per i discepoli di Cristo sono il segno della liberazione definitiva, dell’avvento finale del Regno.

Ciò che caratterizza la Parola di oggi è quindi la Speranza fiduciosa che, proprio quando sembrerà che tutto sia perduto, allora vedremo il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria per ristabilire la giustizia e ricapitolare tutto in Dio.

«State attenti a voi stessi …» Oggi il Maestro ci esorta prepararci adeguatamente alla venuta gloriosa. Non lasciamo che le “cose del mondo” appesantiscano i nostri cuori e ci facciano smettere di attendere e sperare. È questo il pericolo da cui oggi siamo messi in guardia: che ci lasciamo “ubriacare” dal mondo e smettiamo di attendere, accontentandoci di una vita piatta e senza speranza. Per scongiurare questo pericolo, il Vangelo di oggi ci invita a “vegliare pregando” cioè a stare vigili, attenti, ben desti rivolgendo sempre il nostro sguardo al Signore che è già venuto nella “pienezza del tempo”, che verrà alla “fine dei tempi” e che è già presente (nei Sacramenti, amministrati dalla Chiesa, e nei fratelli, soprattutto i più “piccoli”).

«State attenti a voi stessi …» Credo sia importante la sottolineatura: “a voi stessi”. Troppo spesso, infatti, siamo attenti agli altri: sempre pronti a correggere i loro difetti, ben consapevoli di ciò che loro devono modificare, ma poco attenti a ciò che, invece, dobbiamo cambiare noi. Un’attenzione che spesso ci rende giudici e non fratelli gli uni degli altri. Il maestro oggi ci esorta a fare attenzione “a noi stessi” prima che agli altri, a vigilare sui “nostri cuori”, sull’intenzione che ci anima nelle azioni che facciamo.

È ancora in quest’ottica, per “rendere saldi i cuori”, che la seconda lettura di oggi ci presenta due atteggiamenti concreti da assumere per vivere la vigilanza nella preghiera richiesta dal Vangelo. Il primo atteggiamento è l’Amore, all’interno della Chiesa (“tra voi”) e per i lontani (“verso tutti”), attraverso il quale possiamo realmente essere riconosciuti come discepoli di Cristo. Il secondo è l’attenzione a comportarci in modo da piacere a Dio non conformandoci al mondo, ma al nostro Signore Gesù Cristo.

Fr. Marco

venerdì 22 novembre 2024

Il mio regno non è di questo mondo

«Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.» (Dn 7,13-14)

«Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.» (Ap 1,5-8)

«Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?» … «Il mio regno non è di questo mondo …» (Gv 18,33-37)

​La pagina di Vangelo della solennità di Cristo Re, quest’anno, ciclo B delle letture domenicali, non ci propone una teofania gloriosa, ma uno stralcio dell’ingiusto processo di Gesù dinanzi a Pilato.

«Sei tu il re dei Giudei?» Alla domanda di Pilato sulla sua regalità, Gesù risponde con una domanda che aiuti Pilato a chiarire di quale tipo di regalità si stia parlando: la regalità secondo il mondo, che Pilato conosce bene («Dici questo da te …»), o la regalità del Messia atteso dai Giudei («… altri ti hanno parlato di me?»). La regalità di Gesù, tuttavia non è né l’una né l’altra: non è secondo il mondo e trascende le malintese attese dei Giudei. 

La domanda del Maestro, però, può essere rivolta anche a noi per farci prendere posizione: Gesù è il nostro re, il nostro Signore? Diciamo così “per sentito dire”, ripetendo qualcosa che ci hanno insegnato, o perché realmente abbiamo scelto di vivere sotto la sua Signoria? Siamo di quelli che dicono “Signore, Signore …”, o di quelli che mettono in pratica la Parola? Sappiamo bene che Gesù ci ha avvertiti: «Non chiunque mi dice Signore, Signore, … ma chi fa la volontà del Padre mio entrerà nel Regno.» (Mt 7,21)

«Il mio regno non è di questo mondo …» In un'altra pagina evangelica il Maestro ci ha insegnato che non si possono servire due padroni (cfr. Mt 6,24): non possiamo dirci discepoli di Cristo e vivere secondo il mondo.

Il processo di Gesù dinanzi a Pilato mette a confronto la regalità del mondo e la regalità secondo il Vangelo. Pilato, la “regalità” del mondo, affermerà qualche versetto più sotto di avere il potere di salvare o condannare, ma in realtà, lo sappiamo bene, è schiavo: del suo “potere”, che non vuole perdere; della folla alla quale deve dare soddisfazione; del sinedrio che lo costringe a condannare a morte un uomo in cui, come dice lui stesso, non trova alcuna colpa. Gesù, invece, è Re secondo la verità: è libero e liberamente si dona per amore. Come lui stesso aveva affermato qualche pagina prima: «Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso» (Gv 10,18). Ecco la vera regalità che è libertà e capacità di amare senza condizionamenti e fino alle estreme conseguenze.

La Croce, che da sempre ha fatto scandalo al mondo, è il trono da cui Gesù regna sul mondo; il trono in cui si manifesta pienamente l’amore di Dio per noi; il trono su cui Gesù vittorioso ha sconfitto tutto ciò che ci rendeva schiavi, per renderci un regno di re, sacerdoti e profeti; liberi e quindi capaci di offrire la nostra vita per amore. Liberi di spendere la vita donandole un senso che il mondo non conosce.

Gesù è chiaro: il suo Regno non è di questo mondo. Lui è il sovrano dei re della terra (II lettura), il Re dei re, come titolava un film di qualche decennio fa, ma la sua regalità si manifesta in un modo assolutamente sconosciuto al mondo: donando la vita per amore!

Celebrando questa solennità siamo chiamati a prendere posizione. È la nostra vita ad essere in gioco: possiamo metterla sotto la signoria del mondo cercando il potere, l’avere e il piacere; mettendo sempre il nostro io al centro della nostra vita. Al momento della verità, però, scopriremo che una vita così vissuta è vuota, insignificante … Oppure possiamo metterla sotto la signoria di Cristo, imparando da Lui a Vivere pienamente donando la vita per amore, mettendo il “Tu” di Dio e del fratello al centro della nostra vita: sperimenteremo una gioia e una pienezza di senso della vita che il mondo non conosce e non comprende!

fr. Marco

sabato 16 novembre 2024

In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga

 «In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. … Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.» (Dn 12,1-3)

«Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi.» (Eb 10,11-14.18)

«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.» (Mc 13,24-32)

Oggi, trentatreesima domenica del tempo ordinario, la Parola ci presenta “le cose ultime” e la Speranza finale. Domenica prossima, infatti, con la solennità di Cristo Re, si concluderà l’anno liturgico.

«Vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria». La letteratura e filmografia contemporanei ci hanno abituato a pensare alla fine del mondo come qualcosa di catastrofico e tragico. Per il cristiano, invece, non è la fine, bensì l’inizio della Vita Piena ed Eterna: la venuta gloriosa del nostro Signore Gesù Cristo e la ricapitolazione della storia che confluisce nell’Eternità. Un’eternità di gioia per coloro che hanno saputo attenderla e hanno vissuto tenendo costantemente lo sguardo su questo orizzonte; un’eternità di rovina (la “morte secunda” la chiamerebbe S. Francesco) per coloro che si sono lasciati rinchiudere negli stretti orizzonti del “mondo” ed hanno vissuto secondo la logica egoistica che il mondo insegna.

«In quel tempo …»; «In quei giorni …». Il tempo e i giorni cui si riferiscono la prima lettura e il Vangelo, sono quelli in cui l’iniquità ha raggiunto il suo culmine. Umanamente parlando, non si scorge più speranza: la misura è colma, le “tenebre” sembrano averla vinta. Proprio in quel momento, però, quando sembrerebbe che tutto sia perduto, il cristiano sa che si manifesterà la Vittoria di Cristo: le “tenebre”, infatti, sono già sconfitte; il Signore Gesù Cristo ha già vinto il peccato, la morte e il mondo. Ora si attende solo la manifestazione finale di questa vittoria (II lettura).

«In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga.» È forte la tentazione di riconoscere nei nostri giorni “quei giorni”, il culmine dell’iniquità: Le guerre e gli orrori vicini e lontani che quotidianamente ci sono riportati dai telegiornali possono orientare in tal senso il nostro pensiero. Oggi nel Vangelo, con “la parabola del fico”, Gesù ci invita a sapere scorgere i “segni dei tempi”: pur senza cadere in futili millenarismi, siamo chiamati a fare attenzione per non farci trovare impreparati. Tentazione opposta ai millenarismi apocalittici, infatti, è quella di immaginare la Venuta finale di Cristo in un lontano futuro, quella di pensare che abbiamo ancora tempo … Facciamo attenzione perché ciascuno di noi vedrà la venuta del Signore e dovrà rendere conto della sua vita. La fine del nostro tempo in questo mondo, infatti, di cui nessuno conosce l’ora eccetto il Padre, coinciderà per noi con la fine del mondo. È oggi, quindi, in questo tempo, che siamo chiamati a scegliere con chi schierarci: se unirci al corteo trionfale di Cristo riconoscendo la sua Signoria e, quindi, obbedendo alla Sua volontà ; o schierarci con ciò che si oppone a Lui e procurarci la rovina eterna quando la vittoria di Cristo sarà manifesta.

Con il Mistero Pasquale di Cristo sono iniziati gli “ultimi tempi” in cui celebriamo sempre “in attesa della Sua venuta” (vedi il Mistero della Fede). Gli eventi della nostra vita, allora, diventano occasioni perché possiamo riconoscere l’imminenza della Sua venuta. Per questo è importante mantenere un clima di costante vigilanza; non a caso il Signore si rifiuta di rivelare il “quando”: per noi non è importante sapere il “quando”, ma è fondamentale mantenere desta la nostra attesa e il nostro desiderio perché, al momento dell’Incontro Finale, la nostra gioia sia piena. 

Fr. Marco

sabato 9 novembre 2024

Tutto diamo a Colui che tutto si è dato a noi

 «Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.» (1Re 17,10-16)

«Ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso.» (Eb 9,24-28)

«In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,38-44)

Domenica scorsa, rispondendo allo scriba che lo interrogava, Gesù ci ha indicato il primo e fondamentale comandamento: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza […] Amerai il tuo prossimo come te stesso». La Parola di Dio di questa domenica, trentaduesima del Tempo Ordinario, ci presenta come vivere il duplice comandamento dell’amore che riassume in sé tutta la Legge e i Profeti.

Nella prima lettura, infatti, ascoltiamo di una vedova poverissima che, in tempo di carestia, fidandosi della Parola di Dio annunciata da Elia, non rifiuta di condividere con il Profeta il poco che ha: il Signore provvederà. Proprio per questa fiducia nella Parola sulla quale scommette tutto quello che ha, la sua vita e quella del figlio saranno salvate.

Nella pagina di Vangelo è ancora una vedova che viene presentata dal Maestro come modello di comportamento. Una vedova capace di amare Dio con tutto se stessa: non tiene per sé il poco che possiede, ma dona tutto quanto aveva per vivere. Non importa se ciò che possiamo dare sia tanto o poco: il Signore non chiede tanto, chiede tutto! Ciò che conta è che doniamo con tutto il cuore, che doniamo con un amore pieno per Lui, che gli consegniamo tutta la nostra vita.

Quanto spesso, invece, noi ci comportiamo come i ricchi che donano parte del loro superfluo. Tratteniamo per noi, vogliamo “salvarci la vita” e ci guardiamo bene dal consegnarla al Signore. Per Dio abbiamo solo i ritagli di tempo, misuriamo il dono della nostra vita: « … fin qui, ma non oltre». Lui, Amore illimitato, accoglie ciò che noi vogliamo dargli, ma finché non gli consegneremo tutto, non potrà fare della nostra vita il capolavoro che vorrebbe.

«Guardatevi dagli scribi […] Essi riceveranno una condanna più severa». Oltre l’esempio positivo dell’amore totale della vedova e l’esempio negativo dell’amore parziale dei ricchi, quest’oggi la pericope evangelica, nella sua versione estesa, si apre con l’ammonizione di Gesù a guardarsi dall’ipocrisia di quanti, sotto un’apparenza religiosa, non amano per niente Dio, ma solo il proprio Io e usano per la propria gloria persino le cose sante. L’amore per Dio e l’amore per l’Io, infatti, si escludono a vicenda e se l’Io non viene messo al servizio di Dio, si finisce per mettere Dio al servizio dell’Io. Di loro dice Gesù che riceveranno una condanna più severa.

Sull’esempio della vedova del Vangelo, guardiamo, allora, Gesù che, accogliendo su di sé la conseguenza del peccato del mondo, tutto si è donato a noi e niente ha tenuto per sé. Impariamo anche noi a donare a Dio “tutto quanto abbiamo per vivere”: vedremo come il Signore sarà capace di moltiplicare il poco che noi gli consegniamo facendo delle nostre vite quel capolavoro per le quali le ha create. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

sabato 2 novembre 2024

Non c’è comandamento più grande

 «Temi il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, ... tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni.» (Dt 6,2-6)

«Cristo invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.» (Eb 7,23-28)

«Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi». (Mc 12,28-34)

Questa domenica, trentunesima del Tempo Ordinario, la Liturgia della Parola ci presenta lo spirito di tutta la legge e i profeti: la relazione con Dio. 

«Ascolta … Amerai …» Il primo e fondamentale comandamento, che riassume in sé tutta la legge e i profeti è, infatti, vivere la relazione d’amore con l’unico Signore, l’unico vivo e vero, l’unico capace di salvarci, di donarci la Vita.

«Il Signore nostro Dio è l’unico Signore» Quante volte mettiamo la nostra vita sotto altre “signorie”: il lavoro, il benessere, la casa … Non di rado, per queste realtà elevate ad idoli sacrifichiamo noi stessi, le nostre energie e ciò che di più prezioso abbiamo (tempo, affetti …). Da questi idoli cerchiamo una Vita che però non possono darci. Più spesso ancora è il nostro Io a volersi ergere a signore: abbiamo la pretesa di essere signori della nostra vita, di decidere da soli ciò che è bene e ciò che è male. Spesso vogliamo che anche i fratelli si pieghino alla nostra signoria: vogliamo comandare, sottomettere gli altri a noi. Nessuno, tuttavia, può darsi da solo la Vita che cerca; Gesù altrove lo dice chiaramente: «… chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?» Mt 6,27.

Solo il Signore nostro Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, può darci la Vita. Ecco allora l’esigenza di vivere sotto la sua Signoria, di ascoltare e mettere in pratica i suoi comandamenti. Non da schiavi, però, ma da figli che si sanno amati dal Padre e che corrispondono a questo amore. Un amore “assoluto”, sciolto da ogni condizione, pieno: con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza; un amore che non lascia spazio ad altri idoli, che detronizza il nostro Io.

È possibile, però, corrispondere all’immenso e gratuito amore di Dio? Un Amore che ci ha pensati e voluti dall’eternità, che ci ha chiamati all’esistenza, che ci ha salvati donando tutto se stesso sulla croce, che ogni giorno si consegna nelle nostre mani nell’Eucarestia … Nessuno può dare a Dio il corrispettivo per i suoi immensi doni. Ecco perché il Maestro aggiunge una seconda parte al comandamento dell’amore: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».

Solo amando i fratelli che il Signore mi mette accanto, amandoli come “un altro me stesso”, è possibile amare il Dio vivo e vero. Amando i fratelli che mi stanno accanto, infatti, amo il Padre che li ha pensati e creati per amore; amo il Figlio che li ha salvati dando se stesso per ciascuno di essi e ha voluto identificarsi con i più piccoli e fragili (« … l’avete fatto a me» Cfr. Mt 25,40); amo lo Spirito Santo che tutti ci pervade e ci rende un solo corpo.

Se faremo così, attingeremo alla Sorgente della Vita, avremo una Vita che il  mondo non conosce e non può darci: vivremo la Vita dei risorti e non avremo più alcun timore. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

giovedì 31 ottobre 2024

Quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui

« … ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello”». (Ap 7, 2-4.9-14)

«… noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.» (1Gv 3,1-3)

«Beati i poveri in spirito, … Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.» (Mt 5, 1-12)

La Parola di Dio della solennità di Tutti i Santi si apre con l’immagine di una moltitudine immensa: sono tutti i nostri fratelli e sorelle nella fede che hanno realizzato la loro vita conformandosi a Cristo. Non solo i santi che la Chiesa ha canonizzato, cioè posti a modello, misura (canone) per noi, ma anche quelli anonimi che nel silenzio della loro quotidianità hanno saputo vivere la logica delle beatitudini e non si sono conformati alla mentalità del mondo.

Questa solennità è soprattutto per loro. Ma è anche per noi, per ricordarci che siamo tutti chiamati alla santità, alla beatitudine, a vivere secondo la dignità di figli di Dio facendo emergere nella nostra vita l’immagine del Figlio per eccellenza. 

«La salvezza appartiene al nostro Dio …» Così grida la moltitudine immensa riconoscendo che la realizzazione della nostra vita, la santità, è prima di tutto un dono gratuito di Dio e non merito dei nostri sforzi. Ciò che il Padre chiede a noi è solo di accogliere questo dono e farlo fruttificare. Ecco dove entra in campo il nostro impegno: nel fare sì che la Grazia non venga vanificata; nell’essere pronti a comprendere e fare la volontà di Dio nell’attimo presente; nel rifiutare la logica dell’egoismo, dell’edonismo, del potere e dell’avere, per assumere, invece, la logica dell’altruismo, dell’amore gratuito e disinteressato che si fa servizio e perdono.

«…  Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione …» ; «Beati i perseguitati per la giustizia …» Vivere come Figli di Dio, conformarsi alla logica del Beatitudini, non è mai accetto al mondo la cui logica è totalmente altra. Per questo i santi di tutti i tempi hanno affrontato la persecuzione. A volte si è trattato di persecuzione violenta come quella di Diocleziano (cui si riferisce l’autore dell’Apocalisse) o quella subita dai martiri di tutti i tempi (ancora oggi tanti  nostri fratelli subiscono il martirio, per esempio in Siria, Iraq e Nigeria), Più spesso, però, soprattutto qui in Occidente si tratta di una persecuzione subdola tesa a screditare la Chiesa e i suoi ministri; ancora più frequente è l’insinuazione che “il nemico dell’umanità” ci mette nel cuore, anche attraverso i nostri fratelli, che la santità non fa per noi; che non c’è niente di male a scendere a compromessi … d’altronde, bisogna aggiornarsi!; o, ancora, la suggestione: «Se Dio veramente ti amasse, non permetterebbe questa sofferenza …» ; tutte cose che ci allontanano dalla nostra piena realizzazione e ci riducono a vivere una vita senza senso, una vita che non è Vita tanto che non di rado sentiamo i nostri fratelli lamentarsi: «Ma è vita questa?». Guardando all’esempio dei santi, non temiamo la persecuzione del mondo che, non avendo riconosciuto il nostro Maestro, non potrà certo accettare la vita secondo i Suoi insegnamenti, ma perseveriamo nell’adempimento della Volontà di Dio, nell’accoglienza della Sua Grazia, e giungeremo a quella Gioia piena che il Signore è venuto a regalarci.

In questa giornata della santificazione universale, infine, voglio riportarvi un pensiero di Papa Francesco tratto dalla Gaudete et Exultate: « Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente. In realtà, fin dalle prime pagine della Bibbia è presente, in diversi modi, la chiamata alla santità. Così il Signore la proponeva ad Abramo: «Cammina davanti a me e sii integro» (Gen 17,1).» (Gaudete et Exultate, 1) Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

sabato 26 ottobre 2024

Coraggio! Alzati, ti chiama!

 «Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il  cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla.» (Ger 31,7-9)

«Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: “Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato”, gliela conferì come è detto in un altro passo: “Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek”». (Eb 5,1-6)

«Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.» (Mc 10,46-52)

Questa domenica, XXX del tempo ordinario, la liturgia della Parola si apre con un messaggio di speranza: «Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele». Nella pagina di Vangelo, infatti, Gesù ci viene presentato ancora una volta come colui che viene a cercare e salvare “il cieco e lo zoppo”, quanti sono ridotti a mendicare la vita. Il Salvatore che viene a radunare tutta l’umanità per farla entrare nella pienezza della Vita.

L’evangelista Marco racconta che Gesù sta recandosi a Gerusalemme, la città santa simbolo della comunione con Dio, e attraversa Gerico, la città simbolo di peccato e della resistenza a Dio (Cf. Gs 6,1-21), consegnata da Dio a Giosuè. Non è un caso se nella parabola “del buon samaritano” il tale incappato nei briganti sta scendendo da Gerusalemme a Gerico (Lc 10,25-37): la città di Gerico è simbolo dell’autoaffermazione contro Dio.

Mentre Gesù sta uscendo da Gerico, Bartimeo, cieco e ridotto a mendicare lungo la strada, lo riconosce e comincia a chiamarlo con il titolo messianico di Figlio di Davide. Bartimeo racchiude in sé l’immagine dell’umanità che, resistendo a Dio per affermare se stessa, si trova cieca, lontana dalla Luce della Vita, e mendicante. Pur nella sua cecità, tuttavia, quest’uomo riconosce in Gesù l’unico che può salvarlo, che può strapparlo dalla sua miseria e restituirgli la Luce che aveva perduto: « … che io veda di nuovo!».

«Coraggio! Àlzati, ti chiama!» Gesù è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto, come dirà Luca nel racconto di Zaccheo (Lc 19,1-10), per questo Bartimeo può riconoscere in Lui il salvatore. All’uomo nella miseria il Signore chiede di farsi coraggio e, lasciando le proprie misere sicurezze (la coperta), rispondere alla chiamata per lasciarsi risollevare dalla propria condizione e vivere la vita dei risorti (alzarsi è il verbo della resurrezione).

«Che cosa vuoi che io faccia per te?» Come domenica scorsa, Gesù si mostra come colui che non è venuto per farsi servire ma per servire con quel servizio regale che è proprio di Dio perché proprio dell’Amore. Con questa domanda, nondimeno, Gesù vuole anche che Bartimeo completi la sua “confessione di fede”: lo aveva riconosciuto “figlio di Davide”, quindi il Messia atteso, e rabbunì (mio maestro); ora manifestando la sua richiesta deve riconoscerlo Signore. Solo Dio, infatti, avrebbe potuto restituirgli la vista. Chiedere a Gesù di farlo tornare a vedere, equivale quindi a riconoscerlo Dio e manifestare fiducia in lui.

«Va’, la tua fede ti ha salvato» A questo punto, guarito, Bartimeo che ha incontrato la Luce vera che viene nel mondo (cf. Gv 1,9), non può che mettersi gioiosamente alla sequela.

Anche noi siamo invitati quest’oggi a fare lo stesso percorso: riconoscendoci bisognosi della misericordia del Padre, siamo chiamati a lasciare le nostre misere sicurezze a cui tanto facilmente attacchiamo il cuore, e fidandoci di Gesù, metterci alla Sua sequela e vivere la Vita dei Risorti. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

sabato 19 ottobre 2024

Il Figlio dell’uomo è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti

 «Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.» (Is 53,10-11)

« … non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.» (Eb 4,14-16)

«Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,35-45)

​La Parola di Dio della XXIX domenica del tempo ordinario, ci fa crescere nella conoscenza del nostro Maestro perché noi possiamo sempre più lasciarci conformare a Lui.

La liturgia della Parola di oggi si apre con un passaggio fondamentale del Carme del Servo Sofferente (Is 52,13-53,12): un uomo che, accogliendo in sé la volontà divina, si fa solidale con i peccatori assumendo su di sé la conseguenza del loro peccato. In questo modo ottiene la salvezza per sé e per coloro che per i quali intercedeva («per le sue piaghe siamo stati guariti»). È facile per noi vedere in quest’uomo una profezia di Cristo: è Lui il Servo che fa della Sua vita un offerta, che accoglie su di sé tutto il male del mondo inchiodandolo ad una croce perché a noi possa venire la Vita.

Nella pagina di Vangelo, ascoltiamo che Gesù, mentre si sta dirigendo a Gerusalemme, istruisce i discepoli su quello che lì dovrà patire. In questo contesto, assistiamo alla “vanagloriosa” richiesta di Giacomo e Giovanni: incapaci di comprendere ciò che Gesù sta annunciando, chiedono al Maestro un posto di gloria. Il tono della richiesta sembra quasi di pretesa: «vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo».

Davanti a tale richiesta, contrariamente agli altri dieci apostoli (forse altrettanto “vanagloriosi”), il Maestro non si scandalizza, ma orienta correttamente il desiderio di grandezza che emerge dal cuore dell’uomo e insegna ancora una volta, prima con l’esempio e poi con la parola, che il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire: «Che cosa volete che io faccia per voi?». La risposta di Gesù è quella di chi, pienamente libero, si mette al servizio in maniera regale.

«… chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore …». Veramente grande, infatti, non è chi siede per farsi servire, chi domina i fratelli soggiogandoli, chi viene apertamente ricoperto di onori; veramente grande è, invece, colui che si pone al servizio dei suoi fratelli, chi ama gratuitamente, chi è capace di accogliere e perdonare le miserie dei propri fratelli facendosi solidale con loro. Veramente grande, infine, è colui che imita il Maestro il quale «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Un’offerta che ancora si perpetua nel sacramento dell’Eucarestia: Gesù si fa pane spezzato per noi e ci invita ad unire la nostra vita alla Sua nell’offerta per la salvezza del mondo.

La “grandezza” proposta secondo la logica del Vangelo è una grandezza che il mondo non può capire. Una grandezza ardua: ci chiede di morire a noi stessi, di anteporre al nostro Io l’amore per Dio e per fratelli. Per questo oggi l’autore della Lettera agli Ebrei viene a confortarci: «non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze …»; il nostro Maestro conosce per le nostre debolezze e ci chiede solo di attingere alla Sua forza, alla Grazia che ci raggiunge nei sacramenti, per conformarci a Lui e giungere a quella gloria che da sempre ha preparato per noi.

Fra Marco

venerdì 11 ottobre 2024

Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?

 «Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto» (Sap 7,7-11)

«Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.» (Eb 4,12-13)

«Mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” … “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”. Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.» (Mc 10,17-30)

La liturgia della parola di questa domenica, XXVIII del TO, ci invita ad indirizzare i nostri cuori verso le cose eterne che sole possono saziare la nostra “fame di vita”.

La pagina evangelica di oggi, infatti, ci presenta “un tale” che sembra avere tutto quello che si possa desiderare: possiede molti beni ed una vita “ricca di virtù” di cui va fiero («queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza»); quest’uomo, tuttavia, non è un uomo felice, realizzato, sente che gli manca qualcosa: cerca la “Vita eterna”, quella Vita Piena che non avrà mai fine e che sa di dovere attendere come un dono: parla di “ereditare”.

Credo che non sia un caso se l’evangelista non identifica in alcun modo questo tale: incarna le attese di ogni uomo la cui speranza ha bisogno di orizzonti ampi e non può ridursi al solo orizzonte materiale. La stessa speranza che ispirò l’autore sapienziale a implorare il dono della Sapienza (I lettura): una guida sicura nella vita che ci dia le giuste coordinate per Vivere veramente. Questa Sapienza viene data al Popolo di Israele sotto forma della Legge: le Dieci Parole destinate a guidare il comportamento del popolo eletto e a custodire l’Alleanza con Dio. È a questa sapienza che Gesù inizialmente rimanda il suo interlocutore: «… Tu conosci i comandamenti.»

Il “tale”, però, non è soddisfatto dalla risposta di Gesù, non gli basta l’osservanza della Legge, non gusta ancora la Vita Piena. Il Maestro, allora, lo invita ad uscire dal suo inganno e a liberarsi dall’idolatria che gli impedisce di osservare realmente i comandamenti: «Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”»; lo invita a vendere i suoi beni dimostrando che non sono essi il suo dio (osservando realmente i primi tre comandamenti che riguardano l’amore per Dio), e a dare il ricavato ai poveri (osservando i restanti sette riguardanti l’amore per il prossimo). Solo allora sarà disponibile alla sequela, a “perdere” la vita abbandonando ogni sicurezza precedente, per vivere la Vita lasciandosi guidare dalla Luce della Fede, dalla fiducia nel Maestro Buono. La sapienza antica, infatti, pur non essendo mai stata abrogata, è adesso superata dalla “Sapienza personificata”: è Gesù adesso che noi siamo chiamati a seguire per giungere alla Pienezza della vita.

Sappiamo qual è il triste esito di quest’incontro: il Tale “possedeva molti beni”, o meglio era posseduto da molti beni, quindi, pur con la morte nel cuore (scuro in volto e rattristato), torna alla misera vita di prima.

«Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». … «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio». Anche a noi oggi il Maestro chiede di abbandonare le nostre fallaci sicurezze per metterci alla Sua sequela, per divenire Suoi discepoli lasciandoci guidare la Lui. Anche noi siamo invitati ad entrare nella verità di noi stessi: non siamo capaci di salvarci da soli! Per quanti beni accumuliamo e per quanto bene crediamo di fare, non siamo in grado di darci da soli la Vita piena che desideriamo. Dinanzi a questa verità che potrebbe scoraggiarci, il Maestro ci conforta: nulla è impossibile a Dio! Se sceglieremo di rispondere alla Sua chiamata, e di lasciarci guidare da Lui rinunciando alle nostre false sicurezze, sperimenteremo anche noi quel centuplo che il Maestro promette, insieme all’incomprensione da parte del mondo, a coloro che lo seguono.

Fr. Marco

venerdì 4 ottobre 2024

L'uomo non divida quello che Dio ha congiunto

 

«Il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”». (Gen 2,18-24)

«Fratelli, quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.» (Eb 2,9-11)

​«In quel tempo, … domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. …  Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne.» (Mc 10,2-16)

la liturgia della Parola della XXVII domenica del tempo ordinario, ​si apre con una solenne dichiarazione di Dio: «Non è bene che l’uomo sia solo». L’uomo, infatti, creato a immagine e somiglianza del Dio Amore che è in se stesso relazione, è creato per la relazione e solo nella relazione trova la sua realizzazione.

Una relazione, però, con qualcuno che gli corrisponda (letteralmente “come di fronte”) e con il quale vivere una comunione vitale: i due saranno un’unica carne. Una relazione, quindi, “paritaria” e non “strumentale” come potrebbe essere quella con gli animali che l’uomo concorre a “creare” dando loro il nome, ma che non gli corrispondono. Ecco allora la creazione della donna e il grido di giubilo dell’uomo: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne!»

A causa del peccato, tuttavia, l’uomo ha perso di vista la verità sulla relazione a tutti i livelli: con Dio, con la donna e con la creazione; ha reso i doni di Dio “oggetto di rapina” di cui appropriarsi anche con la violenza. Anche il “tu” della relazione, viene “cosificato”, reso un oggetto da possedere. Da qui la pretesa di “prendere” moglie (magari “pagandola” al padre) e lasciarla quando non soddisfa più. Ai tempi di Gesù si dibatteva se l’uomo potesse ripudiare la moglie “per qualsiasi motivo” (Cfr. Mt 19,3). Oggi il dibatto è stato tristemente risolto con l’unico progresso che sia la moglie che il marito possono lasciarsi “per qualsiasi motivo”.

«Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma». Il Maestro, nel vangelo, oggi è chiaro nel denunciare la durezza di cuore di chi si pone la questione del ripudio. Una questione che assume tutta un’altra prospettiva nella “pienezza dei tempi” in cui si realizza la profezia di Ezechiele: «toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne.» (Ez 36,26). Se l’Amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori (Cfr. Rm 5,5), se Egli adesso Ama in noi, allora siamo chiamati a realizzare il progetto originario del Padre al quale oggi Gesù ci rinvia: una relazione autentica, libera e paritaria con un tu che mi corrisponda; una relazione che rende i due una sola carne. Da sempre la tradizione ha visto qui il duplice richiamo all’indissolubilità del matrimonio e all’apertura feconda verso la vita (i due saranno un’unica carne) di cui più immediata, ma non esclusiva, manifestazione sono i figli.

La relazione autentica, però, l’Amore, ci porta ad uscire da noi, a non porre più in noi il nostro centro, a rinnegare se stessi (cfr. Mt 16,24). Credo sia per questo che oggi la seconda lettura richiama il sacrificio salvifico di Cristo sulla croce. Dalla croce, infatti, dalla piena manifestazione dell’amore di Dio per l’uomo, siamo stati redenti. Dalla croce siamo anche invitati a imparare ad Amare prendendo anche noi ogni giorno la nostra croce, facendo della nostra vita un dono d’amore a chi il Signore ci ha messo accanto. Solo in questa autentica relazione d’amore, che ha il suo centro fuori di noi, troveremo la nostra piena realizzazione: «chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25).

Fr. Marco