venerdì 13 gennaio 2023

Ecco Colui che toglie il peccato del mondo

 «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra». (Is 49,3.5-6)

«Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, … a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata … » ( 1Cor 1,1-3)

«Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29-34)

Questa domenica, seconda del tempo ordinario, la pagina di Vangelo ci riporta al giorno dopo il battesimo di Gesù. Vedendo passare Gesù, memore di ciò che ha contemplato il giorno del battesimo al Giordano, Giovanni il Battista lo addita ai suoi discepoli come l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo.

Vorrei soffermarmi sull’uso del singolare: il peccato del mondo, quello da cui derivano i peccati, per l’evangelista Giovanni è il rifiuto della Luce (Cfr. Gv 1,9-11) che ci permette di riconoscere l’Amore di Dio. Il peccato da cui derivano tutti i peccati è dubitare dell’Amore del Padre. Da questo deriva quella disperazione esistenziale che ci porta, nello sforzo di salvarci la vita da soli, a commettere i peccati.

In che modo Gesù toglie il peccato del mondo? Sicuramente caricandosi i nostri peccati, come suggerisce l’immagine dell’Agnello che rimanda al Carme del Servo Sofferente: come agnello mansueto condotto al macello … è trafitto per le nostre colpe (Cfr Is 52,13-53,12); ma anche e soprattutto, facendoci conoscere l’Amore di Dio Padre che ha per noi progetti di Vita: «Io sono venuto perché abbiano la Vita e l’abbiano in abbondanza» dirà Gesù in Gv 10,10.

Il Dio che Gesù è venuto a rivelarci non è il “mostro capriccioso” che ci è presentato dall’anti-parola del diavolo: colui che ci nega tutto e gode nel vederci soffrire. Il peccato del mondo, infatti, trae la sua origine da questa visione distorta di Dio a cui l’uomo non può che ribellarsi. Gesù è il Verbo eterno che con il suo mistero pasquale abbatte “il muro di inimicizia” tra gli uomini e Dio: ora è possibile riconoscere e accogliere l’Amore del Padre e, in tal modo, diventare figli di Dio (Cfr. Gv 1,12)

L’immagine dell’agnello che toglie i peccati, rimanda anche ai sacrifici espiatori compiuti nel tempio, in particolare all’agnello pasquale con il sangue del quale venivano segnati gli stipiti delle porte la notte di pasqua perché l’angelo della morte passasse oltre (Cfr. Es 12,7). Giovanni introduce qui il parallelismo che sarà pienamente sviluppato nel racconto della Passione e che la liturgia riprende al momento dell’ostensione dell’Ostia Consacrata: Gesù è crocifisso nella parasceve di pasqua proprio nell’ora in cui si preparava la cena pasquale (Gv 19,14); non gli sarà spezzato alcun osso secondo le prescrizioni per la preparazione dell’agnello pasquale (Cfr. Es 12,46 e Gv 19,36). Ne consegue che per l’evangelista Giovanni, Gesù è il vero e definitivo Agnello pasquale nel sangue del quale siamo salvati.

Proprio grazie al sacrificio pasquale del Cristo in cui noi siamo Battezzati, infatti, è stata stipulata la Nuova ed eterna Alleanza, per la quale, resi conformi al Figlio di Dio, siamo chiamati alla santità. È quello che ci ricorda S. Paolo nella seconda lettura: siamo stati santificati e siamo chiamati alla santità, cioè a fare fruttificare quella grazia che il Signore ci ha donato nel Battesimo. 

Bisogna ricordare però che essere santo significa principalmente e fondamentalmente vivere il proprio Battesimo cioè vivere la Fede, la Speranza e la Carità. Fin dai primi tempi del suo pontificato, Papa Francesco ha avuto modo di ricordare a tutta la Chiesa che per essere santi ciò che importa è lasciare operare Dio nella nostra vita, abbandonarsi a Lui. È Lui che ci ha conformati a Sé e che ci ha donato Fede, Speranza e Carità. La conformità a Cristo, e quindi la Fede, la Speranza e la Carità, sono un dono gratuito di Dio che ci è stato consegnato al momento del nostro Battesimo: ogni battezzato ha in sé il seme della Fede che produce i frutti della Speranza e della Carità.

Questo dono, tuttavia, ci chiama alla responsabilità: se ci regalano una pianta che fa fiori e frutti meravigliosi, ma noi non la concimiamo, non la innaffiamo, non togliamo le erbacce e magari la teniamo al buio in un angolo nascosto della nostra casa, è forse colpa della pianta se non vedremo mai né fiori né frutti? Così è della nostra Fede: il Padre ce la dona con il Suo Spirito al momento del Battesimo, sta a noi però coltivarla, nutrirla, purificarla. Il Padre ce ne dà pure l’occasione con i Sacramenti.

Nutriamo allora la nostra Fede, procuriamo di farla crescere e, senza nostro sforzo, vedremo nascere nella nostra vita i frutti della Speranza e della Carità. Diventeremo così realmente ciò che siamo chiamati ad essere: figli nel Figlio, santi che, con la loro Vita bella e piena di senso, come il Battista saranno capaci di testimoniare al mondo il Signore della Vita.

Fr. Marco

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