venerdì 27 giugno 2025

Su questa pietra edificherò la mia Chiesa

«In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. … Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva». (At 12,1-11)

«Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.» (2Tm 4,6-8.17-18)

«Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. “… E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.» (Mt 16,13-19)

La Parola di Dio di questa domenica, in cui celebriamo la solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, ci mette dinanzi il fondamento della Chiesa: la fede in Gesù Cristo figlio di Dio e l’amore per Lui (il vangelo della vigilia). Solo perché fondati sulla roccia che è Cristo, gli apostoli possono guidare, “pascere” e confermare nella fede i fratelli. È sulla roccia dell’amore per Cristo e della fiducia in Lui, quindi, che si fonda la Chiesa contro cui le potenze degli inferi non prevarranno.

La prima lettura di oggi si apre con la persecuzione dei capi della Chiesa di Gerusalemme: l’uccisione di Giacomo, che sembra suscitare il consenso della “opinione pubblica” (era gradito ai Giudei), e l’arresto di Pietro. Ieri come oggi, i potenti del mondo cercano il consenso più della verità; sono interessati a “pascere se stessi”, mantenendo posizioni di potere, più che a guidare i fratelli a ciò che è vero e buono.

Il Signore, però, ci ha garantito la Sua vittoria finale a patto che, combattendo la buona battaglia, manteniamo la fede, cioè rimaniamo in comunione d’amore con Lui e Lo riconosciamo, coi fatti e nella verità, Signore della nostra vita.

Non è raro, tuttavia, che il nostro amore e la nostra fede vacillino, che, spinti dalla “logica del mondo” e dalla ricerca di consenso, cominciamo a seguire un “Dio secondo me”; anche contro l’insegnamento dei pastori che il Signore ci ha donato assicurando loro, per ciò che riguarda questioni di fede e di morale, l’assistenza del Suo Spirito. Come Pietro anche noi vogliamo indicare la via al Maestro (Mt 16,22). E come Pietro anche noi ci sentiamo rispondere «Va’ dietro a me … tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mt 16,23).

Penso che, come Pietro, tutti nella Chiesa, pastori e fedeli, abbiamo fatto almeno una volta nella vita (e magari fosse solo una volta!), l’esperienza della debolezza del nostro amore e della nostra fede al momento della prova: quante volte anche noi come Pietro abbiamo detto, magari coi fatti e non a parole, «Non lo conosco!». Anche a noi oggi il Signore chiede di amarlo così come siamo, dandoGli tutta la nostra debolezza e confidando non più sulle nostre forze, ma su di Lui e sulla Sua fedeltà: «Tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene» (Gv. 21,17 il Vangelo della vigilia).

Seguendo allora il nostro Signore tramite i pastori che ci ha donato, smettiamo di fondarci su noi stessi, sulle nostre forze, sui nostri pensieri, sul consenso di chi ci sta attorno; fondiamo la nostra certezza su Cristo e sul Suo amore: vedremo meraviglie nella nostra vita.

Fra Marco

venerdì 20 giugno 2025

Questo è il mio corpo che è per voi

«In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo» (Gen 14,18-20)

​«Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”». (1Cor 11,23-26)

​«In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. … Gesù disse loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Ma essi risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci …” … Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.» (Lc 9,11-17)

Questa domenica, solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, la liturgia della Parola ci presenta, Gesù Buon Pastore e Sacerdote, Vittima ed Altare.

Nella prima lettura, infatti, Melchìsedek, “re di Salem” (re di pace) che offre il pane ed il vino, è un typos, una figura profetica, di Gesù Vero e Sommo sacerdote che offre l’unico e definitivo sacrificio della Nuova ed eterna Alleanza: il Suo Corpo e il Suo Sangue in cui il pane e il vino vengono transustanziati (II lettura).

Oltre al “tema sacerdotale”, come dicevo, la liturgia di oggi ci presenta Gesù anche come il Buon Pastore che si prende cura dei suoi, li guida e li nutre. È così infatti che lo invochiamo nella sequenza: «Buon pastore, vero pane, / o Gesù, pietà di noi: / nutrici e difendici, / portaci ai beni eterni / nella terra dei viventi.». 

Il Vangelo insiste su questo tema: si apre con la figura di Gesù che insegna alle folle indicando loro il Regno dei Cieli: l’unica cosa necessaria per sperimentare la Pienezza della Vita. La pericope evangelica, inoltre, ci mostra Gesù intento a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il Medico viene per gli ammalati, Gesù è venuto a cercare i peccatori per condurli alla salvezza.

La Pagina di Vangelo, inoltre, nel contesto del “ministero pastorale” di Gesù, ci presenta la moltiplicazione dei pani come un altro modo in cui il Buon Pastore si prende cura di coloro che hanno messo da parte tutto il resto per seguirlo. L’evangelista Luca, ben compreso dalla liturgia odierna, intende presentarci in questo racconto un’anticipazione dell’istituzione dell’Eucarestia nell’Ultima Cena.

Due cose mi colpiscono immediatamente contemplando la scena evangelica della moltiplicazione dei pani e dei pesci: una riguarda le condizioni per partecipare al banchetto, l’altra riguarda i discepoli.

La prima cosa che noto è che l’unica condizione prevista per partecipare a questo banchetto è l’avere seguito Gesù, l’averlo ascoltato ed avere messo Lui al di sopra e prima di tutti gli altri bisogni. È questa, infatti, l’unica cosa veramente necessaria per potersi accostare degnamente al Banchetto Eucaristico: avere messo Gesù al centro della nostra vita, l’impegnarsi nell’ascolto e nella conversione (e non è poco). In quest’ottica va compreso anche il Sacramento della Riconciliazione: non va celebrato per “arrifriscarisi l’anima” per potere fare la comunione (cinque minuti prima della Messa, magari senza un adeguato esame di coscienza e quindi senza pentimento e con la convinzione di non avere peccati); ma va celebrato per chiedere e accogliere la Grazia della propria conversione. 

La seconda cosa che mi colpisce, è la volontà da parte dei discepoli di deresponsabilizzarsi nei confronti della folla: «congedali … vadano …». A questi discepoli Gesù risponde: «Voi stessi date loro da mangiare». Penso sia da  sottolineare come questo comando apra ad una “dimensione eucaristica” della vita del cristiano e soprattutto del sacerdozio ministeriale: il farsi “pane spezzato”, il dare da “mangiare” noi stessi. Oggi però voglio sottolineare particolarmente come questo comando coinvolga i discepoli più vicini a Gesù e li inviti a prendersi cura dei loro fratelli più bisognosi: troppo spesso, anche tra i cristiani, si è sempre pronti a “puntare il dito”, a richiamare gli altri alle loro responsabilità, ad accusare “chi dovrebbe fare” cercando, in tal modo, di deresponsabilizzarsi. Certo, quello della denuncia e del richiamo al dovere sociale delle Istituzioni è un ruolo importante dei discepoli, ma non può essere l’unico. Il Beato Pino Puglisi, che ha toccato da vicino il bisogno dei suoi fratelli e sorelle, è famoso per la frase «Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto». Unendoci a Cristo, allora, impariamo anche noi a farci “pane spezzato” per i fratelli. Prendiamoci cura gli uni degli altri e camminiamo insieme verso quella Vita Piena ed Eterna che Solo Gesù ci può donare.

Fr. Marco

sabato 14 giugno 2025

Lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità

«Così parla la Sapienza di Dio: “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra.» (Pr 8,22-31)

«Fratelli, … ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. » (Rm 5,1-5)

«Quando verrà lui, lo Spirito della verità, … Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». (Gv 16,12-15)

Nella solennità di Pentecoste, domenica scorsa, abbiamo celebrato il memoriale del dono dello Spirito Santo che ci inserisce nella circolarità d’Amore all’interno della Santissima Trinità. Questa domenica la Chiesa ci fa contemplare proprio questo Mistero centrale della nostra fede: l’unico Dio, Creatore del cielo e della terra, è Uno e Trino. Un solo Dio in tre Persone: il Padre (Amante) che dall’eternità genera il Figlio (Amato) donandosi totalmente a Lui e tutto ricevendo da Lui nello Spirito Santo (Amore).

«Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato …» (Gv 17,6) La piena rivelazione di Dio agli uomini è elemento fondamentale dell’annuncio salvifico del nostro Signore Gesù Cristo. Il Figlio eterno del Padre, Verbo fatto uomo,  ci ha rivelato l’eterna processione d’amore in cui le tre Persone divine hanno tutto in comune tranne la loro identità personale (l’essere rispettivamente Padre, Figlio e Spirito). Il nostro Dio è, quindi, già al suo interno, relazione d’Amore. Ciò ha una grande importanza per noi.

Il fatto che il Dio Vivo e Vero sia Uno e Trino, Eterna relazione d’Amore, infatti, significa che l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, è per costituzione e già alla sua origine relazione: è fatto per la relazione ed è felice/realizzato solo nella relazione. L’uomo è immagine del Dio trinitario e come tale si realizza solo quando permette all’amore-relazione che è in lui di manifestarsi. 

Citando Padre Alberto Neglia (O. Carm.), mio docente di Spiritualità: «Come il Padre è nell’amore sorgività pura, così Egli dona alla creatura umana di essere nel tempo sorgente di amore. Questo significa che l’uomo è costitutivamente capace di amare.  Amato dall’eternità egli è fatto per amare. … amando, l’uomo riproduce in qualche modo la creatività del Padre. L’amore fa sbocciare la vita. L’uomo è ancora immagine del Dio Trinitario perché è stato creato per mezzo del Figlio, in vista di Lui ed in Lui (Col  1,15-17). Come in forza dell’accoglienza pura … il Figlio è immagine perfetta del Padre, così l’uomo è immagine di “Dio Figlio”, in quanto si fa  recettività, cavità capace di accogliere, fino alla trasparenza, l’amore eternamente amante. Nel Figlio amato l’uomo è costitutivamente oggetto di amore, apertura radicale, “uditore della Parola”. Chi non riceve l’amore, non esisterà mai veramente: la povertà che accoglie è la condizione dell’amore … Chi non sa accogliere, non sa dire grazie, non sarà mai veramente e pienamente umano. … Nel più profondo del suo essere creaturale … l’uomo ha bisogno dell’altro. … Lo Spirito Santo imprime nella creatura umana un certo riflesso di quello che Egli è nel mistero di Dio. Come fra l’Amante e l’Amato Egli è l’eterno legame di unità ed insieme Colui che fonda l’apertura infinita del loro amore, lo Spirito è la fantasia di Dio. L’uomo creato ad immagine di “Dio Spirito” è unità vivente di questo duplice movimento dell’amore: amando, egli si fa amare; lasciandosi amare, egli ama. … Lo Spirito, presente nell’uomo, lo spinge continuamente a spezzare il cerchio dell’amante e dell’amato, a fuggire la cattura dell’esclusività, per andare verso il bisogno di amore dell’altro, di tutti gli altri.»

Il cristiano conformato a Cristo e santificato dallo Spirito, porta quindi in sé il mistero della Trinità d’Amore e lo manifesta al mondo. Contemplando il suo Amore Trinitario e ciò che esso è capace di compiere in chi lo accoglie, il Signore ci conceda di realizzare pienamente la nostra vocazione all’amore per potere giungere alla Vita piena ed eterna per la quale siamo stati pensati fin dall’eternità.

Fr. Marco.

 

sabato 7 giugno 2025

Se uno mi ama, ... il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui

 «Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. » (At 2, 1-11)

« … voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,8-17)

«Se mi amate osserverete i miei comandamenti … il Paràclito, lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (Gv 14, 15-16. 23-26)

Con la solennità di Pentecoste giunge al suo culmine il Tempo Pasquale: quei cinquanta giorni che per la liturgia sono come un grande giorno in cui celebriamo il memoriale della nostra redenzione. Il nuovo patto, la Nuova Alleanza, profetizzata da Ger 31, 31-34, giunge a pienezza: la Legge Nuova di Dio è effusa nei nostri cuori rendendoci capaci di osservarla.

Nella prima lettura della Messa del giorno, tratta dagli Atti degli Apostoli, l’evangelista Luca ci racconta l’effusione dello Spirito sulla Chiesa riunita nel cenacolo come un’“Anti-Babele” (Cf. Gen 11). Si realizza il miracolo della comunione d’amore che non è confusione.

«Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole» (Gn 11,1) Il racconto della torre di Babele nel libro della Genesi descrive quasi una globalizzazione ante litteram in cui tutti gli uomini sono assoggettati ad un “pensiero unico”. Il “peccato di Babele” è volersi “fare un nome” senza Dio, anzi piuttosto contro Dio (una città e una torre che tocchi il Cielo). Una sorta di “regno degli uomini” che si oppone al Regno di Dio. Eliminato Dio dalle loro esistenze, sradicati della fonte della Vita, gli uomini cadono in una confusione che non è comunione; dimenticano chi sono e quindi non sono più in grado di comprendersi.

Con l’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste, la Legge Nuova effusa nei cuori, Dio torna ad occupare il posto centrale nell’esistenza dell’Umanità Nuova: gli uomini tornano a comprendersi e per l’umanità è possibile tornare a vivere la comunione immagine della Comunione Trinitaria, quella che il Venerabile Mons. Tonino Bello chiama “convivialità delle differenze”.

«Ciascuno li udiva parlare nella propria lingua». Le differenze non sono annullate. Ciascuno mantiene propria identità, ma questo non è ostacolo alla comunione. Ciò che permette la comunione è l’Amore, l’avere accolto l’Amore di Dio nella propria vita e, alla luce di questo, amare il proprio prossimo così com’è senza annullare la propria identità. L’amore, infatti non annulla le differenze. Al contrario le esalta perché ognuno è amato per ciò che è, per le sue peculiarità proprie. Ecco perché il primo e più alto dono pasquale è la Pace: la piena riconciliazione con Dio che porta alla riconciliazione tra gli uomini.

Lo Spirito è, quindi, il compimento della Nuova Alleanza. È Colui che rende possibile vivere secondo la Legge di Dio. Nel Vangelo Gesù afferma: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti». Solo se abbiamo in noi l’Amore, infatti, possiamo osservare i comandamenti. È lo Spirito, l’Amore di Dio effuso nei nostri cuori, che ci rende capaci di osservare i comandamenti.

Nella seconda lettura, poi, San Paolo ci dice che lo Spirito effuso nei nostri cuori ci libera da ogni paura e ci rende “figli adottivi”; non schiavi, ma figli capaci di rivolgerci a Dio chiamandolo “Papà”.

Lo Spirito, infatti, lo sappiamo bene, è la Terza Persona della Santissima Trinità; è “Signore e da la vita”, come diciamo nel Credo. Non è “un’energia”, ma una Persona divina, uno col Padre e il Figlio. Ricevendo lo Spirito Santo entriamo nel mistero della SS. Trinità. Mi piace la “descrizione” che della SS. Trinità fa S. Agostino: l’Amante (il Padre), l’Amato (il Figlio) e l’Amore (lo Spirito). Lo Spirito è, quindi, l’Amore tra Padre e Figlio, la reciproca e continua donazione di sé che il Padre fa al Figlio e il Figlio al Padre. Oggi, nella Pentecoste, noi celebriamo il nostro inserimento in questa circolarità d’amore.

Comprendiamo, allora, come diventa possibile ciò che la Parola di Dio ci ha detto oggi: l’Amore che è Dio è effuso nei nostri cuori! Non esistono più barriere insormontabili: nulla può separare coloro che si amano; la comprensione è possibile perché si vuole comprendere, perché si ascolta davvero; spinti dall’Amore, non sentiremo come gravosa l’osservanza dei comandamenti, ma come figli amati e amanti non desidereremo altro che fare felice il Padre realizzando pienamente la nostra vita.

Fratelli e sorelle, tutto questo è già presente, lo Spirito che il Padre ha effuso nei nostri cuori per l’opera del Figlio, attende solo che noi diamo la nostra disponibilità perché la nostra vita possa giungere alla pienezza.

Fr. Marco