venerdì 31 gennaio 2025

Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai

 «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; … Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.» (Ml 3,1-4)

«… doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.» (Eb 2,14-18)

«Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». (Lc 2, 22-40)

Questa domenica celebriamo la festa della presentazione del Signore al Tempio. Una festa che si svolgeva già a Gerusalemme nel IV secolo con il nome greco di Hypapante, “festa dell’incontro”. Celebra l’incontro tra la “profezia” rappresentata dal vecchio Simeone, e il suo compimento, il Cristo; tra il popolo redento, rappresentato dalla profetessa Anna, e il Redentore.

È una festa che “fa da ponte” tra il Natale, cui è legata per i quaranta giorni trascorsi (periodo rituale dopo il quale la donna che aveva partorito poteva entrare nel Tempio) e la Pasqua, richiamata dalle parole del santo Simeone.

«Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele» Il santo Simeone, guidato dallo Spirito, riconosce in quel bambino che viene portato al Tempio per presentarlo al Signore, il Salvatore del mondo e lo addita come “segno di contraddizione”: è lui il discrimine. Il mondo verrà giudicato a partire dal modo in cui avrà accolto il Signore che viene. Soltanto accogliendo il Cristo come nostro Signore, Egli sarà per noi risurrezione e vita. Tale accoglienza, però, non può avvenire solo a parole («non chi dice Signore, Signore …»), ma deve esprimersi in una vita vissuta nella Signoria di Cristo, in obbedienza alla Sua volontà.

«Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» Quest’oggi è anche la giornata della vita consacrata, il giorno dedicato a quanti hanno risposto alla chiamata del Signore ad una vita consacrata in maniera particolare ed esclusiva a Lui. Se dico  “in maniera particolare ed esclusiva” è perché tutti i battezzati siamo in realtà consacrati al Signore, conformati a Lui, innestati in Lui. Alcuni battezzati, tuttavia, siamo chiamati a vivere questa consacrazione in maniera più radicale dedicandoci esclusivamente alla causa del Regno per essere così, in maniera, particolare portatori della luce di Cristo ai fratelli (il modo in cui riesco realmente a vivere questa missione, lo affido alla misericordia del Signore.).

Il simbolo delle candele, infatti, richiama da vicino il Cristo risorto (di cui il cero Pasquale è il simbolo per eccellenza) in cui anche noi, battezzati, siamo risorti. Al nostro battesimo abbiamo ricevuto una candela accesa al cero Pasquale: è il simbolo della Fede alla luce della quale siamo chiamati a vivere. Tale Fede è una luce che non possiamo “mettere sotto il moggio”, che non possiamo nascondere. Una luce della quale siamo responsabili, che dobbiamo alimentare con la grazia dei sacramenti e l’ascolto assiduo della Parola, perché non si spenga. Come Cristo, “luce delle genti” e “segno di contraddizione”, anche noi siamo chiamati a “non conformarci alla mentalità di questo mondo” (Cfr. Rm 12) per portare, ai fratelli che sono nelle tenebre, la luce di Cristo.

«Gesù disse di essere venuto a portare il fuoco sulla terra (Lc. 12, 49); non era, certo, il fuoco materiale che brucia e che distrugge, ma il fuoco che riscalda: l’amore. Esso doveva operare il grande disgelo del mondo attanagliato dal gelo dell’egoismo e dell’odio. […] La luce che ci ha affidato era, dunque, null’altro che il precetto dell’amore: Amatevi gli uni gli altri; amate anche i vostri nemici. È questa la luce che dobbiamo portare con noi, ogni volta di nuovo, dalla chiesa, per far luce “a tutti quelli che sono nella casa”, a quelli con cui viviamo la nostra giornata. È, in senso evangelico, una luce posta sul candelabro il cristiano che si sforza di essere comprensivo con le persone, a cominciare dalle più vicine, che non ha parole amare di critica e di disapprovazione per tutti, che sa incoraggiare un piccolo sforzo di bene negli altri.» (P. Raniero Cantalamessa)

Auguri, dunque, a tutti noi consacrati nel battesimo: che la luce dell’Amore che Cristo ha acceso nei nostri cuori possa ardere in noi ed essere luce che purifica la nostra vita e illumina e riscalda la vita dei nostri fratelli.

Fr. Marco

sabato 25 gennaio 2025

Lo Spirito del Signore mi ha mandato a proclamare l’anno di grazia del Signore

 «Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», […] I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura.» (Ne 8,2-4.5-6.8-10)

«Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.» (1Cor 12,12-30)

«In quel tempo, Gesù […] Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. […]  Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”».(Lc 1,1-4; 4,14-21)

Dal 2019, per volontà di papa Francesco, la III Domenica del Tempo ordinario è la “Domenica della Parola”, un’occasione e un invito a riscoprire la fondamentale dimensione dell’ascolto. Questa domenica, infatti, le letture che la liturgia ci propone trattano proprio della centralità della Parola di Dio nella vita di fede. Sia nella prima lettura che nel Vangelo ci viene descritta una “liturgia della Parola” e la sua efficacia come manifestazione e attualizzazione del disegno di Dio.

Nella prima lettura, tratta dal Libro di Neemia, lo scriba Esdra proclama il libro della Legge di Dio al “resto d’Israele” di ritorno dall’esilio. La reazione del popolo è un pianto di pentimento e di gioia: pentimento per il peccato che li ha allontanati dalla Terra che aveva loro donato il Signore; gioia e gratitudine perché la fedeltà del Signore li ha ricondotti in Patria e permette loro di ascoltare ancora quella Parola che li costituisce “popolo di Dio”. A questa reazione Esdra e Neemia esclamano: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!»

Nella pagina di Vangelo, ascoltiamo di Gesù che entra di sabato nella Sinagoga e, dopo avere proclamato un brano tratto dal profeta Isaia, afferma: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Con Gesù, infatti, è arrivato “l’oggi” della salvezza e si realizza pienamente ciò che i profeti avevano annunciato: ai poveri è portato il lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione, è proclamato l’anno di grazia del Signore. Quest’anno in cui si celebra il Giubileo ordinario questa Parola risulta quanto mai attuale: ci è donata la possibilità di fare esperienza particolare della grazia di Dio ottenendo la remissione dei peccati per ravvivare la nostra Speranza.

«… mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione … rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» Il contesto immediato in cui Isaia proclama queste parole ha a che fare con l’anno giubilare che ricorreva ogni “sette settimane di anni” in cui venivano azzerati tutti i debiti e ciascun israelita rientrava in possesso di quella “porzione di terra promessa” che gli era stata assegnata. I poveri di cui parla, quindi, sono sicuramente anche “indigenti”. Ciò tuttavia non basta per descrivere i poveri cui si riferisce Gesù: si può essere “ricchi” anche possedendo poco, se a quel poco attacchiamo il cuore e facciamo dipendere da esso la nostra salvezza. I poveri ai quali si rivolge Gesù, invece, sono coloro che sanno di non potere mai “bastare a se stessi” e tutto si aspettano dal Signore; coloro che sanno che, per quanti beni possano possedere, questi non potranno mai dare loro la Vita; per questo sono disponibili alla condivisione. La condivisione, infatti, è un requisito essenziale dell’essere veramente poveri secondo Dio: il prenderci cura gli uni degli altri come membra di uno stesso corpo (vedi la seconda lettura) nella consapevolezza di avere un Padre che si prende cura di noi.

A questi poveri di JHWH, poveri secondo Dio, viene portato “il lieto annuncio”: il Signore si prende cura di loro; è entrato nella storia per liberare coloro che vivono nella schiavitù del peccato, rimettere “i debiti” che ci allontanavano dalla Grazia di Dio e donarci l’eredità e la dignità di Figli di Dio. Con Gesù, infatti, l’anno di grazia del Signore, l’anno giubilare, raggiunge il suo senso pieno e più vero e si estende all’Oggi della Parola: l’oggi in cui la Parola ascoltata e creduta ci muove all’amore fiducioso in Dio e all’amore dei fratelli.

Avviandomi alla conclusione, vorrei sottolineare l’atteggiamento di pentimento e conversione manifestato nella prima lettura dal popolo salvato: il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Gesù, infatti, rivelatore della Misericordia del Padre, se da una parte non ci condanna per il nostro peccato («non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» Gv 12,47), dall’altra ci chiede il pentimento per il nostro peccato e ci dona la grazia di lasciarlo, di cambiare vita. Una mal intesa “misericordia” che ci lasciasse schiavi della nostra miseria non sarebbe vera Misericordia che salva. In ogni incontro salvifico con i peccatori, Gesù dona il perdono e chiede di lasciare la via del peccato: «Va e non peccare più».

Accogliendo, allora, la Misericordia del Padre che viene a proclamare l’Anno di Grazia del Signore, lasciamoci raggiungere dalla Parola ed esaminiamo alla luce di Essa la nostra vita. Scoprendo quanta Misericordia il Signore usa a noi, prendiamoci cura gli uni degli altri soccorrendo i nostri fratelli e sorelle nella miseria come anche noi vogliamo essere soccorsi da loro.

Fr. Marco

sabato 18 gennaio 2025

La gioia dell'obbedienza

«Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.» (Is 62,1-5)

​«Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.» (1Cor 12,4-11)

«Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Sua madre disse ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”.» (Gv 2,1-11)

Il Vangelo delle nozze di Cana che caratterizza l’inizio del Tempo Ordinario quest’anno, completa la manifestazione di Gesù cominciata con l’epifania e continuata con il battesimo (la voce dall’alto): con il primo dei segni Gesù manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

«Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te». Il contesto nuziale in cui avviene l'inizio dei segni è un simbolo potente già usato dai profeti per descrivere il Patto di reciproca appartenenza tra JHWH e il popolo eletto; la prima lettura ne è un esempio.

«Non hanno vino» In questo matrimonio viene a mancare il vino. Senza vino la festa è destinata a finire. Lo stesso avveniva anche nel patto tra JHWH e il popolo: non c’è più il vino della gioia! Non c’è più festa. Il popolo ha dimenticato chi è il suo Dio; ha assolutizzato la legge e vive il suo rapporto con Dio come un adempimento di doveri in cui cerca il tornaconto immediato (do ut des: do affinché tu dia): celebra il culto per avere salute e ricchezza; cerca i doni di Dio dimenticando il Datore di ogni bene, il Signore che opera tutto in tutti.

«Non è ancora giunta la mia ora» Alla Madre che gli fa notare che non hanno più vino, Gesù risponde facendo allusione all’Ora. Solo nell’Ora della Sua Gloria (come Giovanni legge la passione, morte e resurrezione) in cui verrà sancita la Nuova ed Eterna Alleanza, infatti, tornerà la gioia piena. Alla risposta di Gesù, che sembra volere negare il suo intervento, fa seguito un ordine della Madre ai servi: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Potenza della fede: Maria, con la sua fiducia nell’intervento del Figlio, in qualche modo anticipa l’Ora. Non si lascia scoraggiare dall’apparente diniego di Gesù. 

«Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Soffermiamoci brevemente su ciò che la Madre ci insegna in questo contesto: il potere della preghiera fiduciosa e perseverante, e la necessità di fare qualsiasi cosa ci dica, cioè anche ciò che può sembrarci illogico, non secondo il nostro modo di pensare. Finché non accoglieremo la Sua logica nella nostra vita, finché non accetteremo, concretamente ed esistenzialmente, la Sua signoria sulla nostra vita, non potremo gustare il vino della gioia che Lui vuole darci.

«… hai conservato fino ad ora il vino buono» Il commento del maestro di tavola ci aiuta a comprendere che il centro è non tanto il cambiamento dell’acqua in vino, ma il fatto che questo vino è migliore di quello che c’era prima. Era “vino buono” anche quello che in precedenza animava il Patto tra Dio e il popolo, cioè la Legge data attraverso Mosè, ma il vino di Gesù è migliore: adesso c’è una rivelazione che va oltre la rivelazione della Legge. Adesso l’amore di Dio è manifestato con una vivacità e una chiarezza senza riserve. Come ci ricorda il Prologo di S. Giovanni: «La Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità sono venute attraverso Gesù Cristo» (Gv 1,17). Non solo, ma questo “vino”, la gioia messianica, è sovrabbondante: «Vi erano là sei anfore … contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri» Si tratta quindi di una quantità di vino tra i 480 e i 720 litri, un dono che va al di là del bisogno e delle nostre attese.

Quante volte anche nelle nostre vite viene a mancare “il vino della gioia”: tiriamo avanti compiendo il nostro dovere, ma non sentiamo più la gioia della presenza dello Sposo. Il Signore vuole darci abbondantemente il vino della gioia. Perché questo avvenga, tuttavia, è necessaria una “conversione”, cambiare la prospettiva in cui si vive e riammettere Dio nella nostra vita. Solo così gusteremo una gioia che nessun altro può donarci.

Fr. Marco

 

venerdì 10 gennaio 2025

Oh mirabile scambio: il Figlio si fa uno di noi per renderci figli!

 «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri». (Is 40, 1-5.9-11)

«Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo» (Tt 2,11-14;3,4-7)

«Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”». (Lc 3, 15-16.21-22)

Oggi celebriamo la festa del Battesimo del Signore con la quale giunge a compimento il mistero e il tempo di Natale, il mirabile scambio con il quale il Figlio si è fatto uomo perché noi possiamo diventare figli: il Verbo, coeterno con il Padre, che si è fatto uomo per la nostra salvezza, per raggiungere tutti gli uomini si fa solidale con l’umanità peccatrice e si confonde con essa sulle rive del Giordano per ricevere un battesimo di penitenza.

Il battesimo impartito da Giovanni, infatti, non è il sacramento che noi abbiamo ricevuto, ma un “lavacro” simbolico che suggellava il serio proposito di convertirsi, di fare penitenza. Gesù, l’unico innocente, non ne aveva bisogno. Da questo sono motivate le proteste di Giovanni riportate nel vangelo di Matteo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» (Mt 3,14). Il Signore, però, vuole portare a compimento la Sua solidarietà con l’umanità; vuole salvare tutti senza distinzioni. Comincia a realizzarsi la profezia di Isaia contenuta nel Carme del Servo sofferente (Cfr. Is 52,13-53,12): «il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità.» Il Figlio eterno del Padre, si confonde con i peccatori perché noi possiamo diventare figli. Da qui il compiacimento del Padre che dà inizio alla vita pubblica di Gesù.

«… viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali». All’umiltà di Gesù che si mischia con l’umanità peccatrice, fa eco l’umiltà di Giovanni. Dinanzi le attese delle folle che aspettano il Messia, Giovanni sa stare al suo posto, nella verità: lui prepara la venuta del Messia, ma non è lui il Salvatore atteso. Ecco un atteggiamento che ritengo sarebbe bello se riuscissimo ad imparare: stare davanti a Dio e davanti agli uomini nella verità di noi stessi, senza valutarci più di quanto sia conveniente valutarci (Cfr Rm 12, 3) e senza tirarci indietro, per falsa umiltà, dal fare ciò che siamo chiamati a fare.

«Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera». L’evangelista Luca spesso parla della preghiera di Gesù presentata a modello della preghiera dei discepoli. È la preghiera del Figlio che si rivolge al Padre fiducioso, che ascolta la Sua Parola e si dispone a compiere la Sua volontà. Così ci ha insegnato a pregare Gesù: «Padre … sia fatta la Tua volontà» (Cfr. Mt 6, 9-10 e Lc 11,2-4). Pregare, infatti non significa soltanto e soprattutto chiedere cose, ma mettersi alla presenza del Padre, in comunione con lui, chiedendo soprattutto la grazia di conoscere e compiere la Sua volontà che è la nostra vera salvezza. È questa la preghiera dei figli di Dio.

Celebrare la festa del Battesimo del Signore, infatti, ci dà anche l’occasione per fare memoria di quanto è avvenuto nel nostro Battesimo, quello che abbiamo ricevuto nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; quello in Spirito Santo e fuoco; quel Battesimo che, innestandoci nell’Unigenito Figlio di Dio, ci ha resi figli: anche per noi il Padre, nel giorno del nostro battesimo, ha detto: «Tu sei il Figlio mio, l’amato».

«Consolate, consolate il mio popolo … e gridatele che la sua tribolazione è compiuta» Così ci invita a fare la prima lettura. Un’esortazione quanto mai attuale in quest’anno di Grazia del Signore che è l’anno giubilare. Facciamo tesoro della Misericordia del Padre e riscopriamo la gioia di essere Figli di Dio.

Siamo diventati figli di Dio! Lo siamo perché il Battesimo ci ha conformati a Cristo, ci ha innestati in Lui. Questa conformità, però, deve essere visibile nel nostro quotidiano. In qualità di figli, come ci ricorda s. Paolo nella seconda lettura, siamo invitati ad imparare dal Figlio a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Siamo chiamati a portare frutto con la nostra vita perché il Padre possa compiacersi anche di noi.

Fr. Marco

domenica 5 gennaio 2025

Splende il Signore, appare la Sua Gloria

 «… ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te.» (Is 60,1-6)

«Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: … le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.» (Ef 3,2-3;5-6)

« … alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.» (Mt 2,1-12)

​Nella solennità dell’Epifania, celebriamo la “manifestazione” (questo significa la parola greca epifania) del Signore al mondo intero, ai “lontani” rappresentati dai Magi venuti dall’oriente. La tradizione popolare parla di “tre re” per i doni che offrono: oro per il re dei re della terra, incenso per onorare la divinità di Gesù e mirra simbolo della passione salvifica che avrebbe accolto per noi. I tre Magi, però, nelle fattezze con cui sono rappresentati nel presepe, rappresentano anche tutta l’umanità che la tradizione biblica fa discendere dai tre figli di Noè: Sem, Cam e Iafet.

Nella prima lettura, la Parola di Dio ci descrive una situazione di “tenebra”, di oscurità, una situazione in cui sembra che non ci sia speranza. In queste tenebre spunta la Luce, la Speranza: il Signore dà un segno della sua presenza nel mondo attraverso la gloria di Gerusalemme.

Oggi il segno della presenza di Dio nel mondo, questo segno che deve dare speranza e invitare alla gioia, è la Chiesa, l’assemblea dei battezzati, il nuovo popolo di Dio, la Gerusalemme Celeste del “già e non ancora”, cioè già presente nel mondo, ma non ancora pienamente rivelata; è per questo che proprio oggi si legge “l’annuncio del giorno di Pasqua”: si annuncia il Mistero di Cristo di cui tutto l’anno liturgico è memoriale e attuazione. Per i nostri contemporanei, quindi, è la Chiesa il segno che splende della gloria di Dio. Quest’anno, in cui celebriamo il Giubileo ordinario, l’anno di Grazia del Signore, ciò è particolarmente manifesto; «Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza» (Spes non confundit n. 1) questo è il desiderio di Papa Francesco nell’indire l’anno giubilare.

Non per tutti, però, la presenza della gloria di Dio è motivo di gioia: Il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Così il Vangelo descrive i sentimenti di Erode e della casta sacerdotale che vedono nel Re che è nato un turbamento al loro potere. Anche oggi, purtroppo, “il mondo” (nell’accezione che a questa parola dà s. Giovanni) vede in Gesù un “disturbatore” da eliminare, da ridurre al silenzio. Si vorrebbe eliminare Dio. 

Anche a noi può capitare di sentirci “disturbati” dal Signore; può capitare che le esigenze della Sua sequela, diametralmente opposte a quelle del mondo, ci portino a volerlo “eliminare”. Riconoscendo in Gesù il Signore, infatti, dobbiamo rinunciare alla “signoria del nostro io”, a mettere noi stessi al centro del mondo, per adorare Lui e vivere sotto la Sua signoria. Solo facendo questo potremo svolgere quel ministero di cui ci parla oggi S. Paolo nella seconda lettura e che appartiene a tutti i battezzati: annunziare al mondo la Speranza e la Gioia. Annunziare al mondo che ci sono “valori” capaci di dare la felicità, ma che non possono essere messi in banca; valori diversi da quelli economici: valori eterni e capaci di darci quella felicità che il denaro, il “piacere” o il potere non saranno mai capaci di darci.

Accogliamo, allora, il Signore che viene a manifestare la Sua gloria, poniamoci sotto la Sua signoria di Amore e di Pace. Sperimenteremo la libertà di essere figli di Dio amati e testimonieremo al mondo quella gioia di vivere di cui i nostri contemporanei sono assetati. Auguri.

Fra Marco.

sabato 4 gennaio 2025

La Sapienza di Dio ha posto la Sua tenda in mezzo a noi

 «La sapienza fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. […] “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti”» (Sir 24,1-4.12-16)

« … il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.» (Ef 1,3-6.15-18)

«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. […] Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,1-18)

Oggi, seconda domenica dopo Natale, nella pagina di Vangelo ascoltiamo ancora il “Prologo di Giovanni” che ci fa contemplare il Verbo, il Logos divino, che si fa carne; la Sapienza che viene a piantare la tenda in mezzo al suo popolo per rivelare agli uomini chi è Dio e quali progetti d’amore ha per noi.

«Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto». Tragicamente, ciò che è avvenuto più di 2000 anni fa continua ad avvenire oggi. Viene nel mondo Colui per mezzo del quale tutto è stato creato; il Logos in cui tutto il creato trova la sua logica, il suo senso. Ma gli uomini, immersi nelle tenebre del non senso, non l’hanno accolto.

L’impressione è che nel mondo occidentale odierno, accecato dal proprio “delirio di onnipotenza”, dal “lume” della propria “ragione”, tutti hanno diritto di parola, tranne il Verbo di Dio. Tutti vanno rispettati, tranne il messaggio cristiano offendendo il quale non solo non si incorre in alcuna censura, ma al contrario si viene elogiati come persone “libere”. Una parte del mondo contemporaneo continua a rifiutare violentemente il Verbo di Dio.

Una parte del mondo, immerso nelle tenebre, ha rifiutato e continua a rifiutare il Logos e, di conseguenza, ha perso il senso del vivere, si è smarrito in preda alle proprie “passioni”. Si è perso il senso del creato: tutto viene sfruttato indiscriminatamente senza alcun rispetto per la natura e le generazioni a venire. Si è perso il senso dell’umanità, per cui l’altro viene usato come un oggetto del proprio piacere su cui accampare diritti: il sesso viene slegato dall’amore e dalla procreazione; i figli diventano un oggetto di diritto da pretendere e, eventualmente, acquistare; le donne vengono strumentalizzate (con grande danno alla loro salute), approfittando del loro stato di necessità, come incubatrici nella barbarica pratica dell’utero in affitto.

In questa società ufficialmente laica, ma cripticamente dogmatica, in cui si vuole imporre un modo di pensare e di vivere anticristiano, si viene attaccati e “messi alla gogna” anche solo affermando una verità palese e logica come quella che un figlio può nascere solo da un uomo e una donna.

«A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio». Oggi la Parola, oltre a ricordarci qual è il senso della Creazione, ravviva la nostra Speranza indicandoci il progetto del Padre per noi: renderci Figli, capaci di stare al Suo cospetto e vivere la Vita bella ed eterna che Egli ha pensato per noi. Una vita piena di senso dove tutto, anche la fatica e la sofferenza (imprescindibile nella nostra condizione mortale) hanno il loro senso. Figli di Dio in senso pieno, infatti, non lo siamo per nascita. Per nascita siamo sue creature, volute e amate, ma diventiamo Figli solo accogliendo il Figlio, riconoscendolo Signore della nostra vita e rinascendo in Lui.

Il Verbo si è fatto carne, si è fatto uno di noi, è entrato in tutte le situazioni di miseria dell’umanità mostrando la Sua misericordia. Una misericordia, però, che non è “lassismo”, un’indulgenza che lasci l’uomo nella miseria in cui si trova, ma che aiuta l’umanità a risollevarsi dalla miseria in cui vorrebbero relegarla le sue passioni.

Accogliamo il Logos di Dio che ci  mostra il Suo amore nel risollevarci dalla nostra miseria. Permettiamo alla Luce vera che viene nel mondo di rischiarare le nostre tenebre. Incarniamo quotidianamente il messaggio del Vangelo vivendo la nostra vita guidati dalla Sua Luce. Sperimenteremo quella Sapienza che dà sapore alla nostra vita.

Fr. Marco