venerdì 26 settembre 2025

Guai agli spensierati di Sion, cesserà l’orgia dei dissoluti!

 «Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria!» (Am 6,1.4-7)

«Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza.» (1Tm 6,11-16)

«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe … » (Lc 16, 19-31) 

​​Questa domenica, XXVI del Tempo Ordinario, la Parola di Dio ci mostra un esempio di chi non è stato capace di imitare la scaltrezza dei figli di questo mondo nell’usare saggiamente della ricchezza per farsi degli amici tra i poveri, tra “coloro che contano” dinanzi a Dio. La parabola raccontata nella pagina di Vangelo, infatti,  non è rivolta ai poveri perché si rassegnino sperando in un “al di là” in cui le cose saranno diverse, ma ai ricchi: Gesù parla in prima istanza ai Farisei amanti del denaro (v. 14).

Ritengo sia importante notare, inoltre, che “Ricchezza” e “povertà” non vanno intese solo come abbondanza o mancanza di beni; sono principalmente atteggiamenti del cuore: essere attaccati, accecati, dai beni (molti o pochi) che si possiedono o confidare in Dio ponendo in lui la nostra fiducia. Si può essere “ricchi” anche possedendo pochissimo, se a quel poco che possediamo attacchiamo il cuore convinti che da esso dipenda la salvezza della nostra vita. Conseguenza immediata, infatti, è che non siamo capaci di condividere ciò che abbiamo con i fratelli. Per la spiritualità giudaico-cristiana questa condivisione è un atto di giustizia senza la quale non può esserci pace con Dio e con i fratelli; è un “restituire” a Dio i suoi doni. San Francesco d’Assisi lo sa bene. Nella Legenda dei tre compagni leggiamo che una volta «disse a se stesso: «“Tu sei generoso e cortese verso persone da cui non ricevi niente, se non una effimera vuota simpatia; ebbene, è giusto che sia altrettanto generoso e gentile con i poveri, per amore di Dio, che ricambia tanto largamente”. Da quel giorno incontrava volentieri i poveri e distribuiva loro elemosine in abbondanza» (FF 1397). Per Francesco comportarsi diversamente equivale a rubare al povero ciò che è suo perché ne ha bisogno.

«C’era un uomo ricco … » Il protagonista della parabola odierna, non è il povero Lazzaro, ma il ricco senza nome di cui sappiamo soltanto che banchettava lautamente e vestiva in modo regale. È significativo il fatto che del ricco neanche si sappia il nome: mentre il povero Lazzaro (il cui nome, non a caso, significa “Dio aiuta”) è conosciuto e amato da Dio in cui pone tutta la sua fiducia, il ricco, accecato dai suoi beni, si è sottratto a questo amore. Il dramma di quest’uomo non è quello di avere ricchezze materiali, ma quello di essersi fatto accecare da esse tanto da non vedere il bisogno del fratello davanti la sua porta. Peggio ancora, il dramma è nell’avere chiuso il cuore al bisogno del fratello e quindi, direbbe san Giovanni, nell’avere chiuso il cuore all’amore di Dio (Cfr. 1Gv 3,17). È il pericolo della ricchezza che diventa idolo: ci illude che possa darci la vita, che possa spegnere la “sete di Vita” che ogni uomo sente in se.

Il secondo quadro della prima parte della parabola, narrando la fine di questa vita terrena, mette in luce l’inganno: il povero, che ha confidato in Dio, è accolto in paradiso, “nel seno di Abramo”; il ricco è sepolto. Sperimentano entrambi la sorte che si sono scelti: il povero Lazzaro che confidava in Dio, ora gode di Dio in maniera piena; il ricco che confidava nelle cose, nel cibo e nei vestiti, segue la sorte di questi ultimi: finisce nella terra a disfarsi.

La seconda parte della parabola, aprendo uno spiraglio sull’Eternità, mostra che Lazzaro vede ora appagata la sua “sete di Vita”; il ricco che si illudeva di appagare la sua sete, sperimenta ora una “fiamma bruciante”: una sete inestinguibile che le cose non sono state capaci di placare e che ora lo divora per l’eternità. Il dramma del ricco, inoltre, sta nell’incapacità di vedere Lazzaro come un fratello: in vita non lo vedeva davanti la sua porta; in morte lo vede come servo («manda Lazzaro intingere … manda Lazzaro ad ammonire»). Facciamo attenzione a come vediamo quanti ci stanno accanto, soprattutto i più poveri e piccoli; attenti alla loro dignità, riconosciamoli fratelli.

«Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro» La risposta di Abramo alla richiesta del ricco di mandare Lazzaro a mettere in guardia i fratelli, infine, costituisce un ammonimento ad ascoltare la Parola. L’ascolto che viene chiesto è un “ascolto obbediente”. Il ricco e i suoi fratelli conoscono la Parola, probabilmente partecipano pure alle liturgie, ma questo non cambia la loro vita. Non sia così per noi. Lasciamo che la Parola ci metta in crisi e cambiamo la nostra vita per potere godere di quella pienezza di Vita che solo Gesù può donarci.

Fr. Marco

sabato 20 settembre 2025

Usiamo bene dei beni in vista del Sommo Bene

 

«Il Signore mi disse: “Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese […]. Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere”». (Am 8,4-7)

«Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.» (1Tm 2,1-8)

«Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.» (Lc 16, 1-13)

Questa domenica, XXV del Tempo ordinario, la pagina di Vangelo ​ci presenta qualcosa che, a prima vista, risulta sconvolgente: nella parabola raccontata Gesù viene lodato l’amministratore disonesto!

Soffermandoci con più attenzione, però, scopriamo che ad essere lodata non è, ovviamente, la disonestà, ma la scaltrezza, o più precisamente la previdenza: l’amministratore disonesto si rende conto di ciò che sta per avvenire, fa i suoi calcoli, e prende provvedimenti. La scaltrezza che il padrone loda sta nel non lasciarsi ingannare dalla “disonesta ricchezza”; disonesta perché promette ciò che non può dare: vita e felicità. La prima lettura, inoltre, ci mette in guardia dall’usare le persone, in particolare i poveri, per i nostri egoistici fini, per accumulare la disonesta ricchezza; chi agisse così è avvisato: «Non dimenticherò mai tutte le loro opere»

«So io che cosa farò … “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”» L’amministratore della parabola non si lascia travolgere dagli eventi: prende in mano la situazione ed è capace di fare scelte, anche costose, per assicurarsi un avvenire. Nel chiamare i debitori del suo padrone, infatti, rinuncia al suo immediato e disonesto guadagno, il ricarico che faceva sui crediti del suo padrone, per “farsi degli amici” che lo accolgano in futuro.

«Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta …» Oggi il Maestro ci invita ad essere scaltri e previdenti: il Regno è vicino e saremo chiamati a rendere conto di come abbiamo amministrato i beni che ci sono stati affidati: facciamo scelte che ci assicurino la salvezza eterna. Gesù oggi ci invita a farci amici coloro che possono accoglierci nel Regno: i poveri, gli ultimi, i più piccoli; tutti coloro dei quali Gesù ha detto: «Quello che avete fatto a loro, l’avete fatto a me» (Cfr. Mt 25, 31-46).

I “figli di questo mondo” conoscono bene questa scaltrezza: sono disposti a rinunce e sacrifici per ottenere “l’amicizia” di qualcuno la cui parola conti. La loro prospettiva è, però, molto limitata: pensano che il potere e la ricchezza in questo mondo potranno dare loro la Vita di cui ogni uomo è assetato; sperimentano, invece, che potere e ricchezza non bastano mai. Che tristezza quando anche i “figli della luce” si fanno accecare dalla limitata prospettiva intramondana e vanno in cerca di ricchezza e potere; magari proprio a scapito di quegli “amici di Dio” che sono i piccoli e i poveri!

Gesù oggi ci invita ad alzare lo sguardo e a “farci furbi”: la nostra prospettiva è il Regno dei Cieli, la Vita vera che Lui solo può darci. Usiamo bene dei doni che siamo chiamati ad amministrare, non lasciamoci accecare dalle ricchezze come se queste potessero darci la vita con il solo accumularle. Impariamo a condividerle con gli “amici di Dio” per essere accolti nella vera Vita. Una Vita eterna che comincia qui nella gioia della condivisione, nell’amare e sentirsi amati, ma che andrà di pienezza in pienezza per l’Eternità. Voglio concludere con un pensiero di San Basilio Magno il quale ci ricorda che i beni della terra non sono “miei”, ma “nostri” e vanno condivisi: «Il pane che a voi sopravanza è il pane dell’affamato.  Il vestito che è appeso nel vostro armadio è il vestito di chi è nudo. Le scarpe che voi non portate sono le scarpe di chi è scalzo. Il denaro che voi tenete nascosto è il denaro del povero». Ricordiamoci che le persone vanno amate e le cose usate; mai il contrario.

Fr.  Marco.

venerdì 12 settembre 2025

Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce

«In quei giorni, il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: “Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero”.  … Il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita”» (Nm 21,4-9)

«Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.» (Fil 2,6-11)

«E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.» (Gv 3,13-17)

Questa domenica celebriamo la festa della esaltazione della Croce che ci mette dinanzi all’amore salvifico di Dio. Egli ha mandato il suo Figlio perché il mondo si salvi. A noi chiede solo di accogliere questa salvezza compiendo con Lui il cammino salvifico che, passando dalla Croce, ci libera dalla schiavitù del peccato e ci rende figli di Dio.

La Croce, infatti, non è un incidente della vita Cristiana, qualcosa che può pure mancare: è imprescindibile. Lo sappiamo bene, Gesù ha detto «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua Croce e mi segua». Come ci ha ricordato Papa Leone XIV nell’angelus del 24 agosto scorso, nel contesto dell’anno giubilare: « Gesù non ha scelto la via facile del successo o del potere ma, pur di salvarci, ci ha amati fino ad attraversare la “porta stretta” della Croce. Lui è la misura della nostra fede, Lui è la porta che dobbiamo attraversare per essere salvati (Cfr Gv 10,9), vivendo il suo stesso amore e diventando, con la nostra vita, operatori di giustizia e di pace.»

La liturgia della Parola si apre con l’affermazione che il popolo, liberato dalla schiavitù d’Egitto e chiamato a percorrere il cammino verso la Terra promessa, non sopporta il viaggio e mormora contro Mosè e contro Dio. È quello che spesso facciamo anche noi: mormoriamo, ci comportiamo da ingrati, chiediamo sempre di più.

Questa mormorazione avvelena il rapporto d’amore tra il popolo e Dio; quel rapporto d’amore e di reciproca appartenenza che rendeva quella “gente raccogliticcia” che era uscita dall’Egitto, il Popolo di Dio. Per questa ragione, con i serpenti, il Signore rende visibile l’effetto mortifero della mormorazione. Il popolo si pente del suo peccato e torna al Signore per avere vita.

«Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta» Il Signore invita il popolo a contemplare la conseguenza del proprio peccato dalla quale il Suo Amore lo ha liberato. Il serpente di bronzo diventa quindi memoriale della morte, conseguenza del proprio peccato, e della salvezza che viene dal Signore.

Anche noi, nelle fatiche di ogni giorno, siamo invitati a contemplare la conseguenza del nostro peccato che ci dà anche la misura dell’Amore di Dio per noi: il Signore Gesù Cristo crocifisso per i nostri peccati e risorto come primizia di molti fratelli. Da questa contemplazione siamo invitati ad accenderci d’amore per Lui per portare con Lui la nostra Croce quotidiana.

La Croce, infatti, non è una sofferenza che subiamo nostro malgrado, con rassegnazione, perché non possiamo farne a meno; la croce è un’offerta d’amore, una sofferenza accolta per amore di Cristo e dei fratelli, un mettere da parte “noi stessi” per Amore.

La Croce, quindi, non va “sopportata”, subita; tanto meno va evitata. La Croce va abbracciata per amore e con amore. Questo amore non toglie che si sperimenti tutto il peso della Croce. P. Pio, in una epistola d una figlia spirituale, ci rivela in che modo non cadere sotto il peso della Croce: «Conosco per propria esperienza che il rimedio per non cadere è l’appoggiarsi alla Croce di Cristo, con la confidenza in Lui solo, che per la nostra salvezza volle esservi appeso»

«... perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Cosa significa credere in Lui? Fidarsi di Lui, obbedire a Lui, seguire le Sue orme. Quelle orme che puntano con decisione verso il Calvario per offrire la vita per amore. Quelle orme che, dopo il Calvario, giungono alla gloria eterna della resurrezione. 

La Croce, infatti, lo ribadisco è la sorgente della nostra salvezza: è attraverso la Croce che l’Amore misericordioso di Dio giunge al suo culmine e salva tutti gli uomini. È con la Croce, quindi, che siamo chiamati a seguire Gesù: siamo chiamati a fare della nostra vita un’offerta d’amore, rinnegando noi stessi, il nostro orgoglio e la nostra vanagloria, per Amore di Dio e dei fratelli.

Fr. Marco

sabato 6 settembre 2025

Se uno viene a me

 «A stento immaginiamo le cose della terra … ma chi ha investigato le cose del cielo?» (Sap 9, 13-18)

«… perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo» (Fm 1, 9-10.12-17)

«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.» (Lc 14, 25-33)

​La Parola di Dio della  XXIII domenica del Tempo Ordinario, già dalla prima lettura ci pone una questione fondamentale per la realizzazione della nostra vita: Quale uomo può conoscere il volere di Dio?

Si tratta di avere o non avere quella Sapienza che dà sapore alla nostra vita (“sapienza” e “sapore” hanno la stessa radice nel latino sapio: “aver sapore”). Dal conoscere e fare la volontà di Dio, infatti, dipende la realizzazione della nostra vita. Viviamo veramente quando sappiamo e facciamo la volontà di Dio. Senza questa Sapienza, quindi, la nostra vita risulta insipida, vuota, una vita in cui “tiriamo a campare”. Ecco perché è importane cercare di conoscere il volere di Dio.

«A stento immaginiamo le cose della terra …» Facciamo continuamente, purtroppo, esperienza della nostra inadeguatezza: a stento riusciamo a conoscere le cose a noi vicine; spesso non conosciamo pienamente neanche noi stessi, tanto da restare sorpresi da alcune nostre reazioni e da non riuscire a dominarci pienamente. Il Padre stesso, però, ci viene incontro donandoci la Sua Sapienza. Nell’antico patto ha donato la Legge; nella pienezza dei tempi ci ha donato il Figlio e lo Spirito perché l’Amore, riversato nei nostri cuori, ci rendesse capaci di vivere la Legge.

Gesù, infatti, è la piena rivelazione del Padre, il Verbo eterno che ci rivela pienamente la Via e la Verità della Vita. Per questo noi conosciamo il volere di Dio: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23); «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27).

Anche conoscendo il volere di Dio, tuttavia, non sempre viviamo con sapienza, non sempre sappiamo ordinare i valori nella giusta gerarchia: difficilmente rinneghiamo noi stessi per mettere Dio al primo posto. Con difficoltà rinunciamo a tutti i nostri averi (rinunciamo a possedere  e a “possederci”) per camminare dietro il Maestro. Troppo spesso confondiamo le cose importanti con le cose “urgenti”: sappiamo che è importante l’Eucarestia domenicale, ma poi veniamo bloccati da mille cose che ci impediscono l’incontro con il nostro Signore; sappiamo che è importante pregare e meditare la Parola di Dio, ma le “urgenze” di ogni giorno fanno sì che non troviamo tempo da dedicare al Signore; sappiamo che Gesù ci chiede di perdonare “settanta volte sette”, ma spesso l’amor proprio (magari camuffato da “amore di giustizia”) ci impedisce di obbedire al nostro Signore.

«Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.» Il Maestro oggi si mostra esigente: ai suoi discepoli chiede un amore che lo metta al di sopra di tutto, anche della propria vita. Il Signore oggi ci ricorda che la vita cristiana, la vita da discepoli, è una vita impegnativa e va presa seriamente. Siamo chiamati a camminare dietro a Lui facendo della nostra vita un dono d’Amore: questo significa prendere la croce.

Non è raro, tuttavia, che il nostro modo di vivere la fede ci renda simili a quel tale che ha iniziato a costruire una torre, ma l’ha lasciata incompiuta. Una vita cristiana vissuta con superficialità è una vita che dà scandalo: noi non gustiamo la bellezza della vita e chi ci osserva non è attratto alla sequela (quante volte sentiamo il commento: «Se questi sono quelli che vanno in Chiesa … »)

Accogliamo l’invito del Maestro: prendiamo seriamente l’impegno della sequela e viviamo la vita con sapienza. La nostra vita sarà più bela, più “saporita”, vivremo pienamente.

Fr. Marco

sabato 30 agosto 2025

Chi si umilia sarà esaltato

 «Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato.» (Sir 3,19-21.30-31)

«… Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli» (Eb 12,18-19.22-24)

​«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. … Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,1.7-14)

​Oggi, XXII domenica del Tempo Ordinario, la Parola di Dio ci ricorda il valore dell’umiltà. Nella prima lettura, tratta dal libro sapienziale del Siracide, ascoltiamo: «Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore.» Ecco, quindi, il primo motivo per cui l’umiltà è preziosa: per trovare grazia dinanzi al Signore.

«Non metterti al primo posto» Nella pagina di Vangelo Gesù, invitato ad un banchetto, prendendo spunto da ciò che accadeva attorno a lui, esorta chi vuole ascoltarlo a non ricercare i primi posti. L’atteggiamento prepotente di chi sgomita per mettersi avanti agli altri presto troverà umiliazione e discredito da parte del padrone di casa. «Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». L’umiltà è la strada per giungere alla vera gloria, quella che dà il Padre nel Regno.

Cosa significa però essere umile? Potremmo rispondere: parlare poco di sé e mai per vantarsi; confessare le proprie colpe (dinanzi a Dio e dinanzi ai fratelli); non essere vanitosi; essere disposti ad ascoltare … Sono tutte forme in cui si manifesta l’umiltà, eppure non vanno alla radice. Può accadere anche che la nostra umiltà sia falsa: siamo disposti a dire male di noi, purché gli altri ci contraddicano. Guai se chi ci ascolta denigrarci mostra di essere d’accordo con noi!

«Imparate da me che sono mite ed umile di cuore». Il versetto dell’alleluia che ci introduce al Vangelo, ci riporta le parole con cui il Maestro addita se stesso a modello di umiltà. Quale è stato il modo in cui Gesù è stato umile? Non una “umiltà delle parole”, ma l’umiltà dei fatti: «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.» (Fil 2,6-8). Gesù è stato umile perché ha scelto per sé l’ultimo posto, si è abbassato concretamente a lavare i piedi ai suoi discepoli, ha donato la vita per noi. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome (Fil 2,9).

Ecco l’umiltà che oggi Gesù ci addita nell’immagine del banchetto: scegliere l’ultimo posto, abbassarsi per servire. Questo significa imparare da Gesù mite ed umile. Questo significa comportarsi come Gesù si è comportato.

L’umiltà, inoltre, ci aiuta a fare verità su noi stessi: non meritiamo l’amore gratuito di Dio. Siamo amati gratuitamente. Ecco che scopriamo allora il rapporto tra la prima e la seconda parte del vangelo: « … quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.» Se umilmente abbiamo riconosciuto di essere amati gratuitamente da Dio, allora anche noi siamo chiamati alla gratuità, a fare del bene a chi, come noi, non lo merita. Solo se vivremo questa umiltà che ci rende simili al Figlio amato, potremo entrare al banchetto del Regno perché saremo riconosciuti come Suoi discepoli e figli di Dio.

«Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male.» La prima lettura di oggi ci mette in guardia dal pericolo della superbia, atteggiamento opposto all’umiltà. Se con l’umiltà, infatti, imitiamo il comportamento stesso di Dio che continuamente si abbassa fino a noi per amore, con la superbia, invece, volendo esaltare noi stessi, ci allontaniamo da Dio e ci comportiamo come Lucifero (cfr Is 14,11-15).

Il compianto Papa Francesco all’udienza generale del 13 maggio 2015, aveva proposto alle famiglie tre “parole magiche”: permesso, grazie e scusa. Mi sembrano tre comportamenti concreti che ci aiutano a vivere l’umiltà: chiedere permesso, cioè accostarsi all’altro con delicatezza e non con l’arroganza ci chi pensa di avere sempre ogni diritto sull’altro; ringraziare sempre per ciò che riceviamo senza la presunzione che tutto ci sia dovuto; chiedere scusa, cioè riconoscere umilmente che anche noi sbagliamo. Anche Papa Leone, infine, nella sua prima Messa, il 9 maggio 2025, ci esorta, con le parole e con l’esempio, a essere umili e rifuggire il protagonismo: «Io non voglio essere protagonista. Desidero sparire perché emerga Lui.» Il Signore ci conceda di vivere la vera umiltà perché possiamo condividere la Sua gloria.

Fr. Marco

venerdì 22 agosto 2025

Signore, sono pochi quelli che si salvano?

 

«Così dice il Signore: “Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria.”» (Is 66,18-21)

«Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.» (Eb 12,5-7.11-13)

«Un tale gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Disse loro: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.”» (Lc 13,22-30)

Questa domenica, XXI del tempo ordinario, la Parola di Dio ci presenta l’importante questione dell’essere pronti ad accogliere la salvezza. Nella pagina di Vangelo, infatti, ascoltiamo di un tale che chiede a Gesù: «Sono pochi quelli che si salvano?». La domanda, posta così, sembra una curiosità su gli altri e il Maestro non risponde.

«Sforzatevi di entrare per la porta stretta». Invece di rispondere, Gesù approfitta della domanda per esortare, il tale che pone la questione e tutti i presenti, a preoccuparsi della propria salvezza. Ciò che più ci deve urgere, infatti, non è tanto la curiosità oziosa e pettegola se Tizio e Caio si salveranno o se i musulmani o gli induisti si salveranno; ciò che con più urgenza mi devo chiedere è: “Io mi salverò?”.

Il Signore oggi ci esorta ad entrare per la “porta stretta”. Le città antiche, circondate da mura, avevano delle porte grandi e spaziose che durante il giorno permettevano l’accesso di un gran numero di persone e carri per gli scambi commerciali. Durante la notte, però, per sicurezza, queste porte venivano chiuse. Se qualcuno avesse avuto necessità di entrare in città dopo il tramonto, sarebbe dovuto passare per una porticina che permetteva l’accesso di una sola persona alla volta in modo che il custode potesse riconoscerlo e permettere o negare l’accesso. Per entrare, quindi, bisognava essere riconosciuti.

Ecco cosa significa “sforzarsi di entrare per la porta stretta”: lasciarsi conformare a Cristo, accogliere la Sua Grazia che ci raggiunge nei sacramenti, per essere riconosciuti dal Padre; avere in noi i tratti del Figlio di Dio, l’esserci rivestiti di Cristo. Diversamente, non potremo entrare: «Non so di dove siete».

«Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze» Se non avremo vissuto la conformità a Cristo che ci è stata donata nel Battesimo, non ci servirà a niente la nostra appartenenza ad un popolo o ad una congregazione; non ci servirà a niente essere stati a Piazza S. Pietro durante l’udienza del Papa, l’essere stati in questo o quell’altro santuario o l’avere partecipato a questa o quell’altra manifestazione. Se non avremo i tratti distintivi del Figlio di Dio, non ci servirà a niente persino essere stati presenti a Messa ogni domenica (magari con la testa e il cuore altrove). Ciò che ci permetterà di accedere alla salvezza sarà l’impegno che avremo messo per conformarci a Cristo, per rendere manifesta quella conformazione iniziata con il nostro Battesimo e nutrita dall'ascolto settimanale della Sua Parola e dalla Comunione sacramentale con Lui (la Messa domenicale è un dono prezioso).

«Gesù … era in cammino verso Gerusalemme». Quali sono, allora, i tratti distintivi del Figlio di Dio? Oggi Gesù ci è presentato mentre si dirige a Gerusalemme e sappiamo bene che lì sarà crocifisso per la nostra salvezza. Da risorto, entrando nel cenacolo, per essere riconosciuto mostrerà agli apostoli le mani e il costato piagati dalla croce. Ecco, dunque, da cosa potremo essere riconosciuti come conformi a Lui: se avremo amato sino alla fine (Cfr. Gv 13,1), se saremo stati capaci di portare con amore la nostra croce, se avremo fatto della nostra vita un dono d’amore, se Lo avremo seguito sulla via del Calvario unendo la nostra vita alla Sua per la salvezza del mondo.

«Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio.» Il Maestro è esigente, ma tutti sono chiamati alla salvezza e a tutti è offerta la Grazia dei sacramenti: a condizione di essere trovati conformi a Cristo, a nessuno è preclusa la salvezza.

«Sforzatevi di entrare per la porta stretta». Una sottolineatura vorrei farla, infine, sulla necessità dello “sforzo”, dell’impegno. Il Signore è un amante esigente e non si accontenta di niente di meno che di tutto il nostro impegno; così lo esprime Santa Teresa di Calcutta: «Dio non ci chiede di avere successo, ma di essere fedeli. L’amore, per essere vero, deve costarci, deve farci male, deve svuotarci di noi stessi.». Il Signore guarda il cuore: ciò che importa è l’amore che mettiamo in ciò che facciamo, l’impegno con cui lo facciamo. Può accadere che questo nostro impegno non sortisca l’effetto che vorremmo. Può accadere anche che il Signore stesso, perché non montiamo in superbia, permetta che il nostro impegno non porti i frutti desiderati. Ricordiamo che, più che ai frutti, il Signore guarda l’amore e l’impegno che avremo messo nelle nostre azioni: «Alla sera della vita saremo giudicati sull’Amore» (S. Giovanni della Croce)

Fr. Marco

sabato 16 agosto 2025

Teniamo fisso lo sguardo su Gesù che ha sopportato la grande ostilità dei peccatori

 «In quei giorni, i capi dissero al re: “Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole …”» (Ger 38,4-6.8-10)

«Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.» (Eb 12,1-4)

«Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre». (Lc 12,49-53)

​Questa domenica, XX del Tempo Ordinario, la  liturgia della Parola ci invita ad abbandonare ogni illusione di facili e comodi compromessi: il Dio Vivo e Vero è un Dio esigente, che chiede di prendere posizione anche quando questa risulta scomoda e sgradita al mondo.

È ciò che avviene a Geremia, chiamato da Dio ad annunziare che Israele cadrà sotto il re babilonese Nabucodonosor a causa del peccato del Popolo consistente soprattutto nell’idolatria, nell’avere separato il culto a Dio dalla vita quotidiana. Il re e la sua corte non vogliono sentire questo annunzio. È più piacevole credere a falsi profeti che, senza mandato di Dio, annunciano una facile vittoria. Geremia subirà persecuzione per la sua fedeltà al messaggio divino, sarà letteralmente sommerso dal fango, ma resterà fedele alla verità conosciuta da Dio.

«Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione.» Anche nel Vangelo Gesù ci avvisa che camminare dietro a Lui, essere suoi discepoli, richiede di prendere posizione per rimanere fedeli al Suo messaggio, alla Verità. Il mondo, ieri come oggi, preferisce il “politicamente corretto” alla Verità ed è forte la tentazione di “addomesticare” la Verità, “aggiornare” il Vangelo, per essere accettati dal mondo; magari alcuni pastori possono pure convincersi di farlo per “motivi pastorali”, per non allontanare le pecorelle del Signore, ma se smettiamo di annunciare la Verità o la "annacquiamo", dove conduciamo il gregge?

Essere discepoli di Cristo è incompatibile con il “volemose bene” al quale al giorno d'oggi alcuni vorrebbero ridurre il messaggio cristiano: «fai come ti pare, l’importante e che ti senti a posto … l’amore è amore … tanto Dio è buono e perdona a tutti».

Oggi un cristiano che prende sul serio il Vangelo e vuole viverlo fedelmente facilmente viene accusato di essere “estremista”, bigotto, viene ostracizzato, estromesso da luoghi di lavoro, soprattutto se questi hanno alta visibilità; cantanti che vengono “esclusi dal giro” perché si dichiarano cristiani, giornalisti che devono subire polemiche e rischiano di non potere lavorare perché portano al collo un crocifisso. Oggi tutto è permesso, a tutti si garantisce libertà di espressione, tranne che a chi si professa cristiano e annuncia la Verità del Vangelo che è incompatibile con la logica del mondo.

Il Maestro oggi ci invita a non lasciarci spaventare se la nostra fede ci procura persecuzione, anche se questo avviene all’interno del nostro nucleo familiare. Rimaniamo fedeli al Vangelo, opponiamoci al peccato in noi e alle “strutture di peccato” che la società attuale vorrebbe proporci come giuste. Non accettiamo che la nostra fede sia relegata alla sfera intima e slegata dalla vita quotidiana. Facciamo scelte coraggiose. Denunciamo il male nella società perché i fratelli possano correggersi.

Opponiamoci al peccato, però, non al peccatore per il quale dobbiamo pregare e verso il quale siamo sempre invitati alla Misericordia. Come Geremia, figura profetica di Gesù, pur non rinunciando ad annunciare la Verità, non allontaniamoci da coloro che la rifiutano: restando sempre pronti a rendere ragione della nostra Fede e Speranza (cfr. 1Pt 3,14-17)

Ardenti d'Amore per Cristo, quindi, guardando a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, rendiamo coraggiosamente testimonianza della nostra fede. Se non Lo rinnegheremo, alla fine anche noi saremo riconosciuti come Suoi.

Fr. Marco

giovedì 14 agosto 2025

Un segno grandioso apparve nel cielo

 «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle» (Ap 11,19; 12,1-6.10)

«Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.» (1Cor 15,20-26)

«Grandi cose ha fatto per me l’onnipotente» (Lc 1,39-56)

Oggi celebriamo la solennità di Maria Santissima Assunta in Cielo. L’evangelista Luca ci presenta Maria Santissima come la vera e definitiva Arca dell’Alleanza: la pagina di vangelo, infatti, racconta il viaggio di Maria verso la parente Elisabetta e nel farlo ricalca la narrazione della salita dell’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme nella casa di Obed Edom (2Sam 6,1-11). Piena dello Spirito Santo e portando nel grembo il Verbo fatto carne, Maria è la Nuova e definitiva Arca dell’Alleanza che Dio ha stipulato con l’uomo. L’antica Arca dell’Alleanza, infatti, custodiva le tavole della legge e la manna; Maria porta nel suo grembo il Legislatore e il Pane della Vita ed è testimonianza della presenza di Dio in mezzo al popolo e primizia e caparra delle meraviglie che il Signore è capace di compiere.

Contemplando Maria Assunta in Cielo, la Chiesa è invitata a contemplare ciò che il Signore ha preparato per il popolo della Nuova Alleanza. Così la costituzione conciliare Lumen gentium ci invita a guardare a Maria: «La madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore» (LG 68).

Maria Assunta in Cielo, allora, ci invita alla Speranza: il Signore ha per noi progetti di salvezza. Impariamo da questa Santissima Madre a non dubitare mai dell’amore del Padre. Impariamo a riconoscere con umiltà i prodigi che il Signore compie nella nostra vita e a rendere grazie per essi.

«Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» Così, nel Vangelo della messa della vigilia (Lc 11,27-28), Gesù risponde alla donna che proclama beato il grembo che l’ha portato. È questa, infatti, la più autentica gloria di Maria: l’avere ascoltato e accolto nel suo cuore la Parola di Dio, l’essere stata perfetta discepola del suo figlio, il Signore nostro Gesù Cristo.

Impariamo anche noi da questa santissima Madre ad accogliere con fiducia e attenzione la Parola di Dio perché possa portare frutto in noi e conformarci sempre più al nostro Signore Gesù Cristo. Impariamo ad accogliere in noi l’Amore di Dio e ad amare per primi e gratuitamente i fratelli. Guardando al Cuore Immacolato di Maria, ardente di vero Amore, impariamo a perdonarci reciprocamente e a pregare per coloro che ci fanno del male. Impariamo, infine, da questa perfetta discepola a rimanere uniti al Signore anche quando il Maestro ci chiede di seguirlo sulla via della croce.

Solo facendo così potremo anche noi dirci discepoli di Gesù e veri devoti di Maria. Imploriamo l’intercessione della Madre di Dio perché il Signore ci conceda la grazia di seguirlo come suoi autentici discepoli. Il mondo possa riconoscere in noi la presenza del Maestro e accogliere la Signoria di Cristo perché possiamo un giorno ritrovarci tutti alla presenza della Gloria di Dio. 

Fr. Marco

sabato 9 agosto 2025

Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese

«La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.» (Sap 18,6-9)

«Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.» (Eb 11,1-2.8-19)

«Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!» (Lc 12,32-48)

Questa domenica, XIX del Tempo Ordinario, la pagina di Vangelo si apre con l’esortazione a non temere. Un’esortazione che ricorre spesso nella Scrittura: qualcuno ha contato 365 volte, una per ogni giorno dell’anno. Si tratta di un’esortazione fondamentale che riguarda la nostra Fede, la nostra Speranza e quindi la Carità che dà pienezza alla nostra Vita: ​«Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore» (1Gv 4,18).

«Non temere, piccolo gregge» Quando ci lasciamo dominare dalla paura, infatti, ci ritroviamo “paralizzati”, incapaci di fare scelte di Vita; spesso, anzi, nel tentativo di “salvarci la vita” facciamo “scelte di morte”. Per questo il Signore ci esorta a non temere e a lasciarci guidare dalla Fiducia nell’Amore gratuito del Padre il quale ci dona la Vita, il Regno e tutto se stesso.

Credendo realmente all’Amore del Padre, lasciandoci amare, accogliendo la Vita che Lui vuole donarci, saremo capaci di fare scelte liberanti, scelte di Vita; non saremo più schiavi dell’idolatria dei beni, non ci affanneremo più ad accaparrare e a difendere ciò che non è capace di darci Vita: sapremo di avere un Padre che si prende cura di noi e di avere un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma, per questo saremo capaci di condividere ciò che abbiamo.

«Siate pronti, …» Il Vangelo di oggi, oltre ad esortarci a non lasciarci paralizzare dalla paura, ci invita anche alla vigilanza, all’attesa operosa. Ci invita a ricordarci che la vita è l'attesa di un incontro, ha un senso, uno scopo: l’incontro con il nostro Signore. Un incontro che sarà festoso se sarà stato preparato; se non avremo permesso alle cose del mondo di intontirci tanto da farci dimenticare chi aspettiamo; se saremo rimasti operosi nell’amore (le vesti ai fianchi, il prendersi cura dei fratelli): Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.

Se per nostra rovina, invece, avremo permesso alla paura, alla pigrizia, all’egoismo e a tutte le nostre passioni di farci dimenticare chi aspettiamo, al Suo arrivo dovremo rendere conto delle nostre scelte egoistiche, delle nostre scelte di morte: al momento dell'incontro, il Signore ratificherà la nostra scelta di vivere senza di Lui. Ecco l’unica cosa che dobbiamo temere: essere privati di Lui che è la Vita, la Luce, ogni Bene.

L’incontro con il Signore, “il fine”, più che “la fine” della nostra vita terrena, non dovrà spaventarci se saremo stati operosi, se avremo mantenuto vive Fede, Speranza e Carità, se avremo fatto fruttare le innumerevoli grazie che il Signore ci ha donato. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

sabato 2 agosto 2025

Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio

 «Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.» (Qo 1,2;2,21-23)

«Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. […] Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria.» (Col 3,1-5.9-11)

«Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». (Lc 12,13-21)

La pagina evangelica di questa domenica, XVIII del Tempo Ordinario, si apre con una scena tristemente sempre attuale: due fratelli che litigano per l’eredità. La richiesta rivolta da uno di loro  al Maestro, inoltre, fa capire che uno dei fratelli si è accaparrato tutta l’eredità lasciando l’altro senza ciò che gli spetta.

«O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?» Il rifiuto del Signore di intervenire e fare da mediatore è motivato dal non volere dare importanza a tale questione. Contrariamente a quanto insegna “il mondo” con la sua idolatria del denaro, non sono queste le cose importanti della vita: anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede. Sia chiaro: appropriarsi indebitamente dei beni della terra sottraendoli a colui al quale apparterrebbero, operare iniquità nella spartizione dei beni, significa rubare e chi se ne macchia dovrà renderne conto. Oggi, però, Gesù ci esorta a evitare quella cupidigia che è idolatria: affidare la propria speranza di Vita all’idolo della ricchezza.

La Parola di questa domenica, quindi, ci esorta a rivolgere il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Sono queste, infatti, a rimanere per sempre. Sono queste che danno pienezza alla nostra Vita. Non lasciamoci ingannare: i soldi non saziano, non danno pienezza alla nostra vita: più se ne hanno e più se ne vogliono avere!

«Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!» Il “principe di questo mondo”, ci vorrebbe “anestetizzare”: disimpegnati, “sballati”, senza più nulla per cui valga la pena di lottare, senza più valori eterni. I potenti di questo mondo vogliono solo “consumatori”. Non individui che abbiano una loro identità forte, che sappiano scegliere ciò che veramente vale, ma individui ai quali instillare sempre “nuovi bisogni” da soddisfare con il mercato.

«Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita». Il Maestro, invece, ci esorta a ricordarci che il tempo della nostra vita è limitato. «Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo.» (Sal 89,10). È questa consapevolezza la sapienza del cuore che chiediamo nel salmo responsoriale di oggi: abbiamo un tempo limitato per fare “frutti di vita eterna”, per iniziare a vivere quella Vita piena di senso che andrà di pienezza in pienezza per l’eternità. Ecco perché altrove ci rivolge l’invito alla vigilanza: Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno, né l’ora.

Siamo nei primi giorni della quindicina in preparazione alla solennità dell’Assunzione di Maria al Cielo, e siamo invitati a guardare alla nostra santissima Madre. Anche nel vegliare, naturalmente Maria santissima ci è madre e modello. Lei che ha vissuto la sua vita piena della Speranza certa e senza mai perdere di vista “la Meta” dell’eternità, oggi è per noi un faro che ci guida, che ci indica qual è la nostra meta; Maria è veramente, come la invoca la liturgia,  la “Stella del Mare” che ci permette di non perdere di vista il “Porto sicuro” verso cui tutti noi siamo diretti.

Maria seppe vivere la sua vita come un’attesa dell’incontro: apparteneva a quelle anime umili e grandi in Israele che, come Simeone, aspettavano «il conforto d'Israele» e attendevano, come Anna, «la redenzione di Gerusalemme»; Maria viveva in intimo contatto con le Sacre Scritture di Israele, che parlavano della speranza, della «promessa fatta ad Abramo ed alla sua discendenza». Come Lei siamo invitati a guardare alle “cose del Cielo”, a ciò che veramente vale.

Facciamo attenzione, allora, ad allontanare da noi ogni cupidigia e pigrizia, ascoltiamo la Voce del Maestro e, vivendo quel progetto d’amore che il Padre da sempre ha pensato per noi, facciamo della nostra vita un capolavoro.

Fr. Marco

sabato 26 luglio 2025

Signore, insegnaci a pregare

 «… Abramo riprese e disse: “Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere” …» (Gen 18,20-32)

«Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.» (Col 2,12-14)

«Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». (Lc 11,1-13)

La Parola di Dio della XVII del Tempo Ordinario, ci presenta cosa significhi pregare e ci insegna la preghiera di Gesù. Nella pagina evangelica, infatti, sollecitato dagli apostoli che lo avevano visto pregare, il Maestro insegna la preghiera per eccellenza e spiega il senso della preghiera: rivolgersi con fiducia ad un amico, ad un Padre, dal quale non possiamo che ricevere cose buone; anzi, molto di più: lo Spirito Santo, la piena comunione con Lui.

Nella prima lettura ritroviamo lo stesso invito alla fiducia: è questa che anima Abramo nella preghiera di intercessione per Sodoma e Gomorra. Una preghiera che ci è presentata dalla liturgia odierna come modello: una preghiera altruistica, non “ripiegata su se stesso”, fiduciosa ed insistente.

«Vedi come ardisco parlare …» Pur animato dalla fiducia, Abramo non dimentica che si sta rivolgendo al suo Signore: la confidenza non sfocia nella irriverenza e la sua fiduciosa richiesta non diventa pretesa di piegare la volontà di Dio alla sua. È questo, forse, l’errore più frequente nella preghiera: la convinzione che, usando “la formula giusta”, possa piegare Dio a fare quello che voglio io. Dato, però, che Dio è Padre e non Babbo Natale o il Genio della Lampada, ciò non avviene e noi restiamo delusi: Dio non fa quello che voglio io.

«Venga il tuo regno» Gesù ci insegna a chiedere non che il Padre faccia la nostra volontà, ma che sia Lui a regnare nelle nostre vite. La versione di Matteo è ancora più esplicita: «venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà». Nel vangelo di Marco, infine, ascoltiamo Gesù stesso che nel Getsèmani, nell’ora più buia , prega: « … non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». Fiduciosi nell’amore del Padre, siamo invitati a manifestare i nostri bisogni (soprattutto pregando gli uni per gli altri perché la nostra preghiera non sia egoistica), ricordando sempre, però, che ciò che vuole il Padre è meglio per noi. Ciò che chiediamo nella preghiera, quindi, è la grazia di conoscere e compiere la Sua volontà che è il nostro vero Bene.

«… dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano» Riconoscendo la nostra dipendenza creaturale, chiediamo al Padre di provvedere ai nostri bisogni. Gli chiediamo dunque il pane materiale, il cibo di ogni giorno, ma anche il Pane dal Cielo mangiando il quale non avremo più fame (Cfr. Gv 6, 35) perché Egli sazia ogni nostra “fame di Vita”.

«… perdona a noi i nostri peccati …» Gli chiediamo, ancora, di perdonarci per tutte quelle volte in cui abbiamo fatto del male a noi e ai nostri fratelli allontanandoci da Lui con il peccato. Non possiamo, però, chiedere di essere perdonati se non siamo disposti a nostra volta  perdonare coloro che ci hanno fatto del male. Nel Vangelo di Matteo, il Maestro riprende e sottolinea questa verità: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.» (Mt 6, 14-15)

«non abbandonarci alla tentazione» Consapevoli della nostra debolezza, infine, chiediamo al Padre di sorreggerci nel momento della prova, quando il maligno insinuerà alle nostre orecchie che il Padre non ci ama, non ci vuole felici. Preghiamo perché anche in quel momento, come Gesù nel Getsèmani, non dubitiamo dell’amore del Padre, e manteniamo la Fede.

Concludendo, accogliamo l’insegnamento del Maestro e preghiamo perché il Signore ci doni la grazia di riconoscerlo e accoglierlo come Signore della nostra vita e di metterci alla sua presenza riconoscendolo Amico e Padre al quale rivolgerci con fiducia.

Fr. Marco

venerdì 18 luglio 2025

Di una cosa sola c’è bisogno

 «… Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo.» (Gn 18,1-10)

«Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.» (Col 1,24-28)

«In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.» (Lc 10,38-42)

Domenica scorsa Gesù ci esortava a farci prossimi del fratello nel bisogno a imitazione Sua che si fa prossimo ad ogni uomo. Questa domenica, XVI del Tempo Ordinario, il Maestro ci chiede di farci “suoi prossimi”: di accoglierlo nella nostra vita.

Nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi, Abramo è sollecito nell’ospitare nella sua tenda i tre misteriosi personaggi che capitano nel suo accampamento nell’ora più calda del giorno. Mette in gioco il suo tempo, le sue energie e i suoi averi. L’ospitalità è “feconda”: questi tre personaggi annunciano ad Abramo la nascita del “figlio della promessa”.

«… una donna, di nome Marta, lo ospitò». La pagina evangelica ci presenta Gesù che, lungo il cammino verso Gerusalemme, viene ospitato da Marta. La tradizione presenta Marta e Maria come due icone antitetiche, l’azione e la contemplazione, delle quali la parte migliore, da preferire, sarebbe la contemplazione. Ritengo vada sottolineato, tuttavia, che l’evangelista afferma chiaramente che è Marta ad ospitare Gesù. È lei che ha l’iniziativa. Anche lei, però, incorre nell’errore che i contemporanei di Gesù commettevano nel loro rapporto con Dio: comincia a “fare tante cose” per Gesù, mettendo in secondo piano il rapporto con Lui. Maria, invece, si fa totale ricettività: ai piedi del Signore, in atteggiamento da discepola, ascolta la Sua parola.

«Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?». Marta, che inizialmente è presentata come icona positiva di accoglienza e ospitalità, cade nell’errore di permettere che “le cose da fare” offuschino lo stare con Gesù; a lungo andare comincia ad accampare “pretese” e a far valere diritti. Dimentica la sola cosa veramente necessaria: il rapporto con Gesù. Tutto il resto ha valore ed è importante a partire da questo rapporto. Mettere Gesù e l’ascolto della Sua parola al centro della nostra vita, come fa Maria, è fondamentale. Se non vuole rimanere sterile, però, l’ascolto deve diventare obbedienza fattiva.

Le figure esemplari di Marta e Maria, dunque, non devono essere separate o peggio contrapposte, ma unite in un unico modello che a partire dall’accoglienza di Gesù, dall’ascolto della Sua volontà, si metta in movimento per realizzare ciò che Lui vuole.

Anche S. Paolo nella seconda lettura si pone su questa linea. Parlando delle sue fatiche apostoliche che tante sofferenze gli hanno procurato e che non sempre hanno trovato immediata e facile accoglienza, si mostra consapevole dell’importanza di compiere la volontà di Dio anche quando non vede i frutti delle sue fatiche, anche quando le cose non vanno come si aspetterebbe. Mettendo al centro della sua vita Gesù, gli importa solo di compiere la Sua volontà. È in quest’ottica che anche noi, nelle nostre sofferenze, nelle nostre malattie, nelle nostre incapacità che ci fanno sperimentare i nostri limiti, possiamo ancora accogliere Gesù e compiere la Sua volontà.

Accogliere Gesù, naturalmente, significa anche accoglierci reciprocamente, accogliere il fratello nel bisogno. Oggi si parla tanto di accoglienza; è forte, però il pericolo di limitarsi alle parole o, peggio, di praticare un'accoglienza interessata che, sotto l'apparenza di accoglienza diventa sfruttamento. Spessissimo, poi, ci si dimentica del "prossimo più prossimo", che diventa invisibile e che può morire non visto dinanzi al nostro portone. Torniamo ad accoglierci autenticamente, a metterci al servizio gli uni degli altri con il cuore.

Prima di concludere, infine, vorrei sottolineare una particolare ricaduta nel quotidiano di questa Parola. Nella frenesia delle nostre giornate può capitare anche nella nostra vita familiare di trascurare “la cosa più importante”, di perdere “la parte migliore”. Penso in particolare al rapporto genitori – figli: mi capita di vedere o sentire genitori che cadono nell’errore di “fare tante cose per i figli" (tante ore di lavoro, magari anche un secondo lavoro), ma di trascurare il rapporto con loro. Scegliamo la parte migliore (letteralmente “la parte buona”): la relazione con loro.

Accogliamo la Parola di Dio nella nostra Vita, mettiamo Lui e la Sua volontà al centro del nostro essere e del nostro agire. Lasciamo che sia Lui a dirci cosa fare e come farlo: vedremo meraviglie nella nostra vita.

Fr. Marco

sabato 12 luglio 2025

Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?

 «Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. … questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30,10-14)

«Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili» (Col 1,15-20)

«… “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Gli disse: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”» (Lc 10,25-37)

La Parola di Dio della XV domenica del Tempo Ordinario, quest’anno ci propone il primo e più grande comandamento che compendia tutta la Legge (Cfr Mt 22,36): l’Amore di Dio e del prossimo. Il dottore della legge che interroga Gesù, infatti, sollecitato dal Maestro, enuncia un “comandamento” tratto dallo Shemà, professione di fede contenuta nel Deuteronomio (6,4 ss), e dal “Codice di santità” contenuto nel Levitico (capp. 17-26; in particolare da Lv 19,18).

«… perché tu la metta in pratica.». «Fa’ questo e vivrai» Come ci ricorda la prima lettura tratta dal Deuteronomio, già nella sapienza antica si afferma che dall’osservanza prtica dei comandamenti deriva la Vita, quella vita piena che il Signore ha pensato per il suo popolo. Il Signore, quindi, dà i comandamenti al suo popolo perché questi sappia come comportarsi per rimanere in comunione con Dio e godere di una vita bella e piena di senso.

«Che cosa devo fare …?» La domanda del dottore della Legge è motivata dalla moltitudine di comandamenti elaborati da Israele e dalla confusione conseguente. Col passare del tempo, infatti, il Popolo d’Israele ha assolutizzato sempre più l’osservanza letterale della Legge a scapito della relazione vitale con Dio che essa doveva custodire. Comincia, quindi, ad elaborare comandi su comandi che perdono il loro originario significato. La “fede” d’Israele si allontana sempre più dalla comunione con Dio e diventa una “religione speculativa” di cui è impossibile per la gente comune osservare tutti i comandi. È in questo contesto che nasce la domanda del dottore della legge. Gesù risponde rimandando il suo interlocutore a ciò che già conosce e invitandolo a metterlo in pratica: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai»

Il dottore della legge tenta di scappare dalla pratica con la “speculazione”: «E chi è il mio prossimo?». Lo straniero, il peccatore, l’eretico … sono il mio prossimo? Non devo forse starne lontano? Al tentativo di fuga nella speculazione, il Maestro risponde raccontando una parabola.

«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico …» Da notare che l’uomo incappato nei briganti scende “da Gerusalemme a Gerico”. Questo itinerario, in chiave spirituale, potrebbe indicare un allontanamento dalla santità verso il peccato. Potremmo allora identificare quest’uomo con “il peccatore” che, proprio per la sua condizione di peccato, è “mezzo morto”. Il “cuore freddo” del sacerdote e del levita, un cuore ormai lontano da cuore di Dio, resta ancorato alla purezza legale e si guarda bene dal contaminarsi con il sangue dell’uomo ferito. Solo un Samaritano, un uomo considerato dai pii giudei come eretico e scismatico, ha compassione. Una compassione che lo porta ad agire e a spendere del suo per aiutare il bisognoso. Solo la compassione, il “patire con”, la misericordia che muove all’azione, infatti, è autentica misericordia.

«Chi … ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» Adesso è Gesù ad interrogare il dottore della legge, ma la prospettiva è ribaltata: il prossimo da individuare non è colui che è caduto nelle mani dei briganti, ma colui che è stato capace di farsi a lui prossimo.
La pagina del Vangelo si chiude ancora con l’invito alla “pratica”, al fare ciò che sappiamo essere bene perché possiamo “ereditare la vita eterna”, quella Vita Piena che solo la relazione di amicizia con il Padre può donarci.

Fr. Marco

sabato 5 luglio 2025

La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Andate: ecco, vi mando

 «Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria.» (Is 66,10-14)

«Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura.» (Gal 6,14-18)

​«La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.» (Lc 10,1-12.17-20)

La pagina evangelica di questa domenica, XIV del Tempo Ordinario, ci ricorda la chiamata missionaria di tutta la Chiesa: tutti, ciascuno con la sua particolare vocazione, in quanto battezzati, conformati a Cristo Re, Sacerdote e Profeta, siamo inviati al mondo per annunziare il Regno dei Cieli.

La prima cosa che vorrei sottolineare è il preciso comando di Gesù: «Pregate il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». Il Signore chiama continuamente operai per il Regno, ma ci chiede di pregare perché essi trovino il coraggio e la libertà per rispondere alla Sua chiamata. Nel ricordarci la comune vocazione missionaria, il brano evangelico di oggi ci presenta anche le caratteristiche che il Maestro chiede ai missionari.

Li inviò a due a due davanti a sé. In Gv 13,35 Gesù afferma: «Da questo vi riconosceranno, se avrete amore gli uni per gli altri». Non bastano, quindi, abiti religiosi, crocifissi o rosari ostentati: il “distintivo” del cristiano, ciò che lo accredita come discepolo di Cristo è la disponibilità a dare la vita per amore del fratello. Per questo motivo i discepoli sono inviati a due a due: per dare la vita l’uno per l’altro, per testimoniare al mondo che non si vive veramente se si è centrati solo su se stessi.

«Vi mando come agnelli in mezzo a lupi». La logica del mondo, in cui sembra regnare “la legge del più forte”, con  la sua aggressività e “rapacità” ha giustificato l’espressione latina: homo homini lupus (l’uomo è un lupo per l’uomo). I discepoli, però, chiamati ad annunciare il Vangelo, non possono conformarsi a questa logica. Nell’ottica della vita donata per amore di Cristo e del fratello, il cristiano è chiamato alla mitezza, a non opporsi al malvagio (Mt 5,39), a rispondere al male con il bene (Rm 12,21).

«Non portate borsa, né sacca, né sandali». Ciò su cui il Maestro ci invita a fondare la nostra certezza, anche la riuscita della nostra attività missionaria, non sono i mezzi materiali di cui disponiamo, ma la Fede in Lui, l’obbedienza alla Parola. È per questo che S. Paolo può dire: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo». Non contano i mezzi di cui disponiamo, non conta la nostra appartenenza un’elite. Ciò che conta è che Cristo ci ha resi “nuove creature”, uomini e donne “nuove”, nel Battesimo: siamo chiamati per questo a vivere la Vita Nuova del Vangelo.

«Non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada». Probabilmente, uno dei livelli di significato di questa prescrizione ha a che fare con l’urgenza del messaggio: non può attendere i lunghi e cerimoniosi saluti orientali. Nel contesto in cui si trova, però, credo di potere affermare che riguardi anche la libertà richiesta ai discepoli: dopo avere chiesto ai suoi di essere liberi nei confronti dei mezzi, di porre la propria fiducia solo sulla potenza della croce, ora Gesù chiede la libertà dai condizionamenti umani, dal pericolo di porre la propria fiducia sulle “alleanze umane” in una logica clientelare che, piuttosto che favorirne la diffusione, soffoca il messaggio del Vangelo. Trovo che sia una prescrizione particolarmente attuale. Oggi certa politica scadente ci ha abituati a tale logica: «Io ti finanzio questo progetto, ma tu mi devi garantire una certa visibilità» (se non si arriva al vero e proprio voto di scambio). Una logica che siamo tentati di assumere anche nel privato: grazie all’“amico” che parla con l’“amico” abbiamo accesso a certi servizi o giungiamo in certi posti di autorità. Tutto questo, però, a scapito della libertà: non potrò più denunciare l’errore del fratello additandogli la verità del Vangelo, se gli sono debitore della posizione in cui mi trovo! Anzi, facilmente sarò costretto a scendere ancora a compromessi! Tutto ciò non è accettabile come discepoli di Cristo. Non ha niente a che fare con la logica del Vangelo. Come discepoli di Cristo non possiamo cadere in certe trame, ma siamo chiamati alla gratuità dell’amore ed alla libertà profetica per potere liberamente annunciare la verità del Vangelo.

«In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. … Non passate da una casa all’altra. … mangiate quello che vi sarà offerto» Il Maestro invia i suoi discepoli come portatori della Pace e della riconciliazione derivanti dall’annuncio del Regno, non di guerre e divisioni: vanno messe al bando le logiche settarie e la ricerca della propria gloria e della propria comodità. È questo il motivo per cui Gesù comanda di non cercare dove ci trattano meglio e di non avere pretese riguardo il nostro trattamento.

«Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». L’ultima raccomandazione del Maestro riguarda la tentazione della vanagloria e il pericolo di agire per affermare noi stessi. Il discepolo può rallegrarsi solo del compiacimento del Maestro, non dei miracoli che il Signore compie suo tramite. Accaparrarsi la gloria per le opere che il Signore compie, sarebbe un’appropriazione indebita che ci allontanerebbe dalla Via della Vita.

Accogliamo l’invito del Maestro a pregare per le vocazioni di speciale consacrazione e a metterci in cammino per annunciare il Vangelo in maniera libera a coraggiosa ponendo in Lui ogni nostra speranza e  fiducia per potere sperimentare le consolazioni del Suo Amore (I lettura)

Fr. Marco

venerdì 27 giugno 2025

Su questa pietra edificherò la mia Chiesa

«In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. … Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva». (At 12,1-11)

«Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.» (2Tm 4,6-8.17-18)

«Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. “… E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.» (Mt 16,13-19)

La Parola di Dio di questa domenica, in cui celebriamo la solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, ci mette dinanzi il fondamento della Chiesa: la fede in Gesù Cristo figlio di Dio e l’amore per Lui (il vangelo della vigilia). Solo perché fondati sulla roccia che è Cristo, gli apostoli possono guidare, “pascere” e confermare nella fede i fratelli. È sulla roccia dell’amore per Cristo e della fiducia in Lui, quindi, che si fonda la Chiesa contro cui le potenze degli inferi non prevarranno.

La prima lettura di oggi si apre con la persecuzione dei capi della Chiesa di Gerusalemme: l’uccisione di Giacomo, che sembra suscitare il consenso della “opinione pubblica” (era gradito ai Giudei), e l’arresto di Pietro. Ieri come oggi, i potenti del mondo cercano il consenso più della verità; sono interessati a “pascere se stessi”, mantenendo posizioni di potere, più che a guidare i fratelli a ciò che è vero e buono.

Il Signore, però, ci ha garantito la Sua vittoria finale a patto che, combattendo la buona battaglia, manteniamo la fede, cioè rimaniamo in comunione d’amore con Lui e Lo riconosciamo, coi fatti e nella verità, Signore della nostra vita.

Non è raro, tuttavia, che il nostro amore e la nostra fede vacillino, che, spinti dalla “logica del mondo” e dalla ricerca di consenso, cominciamo a seguire un “Dio secondo me”; anche contro l’insegnamento dei pastori che il Signore ci ha donato assicurando loro, per ciò che riguarda questioni di fede e di morale, l’assistenza del Suo Spirito. Come Pietro anche noi vogliamo indicare la via al Maestro (Mt 16,22). E come Pietro anche noi ci sentiamo rispondere «Va’ dietro a me … tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mt 16,23).

Penso che, come Pietro, tutti nella Chiesa, pastori e fedeli, abbiamo fatto almeno una volta nella vita (e magari fosse solo una volta!), l’esperienza della debolezza del nostro amore e della nostra fede al momento della prova: quante volte anche noi come Pietro abbiamo detto, magari coi fatti e non a parole, «Non lo conosco!». Anche a noi oggi il Signore chiede di amarlo così come siamo, dandoGli tutta la nostra debolezza e confidando non più sulle nostre forze, ma su di Lui e sulla Sua fedeltà: «Tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene» (Gv. 21,17 il Vangelo della vigilia).

Seguendo allora il nostro Signore tramite i pastori che ci ha donato, smettiamo di fondarci su noi stessi, sulle nostre forze, sui nostri pensieri, sul consenso di chi ci sta attorno; fondiamo la nostra certezza su Cristo e sul Suo amore: vedremo meraviglie nella nostra vita.

Fra Marco