sabato 16 agosto 2025

Teniamo fisso lo sguardo su Gesù che ha sopportato la grande ostilità dei peccatori

 «In quei giorni, i capi dissero al re: “Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole …”» (Ger 38,4-6.8-10)

«Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.» (Eb 12,1-4)

«Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre». (Lc 12,49-53)

​Questa domenica, XX del Tempo Ordinario, la  liturgia della Parola ci invita ad abbandonare ogni illusione di facili e comodi compromessi: il Dio Vivo e Vero è un Dio esigente, che chiede di prendere posizione anche quando questa risulta scomoda e sgradita al mondo.

È ciò che avviene a Geremia, chiamato da Dio ad annunziare che Israele cadrà sotto il re babilonese Nabucodonosor a causa del peccato del Popolo consistente soprattutto nell’idolatria, nell’avere separato il culto a Dio dalla vita quotidiana. Il re e la sua corte non vogliono sentire questo annunzio. È più piacevole credere a falsi profeti che, senza mandato di Dio, annunciano una facile vittoria. Geremia subirà persecuzione per la sua fedeltà al messaggio divino, sarà letteralmente sommerso dal fango, ma resterà fedele alla verità conosciuta da Dio.

«Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione.» Anche nel Vangelo Gesù ci avvisa che camminare dietro a Lui, essere suoi discepoli, richiede di prendere posizione per rimanere fedeli al Suo messaggio, alla Verità. Il mondo, ieri come oggi, preferisce il “politicamente corretto” alla Verità ed è forte la tentazione di “addomesticare” la Verità, “aggiornare” il Vangelo, per essere accettati dal mondo; magari alcuni pastori possono pure convincersi di farlo per “motivi pastorali”, per non allontanare le pecorelle del Signore, ma se smettiamo di annunciare la Verità o la "annacquiamo", dove conduciamo il gregge?

Essere discepoli di Cristo è incompatibile con il “volemose bene” al quale al giorno d'oggi alcuni vorrebbero ridurre il messaggio cristiano: «fai come ti pare, l’importante e che ti senti a posto … l’amore è amore … tanto Dio è buono e perdona a tutti».

Oggi un cristiano che prende sul serio il Vangelo e vuole viverlo fedelmente facilmente viene accusato di essere “estremista”, bigotto, viene ostracizzato, estromesso da luoghi di lavoro, soprattutto se questi hanno alta visibilità; cantanti che vengono “esclusi dal giro” perché si dichiarano cristiani, giornalisti che devono subire polemiche e rischiano di non potere lavorare perché portano al collo un crocifisso. Oggi tutto è permesso, a tutti si garantisce libertà di espressione, tranne che a chi si professa cristiano e annuncia la Verità del Vangelo che è incompatibile con la logica del mondo.

Il Maestro oggi ci invita a non lasciarci spaventare se la nostra fede ci procura persecuzione, anche se questo avviene all’interno del nostro nucleo familiare. Rimaniamo fedeli al Vangelo, opponiamoci al peccato in noi e alle “strutture di peccato” che la società attuale vorrebbe proporci come giuste. Non accettiamo che la nostra fede sia relegata alla sfera intima e slegata dalla vita quotidiana. Facciamo scelte coraggiose. Denunciamo il male nella società perché i fratelli possano correggersi.

Opponiamoci al peccato, però, non al peccatore per il quale dobbiamo pregare e verso il quale siamo sempre invitati alla Misericordia. Come Geremia, figura profetica di Gesù, pur non rinunciando ad annunciare la Verità, non allontaniamoci da coloro che la rifiutano: restando sempre pronti a rendere ragione della nostra Fede e Speranza (cfr. 1Pt 3,14-17)

Ardenti d'Amore per Cristo, quindi, guardando a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, rendiamo coraggiosamente testimonianza della nostra fede. Se non Lo rinnegheremo, alla fine anche noi saremo riconosciuti come Suoi.

Fr. Marco

giovedì 14 agosto 2025

Un segno grandioso apparve nel cielo

 «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle» (Ap 11,19; 12,1-6.10)

«Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.» (1Cor 15,20-26)

«Grandi cose ha fatto per me l’onnipotente» (Lc 1,39-56)

Oggi celebriamo la solennità di Maria Santissima Assunta in Cielo. L’evangelista Luca ci presenta Maria Santissima come la vera e definitiva Arca dell’Alleanza: la pagina di vangelo, infatti, racconta il viaggio di Maria verso la parente Elisabetta e nel farlo ricalca la narrazione della salita dell’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme nella casa di Obed Edom (2Sam 6,1-11). Piena dello Spirito Santo e portando nel grembo il Verbo fatto carne, Maria è la Nuova e definitiva Arca dell’Alleanza che Dio ha stipulato con l’uomo. L’antica Arca dell’Alleanza, infatti, custodiva le tavole della legge e la manna; Maria porta nel suo grembo il Legislatore e il Pane della Vita ed è testimonianza della presenza di Dio in mezzo al popolo e primizia e caparra delle meraviglie che il Signore è capace di compiere.

Contemplando Maria Assunta in Cielo, la Chiesa è invitata a contemplare ciò che il Signore ha preparato per il popolo della Nuova Alleanza. Così la costituzione conciliare Lumen gentium ci invita a guardare a Maria: «La madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore» (LG 68).

Maria Assunta in Cielo, allora, ci invita alla Speranza: il Signore ha per noi progetti di salvezza. Impariamo da questa Santissima Madre a non dubitare mai dell’amore del Padre. Impariamo a riconoscere con umiltà i prodigi che il Signore compie nella nostra vita e a rendere grazie per essi.

«Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» Così, nel Vangelo della messa della vigilia (Lc 11,27-28), Gesù risponde alla donna che proclama beato il grembo che l’ha portato. È questa, infatti, la più autentica gloria di Maria: l’avere ascoltato e accolto nel suo cuore la Parola di Dio, l’essere stata perfetta discepola del suo figlio, il Signore nostro Gesù Cristo.

Impariamo anche noi da questa santissima Madre ad accogliere con fiducia e attenzione la Parola di Dio perché possa portare frutto in noi e conformarci sempre più al nostro Signore Gesù Cristo. Impariamo ad accogliere in noi l’Amore di Dio e ad amare per primi e gratuitamente i fratelli. Guardando al Cuore Immacolato di Maria, ardente di vero Amore, impariamo a perdonarci reciprocamente e a pregare per coloro che ci fanno del male. Impariamo, infine, da questa perfetta discepola a rimanere uniti al Signore anche quando il Maestro ci chiede di seguirlo sulla via della croce.

Solo facendo così potremo anche noi dirci discepoli di Gesù e veri devoti di Maria. Imploriamo l’intercessione della Madre di Dio perché il Signore ci conceda la grazia di seguirlo come suoi autentici discepoli. Il mondo possa riconoscere in noi la presenza del Maestro e accogliere la Signoria di Cristo perché possiamo un giorno ritrovarci tutti alla presenza della Gloria di Dio. 

Fr. Marco

sabato 9 agosto 2025

Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese

«La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.» (Sap 18,6-9)

«Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.» (Eb 11,1-2.8-19)

«Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!» (Lc 12,32-48)

Questa domenica, XIX del Tempo Ordinario, la pagina di Vangelo si apre con l’esortazione a non temere. Un’esortazione che ricorre spesso nella Scrittura: qualcuno ha contato 365 volte, una per ogni giorno dell’anno. Si tratta di un’esortazione fondamentale che riguarda la nostra Fede, la nostra Speranza e quindi la Carità che dà pienezza alla nostra Vita: ​«Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore» (1Gv 4,18).

«Non temere, piccolo gregge» Quando ci lasciamo dominare dalla paura, infatti, ci ritroviamo “paralizzati”, incapaci di fare scelte di Vita; spesso, anzi, nel tentativo di “salvarci la vita” facciamo “scelte di morte”. Per questo il Signore ci esorta a non temere e a lasciarci guidare dalla Fiducia nell’Amore gratuito del Padre il quale ci dona la Vita, il Regno e tutto se stesso.

Credendo realmente all’Amore del Padre, lasciandoci amare, accogliendo la Vita che Lui vuole donarci, saremo capaci di fare scelte liberanti, scelte di Vita; non saremo più schiavi dell’idolatria dei beni, non ci affanneremo più ad accaparrare e a difendere ciò che non è capace di darci Vita: sapremo di avere un Padre che si prende cura di noi e di avere un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma, per questo saremo capaci di condividere ciò che abbiamo.

«Siate pronti, …» Il Vangelo di oggi, oltre ad esortarci a non lasciarci paralizzare dalla paura, ci invita anche alla vigilanza, all’attesa operosa. Ci invita a ricordarci che la vita è l'attesa di un incontro, ha un senso, uno scopo: l’incontro con il nostro Signore. Un incontro che sarà festoso se sarà stato preparato; se non avremo permesso alle cose del mondo di intontirci tanto da farci dimenticare chi aspettiamo; se saremo rimasti operosi nell’amore (le vesti ai fianchi, il prendersi cura dei fratelli): Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.

Se per nostra rovina, invece, avremo permesso alla paura, alla pigrizia, all’egoismo e a tutte le nostre passioni di farci dimenticare chi aspettiamo, al Suo arrivo dovremo rendere conto delle nostre scelte egoistiche, delle nostre scelte di morte: al momento dell'incontro, il Signore ratificherà la nostra scelta di vivere senza di Lui. Ecco l’unica cosa che dobbiamo temere: essere privati di Lui che è la Vita, la Luce, ogni Bene.

L’incontro con il Signore, “il fine”, più che “la fine” della nostra vita terrena, non dovrà spaventarci se saremo stati operosi, se avremo mantenuto vive Fede, Speranza e Carità, se avremo fatto fruttare le innumerevoli grazie che il Signore ci ha donato. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

sabato 2 agosto 2025

Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio

 «Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.» (Qo 1,2;2,21-23)

«Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. […] Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria.» (Col 3,1-5.9-11)

«Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». (Lc 12,13-21)

La pagina evangelica di questa domenica, XVIII del Tempo Ordinario, si apre con una scena tristemente sempre attuale: due fratelli che litigano per l’eredità. La richiesta rivolta da uno di loro  al Maestro, inoltre, fa capire che uno dei fratelli si è accaparrato tutta l’eredità lasciando l’altro senza ciò che gli spetta.

«O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?» Il rifiuto del Signore di intervenire e fare da mediatore è motivato dal non volere dare importanza a tale questione. Contrariamente a quanto insegna “il mondo” con la sua idolatria del denaro, non sono queste le cose importanti della vita: anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede. Sia chiaro: appropriarsi indebitamente dei beni della terra sottraendoli a colui al quale apparterrebbero, operare iniquità nella spartizione dei beni, significa rubare e chi se ne macchia dovrà renderne conto. Oggi, però, Gesù ci esorta a evitare quella cupidigia che è idolatria: affidare la propria speranza di Vita all’idolo della ricchezza.

La Parola di questa domenica, quindi, ci esorta a rivolgere il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Sono queste, infatti, a rimanere per sempre. Sono queste che danno pienezza alla nostra Vita. Non lasciamoci ingannare: i soldi non saziano, non danno pienezza alla nostra vita: più se ne hanno e più se ne vogliono avere!

«Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!» Il “principe di questo mondo”, ci vorrebbe “anestetizzare”: disimpegnati, “sballati”, senza più nulla per cui valga la pena di lottare, senza più valori eterni. I potenti di questo mondo vogliono solo “consumatori”. Non individui che abbiano una loro identità forte, che sappiano scegliere ciò che veramente vale, ma individui ai quali instillare sempre “nuovi bisogni” da soddisfare con il mercato.

«Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita». Il Maestro, invece, ci esorta a ricordarci che il tempo della nostra vita è limitato. «Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo.» (Sal 89,10). È questa consapevolezza la sapienza del cuore che chiediamo nel salmo responsoriale di oggi: abbiamo un tempo limitato per fare “frutti di vita eterna”, per iniziare a vivere quella Vita piena di senso che andrà di pienezza in pienezza per l’eternità. Ecco perché altrove ci rivolge l’invito alla vigilanza: Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno, né l’ora.

Siamo nei primi giorni della quindicina in preparazione alla solennità dell’Assunzione di Maria al Cielo, e siamo invitati a guardare alla nostra santissima Madre. Anche nel vegliare, naturalmente Maria santissima ci è madre e modello. Lei che ha vissuto la sua vita piena della Speranza certa e senza mai perdere di vista “la Meta” dell’eternità, oggi è per noi un faro che ci guida, che ci indica qual è la nostra meta; Maria è veramente, come la invoca la liturgia,  la “Stella del Mare” che ci permette di non perdere di vista il “Porto sicuro” verso cui tutti noi siamo diretti.

Maria seppe vivere la sua vita come un’attesa dell’incontro: apparteneva a quelle anime umili e grandi in Israele che, come Simeone, aspettavano «il conforto d'Israele» e attendevano, come Anna, «la redenzione di Gerusalemme»; Maria viveva in intimo contatto con le Sacre Scritture di Israele, che parlavano della speranza, della «promessa fatta ad Abramo ed alla sua discendenza». Come Lei siamo invitati a guardare alle “cose del Cielo”, a ciò che veramente vale.

Facciamo attenzione, allora, ad allontanare da noi ogni cupidigia e pigrizia, ascoltiamo la Voce del Maestro e, vivendo quel progetto d’amore che il Padre da sempre ha pensato per noi, facciamo della nostra vita un capolavoro.

Fr. Marco

sabato 26 luglio 2025

Signore, insegnaci a pregare

 «… Abramo riprese e disse: “Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere” …» (Gen 18,20-32)

«Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.» (Col 2,12-14)

«Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». (Lc 11,1-13)

La Parola di Dio della XVII del Tempo Ordinario, ci presenta cosa significhi pregare e ci insegna la preghiera di Gesù. Nella pagina evangelica, infatti, sollecitato dagli apostoli che lo avevano visto pregare, il Maestro insegna la preghiera per eccellenza e spiega il senso della preghiera: rivolgersi con fiducia ad un amico, ad un Padre, dal quale non possiamo che ricevere cose buone; anzi, molto di più: lo Spirito Santo, la piena comunione con Lui.

Nella prima lettura ritroviamo lo stesso invito alla fiducia: è questa che anima Abramo nella preghiera di intercessione per Sodoma e Gomorra. Una preghiera che ci è presentata dalla liturgia odierna come modello: una preghiera altruistica, non “ripiegata su se stesso”, fiduciosa ed insistente.

«Vedi come ardisco parlare …» Pur animato dalla fiducia, Abramo non dimentica che si sta rivolgendo al suo Signore: la confidenza non sfocia nella irriverenza e la sua fiduciosa richiesta non diventa pretesa di piegare la volontà di Dio alla sua. È questo, forse, l’errore più frequente nella preghiera: la convinzione che, usando “la formula giusta”, possa piegare Dio a fare quello che voglio io. Dato, però, che Dio è Padre e non Babbo Natale o il Genio della Lampada, ciò non avviene e noi restiamo delusi: Dio non fa quello che voglio io.

«Venga il tuo regno» Gesù ci insegna a chiedere non che il Padre faccia la nostra volontà, ma che sia Lui a regnare nelle nostre vite. La versione di Matteo è ancora più esplicita: «venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà». Nel vangelo di Marco, infine, ascoltiamo Gesù stesso che nel Getsèmani, nell’ora più buia , prega: « … non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». Fiduciosi nell’amore del Padre, siamo invitati a manifestare i nostri bisogni (soprattutto pregando gli uni per gli altri perché la nostra preghiera non sia egoistica), ricordando sempre, però, che ciò che vuole il Padre è meglio per noi. Ciò che chiediamo nella preghiera, quindi, è la grazia di conoscere e compiere la Sua volontà che è il nostro vero Bene.

«… dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano» Riconoscendo la nostra dipendenza creaturale, chiediamo al Padre di provvedere ai nostri bisogni. Gli chiediamo dunque il pane materiale, il cibo di ogni giorno, ma anche il Pane dal Cielo mangiando il quale non avremo più fame (Cfr. Gv 6, 35) perché Egli sazia ogni nostra “fame di Vita”.

«… perdona a noi i nostri peccati …» Gli chiediamo, ancora, di perdonarci per tutte quelle volte in cui abbiamo fatto del male a noi e ai nostri fratelli allontanandoci da Lui con il peccato. Non possiamo, però, chiedere di essere perdonati se non siamo disposti a nostra volta  perdonare coloro che ci hanno fatto del male. Nel Vangelo di Matteo, il Maestro riprende e sottolinea questa verità: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.» (Mt 6, 14-15)

«non abbandonarci alla tentazione» Consapevoli della nostra debolezza, infine, chiediamo al Padre di sorreggerci nel momento della prova, quando il maligno insinuerà alle nostre orecchie che il Padre non ci ama, non ci vuole felici. Preghiamo perché anche in quel momento, come Gesù nel Getsèmani, non dubitiamo dell’amore del Padre, e manteniamo la Fede.

Concludendo, accogliamo l’insegnamento del Maestro e preghiamo perché il Signore ci doni la grazia di riconoscerlo e accoglierlo come Signore della nostra vita e di metterci alla sua presenza riconoscendolo Amico e Padre al quale rivolgerci con fiducia.

Fr. Marco

venerdì 18 luglio 2025

Di una cosa sola c’è bisogno

 «… Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo.» (Gn 18,1-10)

«Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.» (Col 1,24-28)

«In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.» (Lc 10,38-42)

Domenica scorsa Gesù ci esortava a farci prossimi del fratello nel bisogno a imitazione Sua che si fa prossimo ad ogni uomo. Questa domenica, XVI del Tempo Ordinario, il Maestro ci chiede di farci “suoi prossimi”: di accoglierlo nella nostra vita.

Nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi, Abramo è sollecito nell’ospitare nella sua tenda i tre misteriosi personaggi che capitano nel suo accampamento nell’ora più calda del giorno. Mette in gioco il suo tempo, le sue energie e i suoi averi. L’ospitalità è “feconda”: questi tre personaggi annunciano ad Abramo la nascita del “figlio della promessa”.

«… una donna, di nome Marta, lo ospitò». La pagina evangelica ci presenta Gesù che, lungo il cammino verso Gerusalemme, viene ospitato da Marta. La tradizione presenta Marta e Maria come due icone antitetiche, l’azione e la contemplazione, delle quali la parte migliore, da preferire, sarebbe la contemplazione. Ritengo vada sottolineato, tuttavia, che l’evangelista afferma chiaramente che è Marta ad ospitare Gesù. È lei che ha l’iniziativa. Anche lei, però, incorre nell’errore che i contemporanei di Gesù commettevano nel loro rapporto con Dio: comincia a “fare tante cose” per Gesù, mettendo in secondo piano il rapporto con Lui. Maria, invece, si fa totale ricettività: ai piedi del Signore, in atteggiamento da discepola, ascolta la Sua parola.

«Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?». Marta, che inizialmente è presentata come icona positiva di accoglienza e ospitalità, cade nell’errore di permettere che “le cose da fare” offuschino lo stare con Gesù; a lungo andare comincia ad accampare “pretese” e a far valere diritti. Dimentica la sola cosa veramente necessaria: il rapporto con Gesù. Tutto il resto ha valore ed è importante a partire da questo rapporto. Mettere Gesù e l’ascolto della Sua parola al centro della nostra vita, come fa Maria, è fondamentale. Se non vuole rimanere sterile, però, l’ascolto deve diventare obbedienza fattiva.

Le figure esemplari di Marta e Maria, dunque, non devono essere separate o peggio contrapposte, ma unite in un unico modello che a partire dall’accoglienza di Gesù, dall’ascolto della Sua volontà, si metta in movimento per realizzare ciò che Lui vuole.

Anche S. Paolo nella seconda lettura si pone su questa linea. Parlando delle sue fatiche apostoliche che tante sofferenze gli hanno procurato e che non sempre hanno trovato immediata e facile accoglienza, si mostra consapevole dell’importanza di compiere la volontà di Dio anche quando non vede i frutti delle sue fatiche, anche quando le cose non vanno come si aspetterebbe. Mettendo al centro della sua vita Gesù, gli importa solo di compiere la Sua volontà. È in quest’ottica che anche noi, nelle nostre sofferenze, nelle nostre malattie, nelle nostre incapacità che ci fanno sperimentare i nostri limiti, possiamo ancora accogliere Gesù e compiere la Sua volontà.

Accogliere Gesù, naturalmente, significa anche accoglierci reciprocamente, accogliere il fratello nel bisogno. Oggi si parla tanto di accoglienza; è forte, però il pericolo di limitarsi alle parole o, peggio, di praticare un'accoglienza interessata che, sotto l'apparenza di accoglienza diventa sfruttamento. Spessissimo, poi, ci si dimentica del "prossimo più prossimo", che diventa invisibile e che può morire non visto dinanzi al nostro portone. Torniamo ad accoglierci autenticamente, a metterci al servizio gli uni degli altri con il cuore.

Prima di concludere, infine, vorrei sottolineare una particolare ricaduta nel quotidiano di questa Parola. Nella frenesia delle nostre giornate può capitare anche nella nostra vita familiare di trascurare “la cosa più importante”, di perdere “la parte migliore”. Penso in particolare al rapporto genitori – figli: mi capita di vedere o sentire genitori che cadono nell’errore di “fare tante cose per i figli" (tante ore di lavoro, magari anche un secondo lavoro), ma di trascurare il rapporto con loro. Scegliamo la parte migliore (letteralmente “la parte buona”): la relazione con loro.

Accogliamo la Parola di Dio nella nostra Vita, mettiamo Lui e la Sua volontà al centro del nostro essere e del nostro agire. Lasciamo che sia Lui a dirci cosa fare e come farlo: vedremo meraviglie nella nostra vita.

Fr. Marco

sabato 12 luglio 2025

Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?

 «Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. … questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30,10-14)

«Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili» (Col 1,15-20)

«… “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Gli disse: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”» (Lc 10,25-37)

La Parola di Dio della XV domenica del Tempo Ordinario, quest’anno ci propone il primo e più grande comandamento che compendia tutta la Legge (Cfr Mt 22,36): l’Amore di Dio e del prossimo. Il dottore della legge che interroga Gesù, infatti, sollecitato dal Maestro, enuncia un “comandamento” tratto dallo Shemà, professione di fede contenuta nel Deuteronomio (6,4 ss), e dal “Codice di santità” contenuto nel Levitico (capp. 17-26; in particolare da Lv 19,18).

«… perché tu la metta in pratica.». «Fa’ questo e vivrai» Come ci ricorda la prima lettura tratta dal Deuteronomio, già nella sapienza antica si afferma che dall’osservanza prtica dei comandamenti deriva la Vita, quella vita piena che il Signore ha pensato per il suo popolo. Il Signore, quindi, dà i comandamenti al suo popolo perché questi sappia come comportarsi per rimanere in comunione con Dio e godere di una vita bella e piena di senso.

«Che cosa devo fare …?» La domanda del dottore della Legge è motivata dalla moltitudine di comandamenti elaborati da Israele e dalla confusione conseguente. Col passare del tempo, infatti, il Popolo d’Israele ha assolutizzato sempre più l’osservanza letterale della Legge a scapito della relazione vitale con Dio che essa doveva custodire. Comincia, quindi, ad elaborare comandi su comandi che perdono il loro originario significato. La “fede” d’Israele si allontana sempre più dalla comunione con Dio e diventa una “religione speculativa” di cui è impossibile per la gente comune osservare tutti i comandi. È in questo contesto che nasce la domanda del dottore della legge. Gesù risponde rimandando il suo interlocutore a ciò che già conosce e invitandolo a metterlo in pratica: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai»

Il dottore della legge tenta di scappare dalla pratica con la “speculazione”: «E chi è il mio prossimo?». Lo straniero, il peccatore, l’eretico … sono il mio prossimo? Non devo forse starne lontano? Al tentativo di fuga nella speculazione, il Maestro risponde raccontando una parabola.

«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico …» Da notare che l’uomo incappato nei briganti scende “da Gerusalemme a Gerico”. Questo itinerario, in chiave spirituale, potrebbe indicare un allontanamento dalla santità verso il peccato. Potremmo allora identificare quest’uomo con “il peccatore” che, proprio per la sua condizione di peccato, è “mezzo morto”. Il “cuore freddo” del sacerdote e del levita, un cuore ormai lontano da cuore di Dio, resta ancorato alla purezza legale e si guarda bene dal contaminarsi con il sangue dell’uomo ferito. Solo un Samaritano, un uomo considerato dai pii giudei come eretico e scismatico, ha compassione. Una compassione che lo porta ad agire e a spendere del suo per aiutare il bisognoso. Solo la compassione, il “patire con”, la misericordia che muove all’azione, infatti, è autentica misericordia.

«Chi … ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» Adesso è Gesù ad interrogare il dottore della legge, ma la prospettiva è ribaltata: il prossimo da individuare non è colui che è caduto nelle mani dei briganti, ma colui che è stato capace di farsi a lui prossimo.
La pagina del Vangelo si chiude ancora con l’invito alla “pratica”, al fare ciò che sappiamo essere bene perché possiamo “ereditare la vita eterna”, quella Vita Piena che solo la relazione di amicizia con il Padre può donarci.

Fr. Marco

sabato 5 luglio 2025

La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Andate: ecco, vi mando

 «Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria.» (Is 66,10-14)

«Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura.» (Gal 6,14-18)

​«La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.» (Lc 10,1-12.17-20)

La pagina evangelica di questa domenica, XIV del Tempo Ordinario, ci ricorda la chiamata missionaria di tutta la Chiesa: tutti, ciascuno con la sua particolare vocazione, in quanto battezzati, conformati a Cristo Re, Sacerdote e Profeta, siamo inviati al mondo per annunziare il Regno dei Cieli.

La prima cosa che vorrei sottolineare è il preciso comando di Gesù: «Pregate il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». Il Signore chiama continuamente operai per il Regno, ma ci chiede di pregare perché essi trovino il coraggio e la libertà per rispondere alla Sua chiamata. Nel ricordarci la comune vocazione missionaria, il brano evangelico di oggi ci presenta anche le caratteristiche che il Maestro chiede ai missionari.

Li inviò a due a due davanti a sé. In Gv 13,35 Gesù afferma: «Da questo vi riconosceranno, se avrete amore gli uni per gli altri». Non bastano, quindi, abiti religiosi, crocifissi o rosari ostentati: il “distintivo” del cristiano, ciò che lo accredita come discepolo di Cristo è la disponibilità a dare la vita per amore del fratello. Per questo motivo i discepoli sono inviati a due a due: per dare la vita l’uno per l’altro, per testimoniare al mondo che non si vive veramente se si è centrati solo su se stessi.

«Vi mando come agnelli in mezzo a lupi». La logica del mondo, in cui sembra regnare “la legge del più forte”, con  la sua aggressività e “rapacità” ha giustificato l’espressione latina: homo homini lupus (l’uomo è un lupo per l’uomo). I discepoli, però, chiamati ad annunciare il Vangelo, non possono conformarsi a questa logica. Nell’ottica della vita donata per amore di Cristo e del fratello, il cristiano è chiamato alla mitezza, a non opporsi al malvagio (Mt 5,39), a rispondere al male con il bene (Rm 12,21).

«Non portate borsa, né sacca, né sandali». Ciò su cui il Maestro ci invita a fondare la nostra certezza, anche la riuscita della nostra attività missionaria, non sono i mezzi materiali di cui disponiamo, ma la Fede in Lui, l’obbedienza alla Parola. È per questo che S. Paolo può dire: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo». Non contano i mezzi di cui disponiamo, non conta la nostra appartenenza un’elite. Ciò che conta è che Cristo ci ha resi “nuove creature”, uomini e donne “nuove”, nel Battesimo: siamo chiamati per questo a vivere la Vita Nuova del Vangelo.

«Non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada». Probabilmente, uno dei livelli di significato di questa prescrizione ha a che fare con l’urgenza del messaggio: non può attendere i lunghi e cerimoniosi saluti orientali. Nel contesto in cui si trova, però, credo di potere affermare che riguardi anche la libertà richiesta ai discepoli: dopo avere chiesto ai suoi di essere liberi nei confronti dei mezzi, di porre la propria fiducia solo sulla potenza della croce, ora Gesù chiede la libertà dai condizionamenti umani, dal pericolo di porre la propria fiducia sulle “alleanze umane” in una logica clientelare che, piuttosto che favorirne la diffusione, soffoca il messaggio del Vangelo. Trovo che sia una prescrizione particolarmente attuale. Oggi certa politica scadente ci ha abituati a tale logica: «Io ti finanzio questo progetto, ma tu mi devi garantire una certa visibilità» (se non si arriva al vero e proprio voto di scambio). Una logica che siamo tentati di assumere anche nel privato: grazie all’“amico” che parla con l’“amico” abbiamo accesso a certi servizi o giungiamo in certi posti di autorità. Tutto questo, però, a scapito della libertà: non potrò più denunciare l’errore del fratello additandogli la verità del Vangelo, se gli sono debitore della posizione in cui mi trovo! Anzi, facilmente sarò costretto a scendere ancora a compromessi! Tutto ciò non è accettabile come discepoli di Cristo. Non ha niente a che fare con la logica del Vangelo. Come discepoli di Cristo non possiamo cadere in certe trame, ma siamo chiamati alla gratuità dell’amore ed alla libertà profetica per potere liberamente annunciare la verità del Vangelo.

«In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. … Non passate da una casa all’altra. … mangiate quello che vi sarà offerto» Il Maestro invia i suoi discepoli come portatori della Pace e della riconciliazione derivanti dall’annuncio del Regno, non di guerre e divisioni: vanno messe al bando le logiche settarie e la ricerca della propria gloria e della propria comodità. È questo il motivo per cui Gesù comanda di non cercare dove ci trattano meglio e di non avere pretese riguardo il nostro trattamento.

«Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». L’ultima raccomandazione del Maestro riguarda la tentazione della vanagloria e il pericolo di agire per affermare noi stessi. Il discepolo può rallegrarsi solo del compiacimento del Maestro, non dei miracoli che il Signore compie suo tramite. Accaparrarsi la gloria per le opere che il Signore compie, sarebbe un’appropriazione indebita che ci allontanerebbe dalla Via della Vita.

Accogliamo l’invito del Maestro a pregare per le vocazioni di speciale consacrazione e a metterci in cammino per annunciare il Vangelo in maniera libera a coraggiosa ponendo in Lui ogni nostra speranza e  fiducia per potere sperimentare le consolazioni del Suo Amore (I lettura)

Fr. Marco

venerdì 27 giugno 2025

Su questa pietra edificherò la mia Chiesa

«In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. … Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva». (At 12,1-11)

«Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.» (2Tm 4,6-8.17-18)

«Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. “… E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.» (Mt 16,13-19)

La Parola di Dio di questa domenica, in cui celebriamo la solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, ci mette dinanzi il fondamento della Chiesa: la fede in Gesù Cristo figlio di Dio e l’amore per Lui (il vangelo della vigilia). Solo perché fondati sulla roccia che è Cristo, gli apostoli possono guidare, “pascere” e confermare nella fede i fratelli. È sulla roccia dell’amore per Cristo e della fiducia in Lui, quindi, che si fonda la Chiesa contro cui le potenze degli inferi non prevarranno.

La prima lettura di oggi si apre con la persecuzione dei capi della Chiesa di Gerusalemme: l’uccisione di Giacomo, che sembra suscitare il consenso della “opinione pubblica” (era gradito ai Giudei), e l’arresto di Pietro. Ieri come oggi, i potenti del mondo cercano il consenso più della verità; sono interessati a “pascere se stessi”, mantenendo posizioni di potere, più che a guidare i fratelli a ciò che è vero e buono.

Il Signore, però, ci ha garantito la Sua vittoria finale a patto che, combattendo la buona battaglia, manteniamo la fede, cioè rimaniamo in comunione d’amore con Lui e Lo riconosciamo, coi fatti e nella verità, Signore della nostra vita.

Non è raro, tuttavia, che il nostro amore e la nostra fede vacillino, che, spinti dalla “logica del mondo” e dalla ricerca di consenso, cominciamo a seguire un “Dio secondo me”; anche contro l’insegnamento dei pastori che il Signore ci ha donato assicurando loro, per ciò che riguarda questioni di fede e di morale, l’assistenza del Suo Spirito. Come Pietro anche noi vogliamo indicare la via al Maestro (Mt 16,22). E come Pietro anche noi ci sentiamo rispondere «Va’ dietro a me … tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mt 16,23).

Penso che, come Pietro, tutti nella Chiesa, pastori e fedeli, abbiamo fatto almeno una volta nella vita (e magari fosse solo una volta!), l’esperienza della debolezza del nostro amore e della nostra fede al momento della prova: quante volte anche noi come Pietro abbiamo detto, magari coi fatti e non a parole, «Non lo conosco!». Anche a noi oggi il Signore chiede di amarlo così come siamo, dandoGli tutta la nostra debolezza e confidando non più sulle nostre forze, ma su di Lui e sulla Sua fedeltà: «Tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene» (Gv. 21,17 il Vangelo della vigilia).

Seguendo allora il nostro Signore tramite i pastori che ci ha donato, smettiamo di fondarci su noi stessi, sulle nostre forze, sui nostri pensieri, sul consenso di chi ci sta attorno; fondiamo la nostra certezza su Cristo e sul Suo amore: vedremo meraviglie nella nostra vita.

Fra Marco

venerdì 20 giugno 2025

Questo è il mio corpo che è per voi

«In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo» (Gen 14,18-20)

​«Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”». (1Cor 11,23-26)

​«In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. … Gesù disse loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Ma essi risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci …” … Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.» (Lc 9,11-17)

Questa domenica, solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, la liturgia della Parola ci presenta, Gesù Buon Pastore e Sacerdote, Vittima ed Altare.

Nella prima lettura, infatti, Melchìsedek, “re di Salem” (re di pace) che offre il pane ed il vino, è un typos, una figura profetica, di Gesù Vero e Sommo sacerdote che offre l’unico e definitivo sacrificio della Nuova ed eterna Alleanza: il Suo Corpo e il Suo Sangue in cui il pane e il vino vengono transustanziati (II lettura).

Oltre al “tema sacerdotale”, come dicevo, la liturgia di oggi ci presenta Gesù anche come il Buon Pastore che si prende cura dei suoi, li guida e li nutre. È così infatti che lo invochiamo nella sequenza: «Buon pastore, vero pane, / o Gesù, pietà di noi: / nutrici e difendici, / portaci ai beni eterni / nella terra dei viventi.». 

Il Vangelo insiste su questo tema: si apre con la figura di Gesù che insegna alle folle indicando loro il Regno dei Cieli: l’unica cosa necessaria per sperimentare la Pienezza della Vita. La pericope evangelica, inoltre, ci mostra Gesù intento a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il Medico viene per gli ammalati, Gesù è venuto a cercare i peccatori per condurli alla salvezza.

La Pagina di Vangelo, inoltre, nel contesto del “ministero pastorale” di Gesù, ci presenta la moltiplicazione dei pani come un altro modo in cui il Buon Pastore si prende cura di coloro che hanno messo da parte tutto il resto per seguirlo. L’evangelista Luca, ben compreso dalla liturgia odierna, intende presentarci in questo racconto un’anticipazione dell’istituzione dell’Eucarestia nell’Ultima Cena.

Due cose mi colpiscono immediatamente contemplando la scena evangelica della moltiplicazione dei pani e dei pesci: una riguarda le condizioni per partecipare al banchetto, l’altra riguarda i discepoli.

La prima cosa che noto è che l’unica condizione prevista per partecipare a questo banchetto è l’avere seguito Gesù, l’averlo ascoltato ed avere messo Lui al di sopra e prima di tutti gli altri bisogni. È questa, infatti, l’unica cosa veramente necessaria per potersi accostare degnamente al Banchetto Eucaristico: avere messo Gesù al centro della nostra vita, l’impegnarsi nell’ascolto e nella conversione (e non è poco). In quest’ottica va compreso anche il Sacramento della Riconciliazione: non va celebrato per “arrifriscarisi l’anima” per potere fare la comunione (cinque minuti prima della Messa, magari senza un adeguato esame di coscienza e quindi senza pentimento e con la convinzione di non avere peccati); ma va celebrato per chiedere e accogliere la Grazia della propria conversione. 

La seconda cosa che mi colpisce, è la volontà da parte dei discepoli di deresponsabilizzarsi nei confronti della folla: «congedali … vadano …». A questi discepoli Gesù risponde: «Voi stessi date loro da mangiare». Penso sia da  sottolineare come questo comando apra ad una “dimensione eucaristica” della vita del cristiano e soprattutto del sacerdozio ministeriale: il farsi “pane spezzato”, il dare da “mangiare” noi stessi. Oggi però voglio sottolineare particolarmente come questo comando coinvolga i discepoli più vicini a Gesù e li inviti a prendersi cura dei loro fratelli più bisognosi: troppo spesso, anche tra i cristiani, si è sempre pronti a “puntare il dito”, a richiamare gli altri alle loro responsabilità, ad accusare “chi dovrebbe fare” cercando, in tal modo, di deresponsabilizzarsi. Certo, quello della denuncia e del richiamo al dovere sociale delle Istituzioni è un ruolo importante dei discepoli, ma non può essere l’unico. Il Beato Pino Puglisi, che ha toccato da vicino il bisogno dei suoi fratelli e sorelle, è famoso per la frase «Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto». Unendoci a Cristo, allora, impariamo anche noi a farci “pane spezzato” per i fratelli. Prendiamoci cura gli uni degli altri e camminiamo insieme verso quella Vita Piena ed Eterna che Solo Gesù ci può donare.

Fr. Marco

sabato 14 giugno 2025

Lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità

«Così parla la Sapienza di Dio: “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra.» (Pr 8,22-31)

«Fratelli, … ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. » (Rm 5,1-5)

«Quando verrà lui, lo Spirito della verità, … Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». (Gv 16,12-15)

Nella solennità di Pentecoste, domenica scorsa, abbiamo celebrato il memoriale del dono dello Spirito Santo che ci inserisce nella circolarità d’Amore all’interno della Santissima Trinità. Questa domenica la Chiesa ci fa contemplare proprio questo Mistero centrale della nostra fede: l’unico Dio, Creatore del cielo e della terra, è Uno e Trino. Un solo Dio in tre Persone: il Padre (Amante) che dall’eternità genera il Figlio (Amato) donandosi totalmente a Lui e tutto ricevendo da Lui nello Spirito Santo (Amore).

«Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato …» (Gv 17,6) La piena rivelazione di Dio agli uomini è elemento fondamentale dell’annuncio salvifico del nostro Signore Gesù Cristo. Il Figlio eterno del Padre, Verbo fatto uomo,  ci ha rivelato l’eterna processione d’amore in cui le tre Persone divine hanno tutto in comune tranne la loro identità personale (l’essere rispettivamente Padre, Figlio e Spirito). Il nostro Dio è, quindi, già al suo interno, relazione d’Amore. Ciò ha una grande importanza per noi.

Il fatto che il Dio Vivo e Vero sia Uno e Trino, Eterna relazione d’Amore, infatti, significa che l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, è per costituzione e già alla sua origine relazione: è fatto per la relazione ed è felice/realizzato solo nella relazione. L’uomo è immagine del Dio trinitario e come tale si realizza solo quando permette all’amore-relazione che è in lui di manifestarsi. 

Citando Padre Alberto Neglia (O. Carm.), mio docente di Spiritualità: «Come il Padre è nell’amore sorgività pura, così Egli dona alla creatura umana di essere nel tempo sorgente di amore. Questo significa che l’uomo è costitutivamente capace di amare.  Amato dall’eternità egli è fatto per amare. … amando, l’uomo riproduce in qualche modo la creatività del Padre. L’amore fa sbocciare la vita. L’uomo è ancora immagine del Dio Trinitario perché è stato creato per mezzo del Figlio, in vista di Lui ed in Lui (Col  1,15-17). Come in forza dell’accoglienza pura … il Figlio è immagine perfetta del Padre, così l’uomo è immagine di “Dio Figlio”, in quanto si fa  recettività, cavità capace di accogliere, fino alla trasparenza, l’amore eternamente amante. Nel Figlio amato l’uomo è costitutivamente oggetto di amore, apertura radicale, “uditore della Parola”. Chi non riceve l’amore, non esisterà mai veramente: la povertà che accoglie è la condizione dell’amore … Chi non sa accogliere, non sa dire grazie, non sarà mai veramente e pienamente umano. … Nel più profondo del suo essere creaturale … l’uomo ha bisogno dell’altro. … Lo Spirito Santo imprime nella creatura umana un certo riflesso di quello che Egli è nel mistero di Dio. Come fra l’Amante e l’Amato Egli è l’eterno legame di unità ed insieme Colui che fonda l’apertura infinita del loro amore, lo Spirito è la fantasia di Dio. L’uomo creato ad immagine di “Dio Spirito” è unità vivente di questo duplice movimento dell’amore: amando, egli si fa amare; lasciandosi amare, egli ama. … Lo Spirito, presente nell’uomo, lo spinge continuamente a spezzare il cerchio dell’amante e dell’amato, a fuggire la cattura dell’esclusività, per andare verso il bisogno di amore dell’altro, di tutti gli altri.»

Il cristiano conformato a Cristo e santificato dallo Spirito, porta quindi in sé il mistero della Trinità d’Amore e lo manifesta al mondo. Contemplando il suo Amore Trinitario e ciò che esso è capace di compiere in chi lo accoglie, il Signore ci conceda di realizzare pienamente la nostra vocazione all’amore per potere giungere alla Vita piena ed eterna per la quale siamo stati pensati fin dall’eternità.

Fr. Marco.

 

sabato 7 giugno 2025

Se uno mi ama, ... il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui

 «Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. » (At 2, 1-11)

« … voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,8-17)

«Se mi amate osserverete i miei comandamenti … il Paràclito, lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (Gv 14, 15-16. 23-26)

Con la solennità di Pentecoste giunge al suo culmine il Tempo Pasquale: quei cinquanta giorni che per la liturgia sono come un grande giorno in cui celebriamo il memoriale della nostra redenzione. Il nuovo patto, la Nuova Alleanza, profetizzata da Ger 31, 31-34, giunge a pienezza: la Legge Nuova di Dio è effusa nei nostri cuori rendendoci capaci di osservarla.

Nella prima lettura della Messa del giorno, tratta dagli Atti degli Apostoli, l’evangelista Luca ci racconta l’effusione dello Spirito sulla Chiesa riunita nel cenacolo come un’“Anti-Babele” (Cf. Gen 11). Si realizza il miracolo della comunione d’amore che non è confusione.

«Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole» (Gn 11,1) Il racconto della torre di Babele nel libro della Genesi descrive quasi una globalizzazione ante litteram in cui tutti gli uomini sono assoggettati ad un “pensiero unico”. Il “peccato di Babele” è volersi “fare un nome” senza Dio, anzi piuttosto contro Dio (una città e una torre che tocchi il Cielo). Una sorta di “regno degli uomini” che si oppone al Regno di Dio. Eliminato Dio dalle loro esistenze, sradicati della fonte della Vita, gli uomini cadono in una confusione che non è comunione; dimenticano chi sono e quindi non sono più in grado di comprendersi.

Con l’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste, la Legge Nuova effusa nei cuori, Dio torna ad occupare il posto centrale nell’esistenza dell’Umanità Nuova: gli uomini tornano a comprendersi e per l’umanità è possibile tornare a vivere la comunione immagine della Comunione Trinitaria, quella che il Venerabile Mons. Tonino Bello chiama “convivialità delle differenze”.

«Ciascuno li udiva parlare nella propria lingua». Le differenze non sono annullate. Ciascuno mantiene propria identità, ma questo non è ostacolo alla comunione. Ciò che permette la comunione è l’Amore, l’avere accolto l’Amore di Dio nella propria vita e, alla luce di questo, amare il proprio prossimo così com’è senza annullare la propria identità. L’amore, infatti non annulla le differenze. Al contrario le esalta perché ognuno è amato per ciò che è, per le sue peculiarità proprie. Ecco perché il primo e più alto dono pasquale è la Pace: la piena riconciliazione con Dio che porta alla riconciliazione tra gli uomini.

Lo Spirito è, quindi, il compimento della Nuova Alleanza. È Colui che rende possibile vivere secondo la Legge di Dio. Nel Vangelo Gesù afferma: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti». Solo se abbiamo in noi l’Amore, infatti, possiamo osservare i comandamenti. È lo Spirito, l’Amore di Dio effuso nei nostri cuori, che ci rende capaci di osservare i comandamenti.

Nella seconda lettura, poi, San Paolo ci dice che lo Spirito effuso nei nostri cuori ci libera da ogni paura e ci rende “figli adottivi”; non schiavi, ma figli capaci di rivolgerci a Dio chiamandolo “Papà”.

Lo Spirito, infatti, lo sappiamo bene, è la Terza Persona della Santissima Trinità; è “Signore e da la vita”, come diciamo nel Credo. Non è “un’energia”, ma una Persona divina, uno col Padre e il Figlio. Ricevendo lo Spirito Santo entriamo nel mistero della SS. Trinità. Mi piace la “descrizione” che della SS. Trinità fa S. Agostino: l’Amante (il Padre), l’Amato (il Figlio) e l’Amore (lo Spirito). Lo Spirito è, quindi, l’Amore tra Padre e Figlio, la reciproca e continua donazione di sé che il Padre fa al Figlio e il Figlio al Padre. Oggi, nella Pentecoste, noi celebriamo il nostro inserimento in questa circolarità d’amore.

Comprendiamo, allora, come diventa possibile ciò che la Parola di Dio ci ha detto oggi: l’Amore che è Dio è effuso nei nostri cuori! Non esistono più barriere insormontabili: nulla può separare coloro che si amano; la comprensione è possibile perché si vuole comprendere, perché si ascolta davvero; spinti dall’Amore, non sentiremo come gravosa l’osservanza dei comandamenti, ma come figli amati e amanti non desidereremo altro che fare felice il Padre realizzando pienamente la nostra vita.

Fratelli e sorelle, tutto questo è già presente, lo Spirito che il Padre ha effuso nei nostri cuori per l’opera del Figlio, attende solo che noi diamo la nostra disponibilità perché la nostra vita possa giungere alla pienezza.

Fr. Marco

sabato 31 maggio 2025

Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi.

«Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”» (At 1,1-11)

«… abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.» (Eb 9,24-28;10,19-23)

«… alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.» (Lc 24,46-53)

​​Ogni anno nella festa dell’ Ascensione contempliamo il Signore Gesù Cristo che porta nel seno del Padre la nostra umanità glorificata. Gesù, il Verbo eterno del Padre, che incarnato nel grembo della Vergine Maria ha assunto la nostra natura umana ed è nato a Betlemme; lui che ha vissuto in mezzo a noi condividendo le nostre miserie (tranne il peccato); che ha offerto la sua vita sulla croce per amore, adesso, dopo la resurrezione e dopo avere istruito i suoi, ascende al Cielo.

«Abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio» L’autore della lettera agli Ebrei nella seconda lettura di oggi ci invita ad avere fiducia: abbiamo “nella casa di Dio” un Sommo Sacerdote che ha sperimentato e quindi conosce e compatisce le nostre miserie e i nostri condizionamenti. Siamo invitati, quindi, ad avere Fede, a vivere con “il Cuore puro”, a testimoniare la nostra Speranza.

La Fede, infatti, si manifesta in una vita “con il Cuore sincero e purificato”, cioè non “contaminato”, “unificato”, non diviso tra vari “amori”, ma tutto rivolto a Dio e, quindi, ai fratelli; una vita all’insegna della Carità, animata dalla Speranza certa che il nostro destino è nei cieli dove raggiungeremo il nostro Signore Gesù Cristo. La Speranza cristiana fondata sulla Fede non è la speranza aleatoria di cui solitamente si  afferma: “Chi di speranza vive, disperato muore”; non è una speranza incerta e senza fondamento, la speranza degli illusi. La Speranza Cristiana è la Speranza Certa (come la chiama S. Francesco) di chi sa che è degno di fede colui che ha promesso: Cristo che è la Via la Verità e la Vita.

«Ordinò loro … di attendere l’adempimento della promessa del Padre». La Parola di Dio di oggi sottolinea l’atteggiamento dell’attesa che sempre caratterizza la Speranza: attesa dell’adempimento della Promessa, del dono dello Spirito; l’attesa del ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi quando il Signore «verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?». Gli angeli ricordano ai discepoli che la loro deve essere un’attesa operosa. La virtù della Speranza, infatti, non è ciò che Marx chiamava “l’oppio dei popoli”, ma ci rimanda ad un impegno concreto perché questo mondo si trasformi nel Regno dei Cieli.

«Mentre li benediceva, si staccò da loro …» Il brano del Vangelo, infine, ci fa conoscere che tutta la nostra vita, se lo vogliamo, è sotto la benedizione del Nostro Signore: Gesù entra in Cielo, nell’eternità di Dio, “mentre” benedice la Sua Chiesa, non “dopo averli benedetti”: la Sua benedizione, quindi, non è conclusa. La benedizione di Cristo continua a riversarsi sui suoi discepoli disposti a “prostrarsi”, a riconoscerlo Signore della loro vita.

Il Vangelo di Luca si conclude lì dove era iniziato (Cfr Lc 1,5ss): nel Tempio e in un contesto di lode, con la sottolineatura della grande gioia che pervade gli apostoli. Una gioia dovuta sicuramente all’esperienza misteriosa della costante presenza del Signore: «l’Ascensione – infatti – non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi.» (Papa Francesco, Udienza Generale, Aprile 2013)

Tornando alla nostra quotidianità, allora, viviamo la nostra vita tenendo sempre presente che  la nostra meta è il Cielo; confidiamo nella Benedizione eterna del nostro Signore, perché il mondo attorno a noi, anche grazie alla nostra testimonianza, si trasformi nel Regno di Dio.

Fr. Marco

sabato 24 maggio 2025

Vi lascio la pace, vi do la mia pace

«Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. … È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie» (At 15,1-2.22-29)

«La città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. … In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio» (Ap 21,10-14.22-23)

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. … il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.» (Gv 14,23-29)

Avvicinandosi la solennità della Pentecoste, in questa VI domenica di Pasqua, la Parola di Dio ci invita a cercare ciò che è essenziale nella nostra vita e a non lasciarci prendere da paura e turbamento. Lo Spirito Santo, l’Amore che è Dio, sarà riversato nei nostri cuori e ci insegnerà ogni cosa: ciò che è essenziale, ciò che è importante. Il “di più”, ciò che è motivo di paura e turbamento, non viene dall’Amore. Dove c’è Amore, infatti, non c’è paura e turbamento.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola.» Oggi il Signore ci dona un criterio per scoprire se veramente lo amiamo: osservare la Parola, fidarci di Lui e quindi fare ciò che ci chiede. È questo ciò che conta. Anche a noi può capitare l’esperienza raccontata nella prima lettura: “falsi pastori” che vengono a sconvolgere i nostri animi imponendoci pesi e comportamenti gravosi o chiedendoci l’adesione a questo o quel movimento quasi che la nostra salvezza dipenda da essi.

«È parso bene, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie». Le parole del primo concilio di Gerusalemme, riportate nella prima lettura, ci invitano a tornare a ciò che è necessario, all’essenziale, e a non lasciarci opprimere da obblighi e gravami che se da una parte rendono la nostra vita più pesante, dall’altra ci fanno sentire “a posto” e ci distolgono da ciò che realmente conta; un atteggiamento spesso rimproverato da Gesù: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgredite la giustizia e l'amore di Dio.» (Lc 11,42)

Nella pagina evangelica di questa domenica, preparando i discepoli alla sua ascensione al Cielo, il Maestro ci presenta ciò che veramente è necessario nella vita dei credenti: amarLo, ascoltare la Sua Parola e vivere la comunione con Lui. Tutto il resto può anche avere il suo posto, purché non sia fonte di turbamento e paura, chiaro sintomo che non viene da Dio.

«… noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.» Questo è ciò che avverrà quando, accostandoci alla Comunione, riceveremo in noi il Signore vivo e vero, inseparabile dal Padre e dallo Spirito Santo. È anche ciò che avviene ogniqualvolta accogliamo nel nostro cuore lo Spirito Santo e ci lasciamo istruire da Lui su come comportarci.

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.» La presenza in noi del Signore è fonte di una Pace che il mondo non conosce, della Vera Pace che è il dono pasquale per eccellenza. Una pace che non è solo assenza di conflitto, ma vera riconciliazione. Questa Pace è il perdono del Padre, la comunione con Lui, si diffonde anche nelle nostre relazioni. La Pace di Cristo, però non è neanche assenza di tribolazioni. È, invece, forza nelle tribolazioni, consapevolezza che Cristo è più forte del mondo con le sue tribolazioni e che queste, quindi, non potranno prevalere.

Osserviamo la Parola di Cristo, cerchiamo l’amore di Lui al di sopra di tutto, accogliamo la Sua adorabile presenza nella nostra vita. Sperimenteremo la vera Pace e saremo suoi testimoni nel mondo.

Fr. Marco

sabato 17 maggio 2025

Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri

 «Non appena furono arrivati, riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede. » (At 14, 21b-27)

​«E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” » (Ap 21,1-5)

«Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. » (Gv 13, 31-33.34-35)

La liturgia della Parola della quinta domenica di pasqua anno C, è caratterizzata dalla tematica della “novità”: il Signore fa cose nuove, ci dà un comandamento nuovo, ci rende nuovi. L’aggettivo “nuovo” si oppone a “vecchio”, “obsoleto”, aggettivi che identificano qualcosa che ormai non è più efficace. Nuovo è, allora, qualcosa di efficace, migliore. L’aggettivo “nuovo”, inoltre, ci apre alla speranza, accende le nostre attese: da qui la gioia che accompagna l’inizio di un nuovo anno.

«Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Nella seconda lettura abbiamo sentito che Signore fa cose nuove, inedite. Non a caso il “comandamento nuovo” ci viene consegnato nell’ultima Cena, dopo che Gesù avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (cf. Gv 13, 1); dopo che Giuda è uscito nella notte per compiere gli ultimi atti che porteranno Gesù alla donazione totale di sé sulla croce.

«Vi do un comandamento nuovo» I discepoli conoscevano sicuramente il comandamento dell’amore espresso nell’Antico Testamento: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lev. 19,18). Gesù stesso nel Vangelo lo presenta, insieme all’amore per Dio, come compendio di tutta la legge (Cfr. Mt 22,37-39). Amare il prossimo come se stessi è già arduo: sono chiamato a fare al prossimo ciò che vorrei fosse fatto a me: come vorrei essere soccorso nel bisogno, così devo soccorrere il fratello; come vorrei essere accolto, così devo accogliere il fratello; come voglio essere perdonato quando sbaglio, così devo perdonare il fratello. Il comandamento che ci dà oggi Gesù, però, è “nuovo” perché supera l’antico: parametro di confronto non è più l’amore per se stessi, ma l’amore che Gesù ci ha mostrato in tutta la sua vita di donazione che si conclude con l’estrema donazione sulla Croce. L’amore per se stessi non è più il limite all’amore per il fratello: Gesù ci ha donato un amore capace di espropriarsi, di dimenticarsi di se, di donarsi totalmente e gratuitamente.

«Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». La novità del comandamento, tuttavia, non è solo nella formulazione, ma anche nella capacità nuova che Gesù ci dà. Il “come” che leggiamo nel Vangelo, infatti, ha sicuramente il significato di avverbio di modo: «Allo stesso modo in cui io ho amato voi …»; tuttavia il “come” ha anche il valore di congiunzione causale: «Siccome (poiché) io ho amato voi, anche voi amatevi gli uni gli altri». Perché possiamo Amare come Gesù ci Ama, è necessario accogliere il Suo amore, credere nel Suo Amore, lasciare che questo Amore ci raggiunga nei sacramenti e non opporre resistenze alle mozioni dello Spirito.

Per l’uomo “carnale”, l’uomo vecchio non vivificato dallo Spirito e non innestato nella morte e resurrezione di Cristo, è già arduo amare il prossimo come se stesso; tanto più non sarà capace di amare come Gesù, espropriandosi, facendosi pane spezzato. L’uomo nuovo, invece, l’uomo “spirituale” morto e risorto con Cristo che ha ricevuto lo Spirito di Dio, costui trova in sé una forza sconosciuta che gli permette di amare come Gesù ci ama. Per questo al capitolo 15 del Vangelo di Giovanni il Maestro ci esorta: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9). Innestati in Cristo con il Battesimo, abbiamo in noi lo Spirito Santo, l’Amore che è Dio, che ci rende capaci di Amare. Spesso, però, questa capacità è sopita, come un seme gettato che non può portare frutto senza le condizioni essenziali al suo sviluppo.

«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli» Dalla nostra disponibilità ad accogliere la Vita nuova in Cristo e a vivere il comandamento nuovo dell’Amore, dipende non solo la nostra credibilità, ma anche il nostro discepolato: solo amandoci gli uni gli altri come Gesù ci ama possiamo dirci ed essere riconosciuti suoi discepoli. Solo accogliendo realmente Gesù come nostro Maestro e Signore potremo sperimentare la Vita piena ed eterna che Egli ci ha regalato.

Come fare a essere uomini e donne “nuovi” capaci di vivere il comandamento nuovo? La prima cosa è lasciarci Amare e credere nell’Amore di Gesù fidandoci di Lui. Ritengo possa esserci d’aiuto l’esempio di San Francesco d’Assisi. Il Serafico Padre, infatti, si lascia amare da Gesù, crede veramente nel Suo Amore e lo accoglie come maestro; si pone dinanzi il Vangelo in atteggiamento di estrema obbedienza: compie immediatamente ciò che comprende e, facendo, comprende sempre meglio. La stessa cosa vale per il comandamento dell’Amore, per la vita nuova presente in noi: nutrendoci dei sacramenti, segni efficaci dell’Amore di Dio per noi, amiamo come meglio possiamo, amiamo nella misura in cui siamo capaci; ciò ci trasformerà, “dilaterà” la nostra capacità di amare, ci farà sempre più nuovi. Dicendolo con S. Agostino: «È questo amore che ci rinnova, rendendoci uomini nuovi, eredi del Testamento nuovo, cantori del cantico nuovo». Solo così saremo riconoscibili come discepoli del Signore e il nostro annuncio sarà credibile.

Permettetemi, prima di concludere, di invitarvi a pregare per Papa Leone XIV che oggi inaugura solennemente il suo pontificato. Il Signore lo custodisca sempre nel Suo Amore perché possa essere testimone credibile della Resurrezione di Cristo e convertire il mondo.

Fr. Marco