venerdì 27 settembre 2024

Fossero tutti profeti nel popolo del Signore!

 «“Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento”. … Ma Mosè gli disse: “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!”». (Num 11,25-29)

«Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente.» (Giac 5,1-6)

«“Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Ma Gesù disse: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”.» (Mc 9,38-43.45.47-48)

La Parola di Dio della domenica XXVI del tempo ordinario tratta della gelosia, dell’avidità e dell’ invidia degli uomini nei confronti dei doni che con liberalità Dio elargisce ai loro fratelli: Giosuè è geloso dei due anziani rimasti all’accampamento, l’apostolo Giovanni è geloso dell’uomo che, pur non seguendo Gesù, scaccia demòni nel suo nome.

Dinanzi la liberalità di Dio, in realtà, dovremmo rallegrarci e fare attenzione al modo in cui usiamo i doni che sono stati concessi a noi, invece di guardare con invidia ai doni dei nostri fratelli. Nella seconda lettura San Giacomo mette in guardia i ricchi ad usare bene della loro ricchezza perché questa non diventi una condanna per loro.

Come ci ricorda il serafico padre S. Francesco, di cui tra pochi giorni celebreremo la solennità, Dio è “il Datore di ogni bene”: «Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene» esclama nelle Lodi di Dio Altissimo. Troppo spesso, però noi assolutizziamo i beni di Dio facendone degli idoli, attaccando loro il cuore, volendoli possedere. Facciamo “oggetto di rapina” ciò che Dio vuole concederci. “Affamati” di vita, in preda al desiderio di affermare il nostro io, arriviamo ad essere invidiosi anche delle capacità dei nostri fratelli.

Oggi la Parola di Dio ci invita ancora una volta a conversione, a cambiare il nostro modo di pensare e la direzione del nostro sguardo. Alziamo gli occhi dai beni di Dio al Datore di ogni bene e ricordiamo che è il Padre che si prende cura dei suoi figli. Prendiamo consapevolezza che ogni bene, ogni capacità, nostra e dei nostri fratelli, è data dal Padre per il bene della Chiesa. Per questo motivo siamo invitati a rallegrarci per i beni e le capacità dei nostri fratelli e a fare attenzione a come usiamo i beni e le capacità che sono state date a noi. Ciascuno riceverà la giusta ricompensa per il modo in cui è stato capace di condividere i doni che gli sono stati affidati, fosse anche solo “un bicchiere d’acqua”.

La Parola di oggi, però, ci invita soprattutto a centrare la nostra vita su ciò che veramente va cercato al di sopra di ogni bene: la comunione con Dio. Per fare questo siamo invitati ad abbandonare ogni relazione con gli idoli, a cominciare dal nostro Io che continuamente vuole ergersi contro Dio. È per questo che oggi nel Vangelo il Maestro ci invita a “tagliare” ciò che ci dà scandalo, che ci è d’inciampo nel nostro cammino verso il Sommo Bene.

Ascoltando la Parola e contemplando l’Amore Crocifisso, recuperiamo la centralità di Dio e dei nostri fratelli nella nostra vita. Viviamo concretamente il comandamento dell’amore condividendo con i fratelli, per amore di Dio, ciò che il Signore ci ha concesso. “Restituiamo” a Dio, secondo ciò che insegna il Serafico Padre san Francesco, il bene che ci ha affidato non attribuendolo al nostro io, ma usandolo per i fratelli e lodando il Datore di ogni Bene. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

sabato 21 settembre 2024

Chi è il più grande?

«[Dissero gli empi:] «Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni» (Sap 2,12.17-20)

«Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra!» (Giac 3,16-4,3)

«Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà … Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,30-37)

​In questa XXV domenica del tempo ordinario, la pagina di Vangelo ci presenta il secondo annuncio della Passione. Il tema della sofferenza è anticipato e inquadrato dalla prima lettura, che narra le “trame degli empi” che vogliono "togliere di mezzo" il giusto perché con la sua vita mette in risalto la loro empietà.

Nella pericope evangelica di oggi, Gesù attraversa la Galilea. È il territorio dei “gentili”, dei non giudei, dei “lontani da Dio”. Anche per loro Gesù darà la Vita perché scoprano l’infinito amore di Dio, diventino discepoli e con la loro vita rendano gloria al Padre (cfr. Gv 15,8).

Per la strada … avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Mentre il Maestro annuncia ai discepoli che a Gerusalemme andrà a donare della sua vita per amore, i discepoli parlano tra loro di chi è il più grande! Sono ben lontani dalla logica dell’amore che si fa dono, non hanno ancora ricevuto lo Spirito, l’Amore del Padre riversato nei nostri cuori (cfr Rm 5,5).

Anche a noi, però, nonostante il dono dello Spirito che abbiamo ricevuto attraverso i sacramenti, può capitare di scegliere di vivere per noi stessi, di ricadere nella schiavitù delle nostre passioni. Assetati di Vita, può capitare di volere essere più grandi dei nostri fratelli, di desiderare quella grandezza secondo il mondo, che gonfia e mette gli uni contro gli altri.  È da questo, ci ricorda S. Giacomo nella seconda lettura che vengono le gelosie, le invidie e ogni sorta di cattive azioni.

«Se uno vuole essere il primo …» Gesù non rimprovera i suoi discepoli perché desiderano la grandezza, ma mostra loro la vera grandezza che consiste nel partecipare della grandezza di Dio. È per questo che oggi Gesù ci invita ad accogliere Lui e Colui che lo ha mandato, accogliendo i bambini, i più piccoli, quanti non hanno come ricompensarci. Per questo è necessario farsi piccoli e mettersi al servizio: per fare spazio all’altro nella nostra vita mettendoci al servizio ad imitazione di Lui che è venuto per servire e non per farsi servire (Mc 11,45). 

Domenica scorsa, nel Vangelo il Maestro ci invitava: «Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Seguendo il Maestro ed a imitazione di Lui, rinneghiamo noi stessi facendo spazio all’altro e doniamo la vita per amore nel servizio gratuito e disinteressato.

Accogliamo allora il Signore nella nostra vita, facendoci piccoli e mettendoci al servizio dei più piccoli,  di quanti non valgono niente per il mondo. Sperimenteremo di non essere soli e parteciperemo della vera grandezza regale di Cristo.

Fr. Marco

venerdì 13 settembre 2024

Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.

 «Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro.» (Is 50, 5-9)

«A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo? … Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta.» (Gc 2,14-18)

«“Ma voi, chi dite che io sia?” … “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” … “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”» (Mc 8,27-35)

Il Vangelo della XXIV domenica del tempo ordinario, quest’anno ci pone una domanda fondamentale per la nostra vita di fede: chi è per me Gesù? La risposta, purtroppo, non è scontata come vorremmo. Troppo spesso, infatti, la nostra professione di fede viene smentita dalla nostra vita. Troppo spesso alla fede dichiarata a parole non facciamo seguire le opere corrispondenti.

La fede, se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Perché la nostra professione di fede in Gesù riconosciuto come il nostro Signore, il Messia e Salvatore, sia autentica e credibile, siamo chiamati a testimoniarlo con la vita comportandoci da discepoli: imparando a camminare dietro di Lui, in obbedienza alla Sua Parola e non come coloro che vogliono insegnargli ciò che deve fare!

«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» Nel Vangelo di oggi, il Maestro ci istruisce sulle esigenze del discepolato. In particolare ci invita al rinnegamento di se stessi, esigenza imprescindibile della sequela.

Che significa rinnegare se stessi? Nel Nuovo Testamento il  verbo “rinnegare” ricorre con costanza in due contesti diversi: quando si parla di rinnegamento di sé e quando si parla di rinnegamento di Cristo: «Chi mi rinnegherà davanti agli uomini …» (Mt 10, 33). Le due cose, secondo il Vangelo, sono in alternativa: o si rinnega se stessi, o si rinnega Cristo. O si cerca di “salvarsi la vita” secondo la logica del mondo, si cerca, cioè di fare valere i propri diritti mettendo il nostro Io al centro della nostra vita; o ci si mette alla sequela di Cristo, si prende a cuore l’esigenza e la mentalità del Regno e si mette Cristo al centro della propria vita. Il “rinnegamento”, quindi, non è mai fine a se stesso, né un ideale in sé. Dire no a se stessi è il mezzo per dire sì a Cristo. Se scegliamo di seguire Cristo, dobbiamo smettere di seguire il nostro io e rinnegare noi stessi: il nostro orgoglio (che ci impedisce di perdonare) il nostro egoismo (che ci impedisce di condividere), la nostra vanagloria (che ci impedisce di riconoscere i doni dei fratelli). La “logica del mondo” mi insegna che “tutto gira intorno a me”, che “io valgo”, che devo stare bene; per quanto riguarda la sofferenza, poi, come Pietro, afferma: «Questo non ti accadrà mai!». Anche a noi, come a Pietro, oggi Gesù dice: «Vieni dietro a me, non pensare più secondo gli uomini, ma secondo Dio».

La via della sequela, quindi, è la via dell’obbedienza, della vita donata per amore ad imitazione del nostro Maestro. Oggi 15 settembre, ricorre il trentunesimo anniversario del martirio del Beato P. Pino Puglisi sacerdote nostro contemporaneo. Un uomo che seppe davvero mettersi alla sequela del Maestro rinnegando se stesso e imparando a perdere la vita per amore. Consacrando la sua vita a Dio nel sacerdozio, si impegnò sempre per i più piccoli e deboli subendo per questo anche il rifiuto e gli insulti. Proprio questo suo continuo prendersi cura degli ultimi, delle persone più deboli e per questo più facilmente preda della malavita organizzata, diede fastidio a coloro che hanno messo la vita al servizio del “principe di questo mondo”. Lui lo sapeva, ma scelse di non rinnegare Gesù e di non difendere la propria vita. Accolse il suo assassino con un sorriso dal quale probabilmente è scaturito il primo frutto del suo martirio: la conversione di colui che lo ha ucciso.

Insieme al Beato Padre Pino Puglisi e ai fratelli e sorelle che ci hanno preceduto, mettiamoci anche noi alla sequela del Maestro in questo cammino faticoso e in salita, ma che sfocia in quella Vita Piena che il mondo non conosce e non può darci.

Fr. Marco

sabato 7 settembre 2024

“Effatà”, “Apriti!”


«Dite agli smarriti di cuore:  “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.» (Is 35,4-7a)

«Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali … Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?» (Gc 2,1-5)

«Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”» (Mc 7,31-37)

Oggi, XXIII Domenica del tempo ordinario, la liturgia della Parola si apre con un invito alla Speranza: «Non temete … Egli viene a salvarvi».

Nel pagina di Vangelo, inoltre, Gesù ci è presentato come il pieno adempimento della profezia messianica di Isaia: viene a cercare l’umanità dispersa per aprirla nuovamente alla relazione vitale con il Padre. Viene a guarire la nostra sordità perché possiamo ascoltare nuovamente la Parola di Dio; guarisce il nostro mutismo perché possiamo tornare a rivolgerci al Padre e possiamo annunciarlo alle genti.

La pericope evangelica di questa domenica si apre con una notazione geografica: Gesù percorre le regioni pagane della Decàpoli. Viene a cercare i “lontani”, quanti non hanno mai sentito parlare di Dio e brancolano nel buio. Simbolo di quest’umanità dispersa, è il sordomuto incapace di ascoltare e di parlare. Gesù lo prende in disparte, cerca una relazione di intimità con lui, e tocca le sue orecchie e la sua lingua perché tornino ad aprirsi. È lo stesso gesto che Gesù, per mano del sacerdote, ha compiuto su di noi il giorno del nostro battesimo. Innestati in Cristo con il battesimo, infatti, anche noi siamo stati aperti alla relazione con i Padre, siamo stati guariti dall’incapacità di ascoltare la Sua Parola e di rivolgerci a Lui. 

Guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. Accostandosi all’umanità malata, Gesù emette un sospiro, letteralmente “un gemito”: partecipa alla sofferenza dell’uomo lontano dal Padre, si fa solidale con lui. La parola aramaica “Effatà” viene conservata dall’evangelista nella lingua originale per sottolinearne il carattere decisivo. Senza dubbio questa parola è rivolta al sordomuto perché si apra alla relazione, ma mi piace notare che Gesù sta guardando verso il Cielo: un Cielo che per l’uomo peccatore è chiuso, oscurato dal suo peccato, e che Gesù torna ad aprire perché l’uomo possa nuovamente vedere e riconoscere il Padre e relazionarsi con Lui. 

Gli portarono un sordomuto. Prima di concludere, vorrei sottolineare che l’uomo sordomuto ha bisogno di essere condotto da Gesù. Siamo noi Chiesa, noi battezzati, che siamo chiamati a cercare e condurre a Gesù gli smarriti del nostro tempo, uomini e donne che hanno perso il senso della loro vita, che nel cuore hanno ancora il desiderio di Dio, ma sono incapaci di ascoltarlo e di relazionasi con Lui. Potremo adempiere a questa missione, però, solo se noi per primi ci apriamo alla relazione vitale con il Padre e, conformandoci al nostro Maestro Gesù, ci apriremo a coloro che il mondo ha messo da parte, coloro che il mondo allontana. Come ci ricorda oggi san Giacomo nella seconda lettura, sono loro, i diseredati, i prediletti da Gesù coloro con i quali ha voluto identificarsi e noi non possiamo discriminarli senza, con ciò, chiuderci nuovamente alla relazione vitale con Dio.

Fr. Marco