venerdì 31 maggio 2024

Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi

 «Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!”» (Es 24,3-8)

«Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.» (Eb 9,11-15)

«Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti.”» (Mc 14,12-16.22-26)

​Questa domenica, solennità del Corpus Domini, la Parola sottolinea il tema dell’Alleanza stipulata attraverso l’ascolto della Parola di Dio, sacrifici di comunione e con l’offerta del sangue.

Nella prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, infatti, ascoltiamo che Mosè, dopo avere fatto offrire olocausti e sacrifici di comunione, legge la Parola di Dio e asperge il popolo con lo stesso sangue  dell’alleanza con il quale aveva precedentemente asperso l’altare: in forza di quest’Alleanza, Dio e il popolo diventano simbolicamente “consanguinei”, si appartengono.

Il popolo, tuttavia, immagine dell’umanità in cammino, non riuscirà a mantenersi fedele all’Alleanza, “prostituendosi” agli idoli. Il Signore, però, è il Dio fedele e non viene meno alla sua fedeltà: per mezzo dei profeti annuncia la Nuova ed Eterna Alleanza che realizza in Gesù Cristo nella pienezza dei tempi. Un’alleanza nuova non più stabilita sul sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue e per questo capace di procurare un’alleanza eterna (II lettura). Ciò che nell’alleanza antica era solo una “consanguineità simbolica”, ora, nel Sangue di Cristo offerto per la redenzione del mondo, diventa realtà: Gesù si fa nostro Cibo e nostra Bevanda per venire in noi e vivere in noi.

La reciproca appartenenza adesso è reale, non solo rituale: Cristo vive in noi e noi viviamo di Lui. La comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, accolta con le dovute disposizioni, infatti, ci trasforma in Lui e ci dà la grazia di compiere la Sua Volontà.

«Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». Con queste parole il popolo risponde a Mosè. Anche noi siamo chiamati a prestare ascolto e a eseguire ciò che il Signore ci comanda. Raccontando l’istituzione dell’Eucarestia, san Paolo cita le parole, poi entrate a far parte della preghiera eucaristica: «fate questo in memoria di me» (Cfr. 1 Cor 11,23-27). Ciò che siamo chiamati a fare, però, non è solo il gesto sacramentale, ma anche e soprattutto ciò che esso significa: la donazione della vita, del nostro corpo e del nostro sangue, per Amore. Solo così vivremo davvero in memoria di Lui, saremo realmente suoi discepoli e daremo gloria al Padre.

Fr. Marco

venerdì 24 maggio 2024

Lo Spirito ci rende figli adottivi. Per questo gridiamo: «Abbà! Padre!

 «Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?» (Dt 4,32-34.39-40)

«Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo … » (Rm 8,14-17)

«Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo …» (Mt 28,16-20)

Questa domenica la liturgia ci fa contemplare il mistero della Santissima Trinità. Domenica scorsa, solennità della Pentecoste, abbiamo contemplato lo Spirito Santo, la terza Persona della Santissima Trinità, che porta compimento l’opera della redenzione iniziata con la resurrezione. Effuso nei nostri cuori per il mistero pasquale del Figlio, lo Spirito Santo, “che è Signore e da la vita”, ci inserisce all’interno della circolarità d’Amore che è la Santissima Trinità. Per questo, nella seconda lettura di oggi, S. Paolo ci può esortare, ricordandoci che siamo diventati “figli nel Figlio”, a comportarci conformemente a questa altissima dignità.

Il dogma della Santissima Trinità è uno dei Misteri centrali della nostra fede: l’unico Dio, Creatore del cielo e della Terra, che si è rivelato nella Storia stringendo la sua Alleanza con il popolo d’Israele e che, nella pienezza dei tempi, ha Rivelato pienamente se stesso in Gesù Cristo, Figlio eterno del Padre, è Uno e Trino. Un solo Dio in tre Persone: il Padre (Amante) che dall’eternità genera il Figlio (Amato) donandosi totalmente a Lui e tutto ricevendo da Lui nello Spirito Santo (Amore). Il Dio che si rivela pienamente in Gesù Cristo, ed in cui veniamo battezzati, è questa eterna processione d’amore in cui le tre Persone divine hanno tutto in comune tranne la loro identità personale (l’essere rispettivamente Padre, Figlio e Spirito). Il nostro Dio è, quindi, già al suo interno, relazione d’Amore.

Ciò significa che l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, è costitutivamente relazione: è fatto per la relazione ed è felice/realizzato solo nella relazione che si esplicita in due direzioni: la relazione fondamentale con il suo Creatore, di cui l’Alleanza (antica e nuova) è la manifestazione, e la relazione di comunione tra noi.

La relazione d’Amore che è la Santissima Trinità, quindi, si riflette sull’uomo. Così lo esprime p. Alberto Neglia (O. Carm.): «Come il Padre è nell’amore sorgività pura, così Egli dona alla creatura umana di essere nel tempo sorgente di amore. Questo significa che l’uomo è costitutivamente capace di amare.  Amato dall’eternità egli è fatto per amare. L’uomo è nel tempo soggetto di amore. In questo senso, amando, l’uomo riproduce in qualche modo la creatività del Padre. L’amore fa sbocciare la vita.

L’uomo è ancora immagine del Dio Trinitario perché è stato creato per mezzo del Figlio, in vista di Lui ed in Lui (Col  1,15-17). Come in forza dell’accoglienza pura (“mio cibo è fare la volontà del Padre”) il Figlio è immagine perfetta del Padre, così l’uomo è immagine di “Dio Figlio”, in quanto si fa recettività, cavità capace di accogliere, fino alla trasparenza, l’amore eternamente amante. Nel Figlio amato l’uomo è costitutivamente oggetto di amore, apertura radicale, “uditore della Parola”. Chi non riceve l’amore, non esisterà mai veramente: la povertà che accoglie è la condizione dell’amore. Chi non sa accogliere, non sa dire grazie, non sarà mai veramente e pienamente umano. Gli altri non sono dunque il limite del proprio esistere (concetto che Sartre esprime con: “l’inferno sono gli altri”), ma, in quanto l’uomo è recettività, essi sono la soglia dove comincia veramente ad esistere. Nel più profondo del suo essere creaturale l’uomo ha bisogno dell’altro.

Lo Spirito Santo imprime nella creatura umana un certo riflesso di quello che Egli è nel mistero di Dio. Come fra l’Amante e l’Amato Egli è l’eterno legame di unità ed insieme Colui che fonda l’apertura infinita del loro amore, lo Spirito è la fantasia creativa di Dio. L’uomo creato ad immagine di “Dio Spirito” è unità vivente di questo duplice movimento dell’amore: amando, egli si fa amare; lasciandosi amare, egli ama. Quest’unità di sorgività e di recettività è il fondamento di quella reciprocità delle coscienze in cui si realizza pienamente la persona umana. Lo Spirito, presente nell’uomo, lo spinge continuamente a spezzare il cerchio dell’amante e dell’amato, a fuggire la cattura dell’esclusività, per andare verso il bisogno di amore dell’altro, di tutti gli altri.» (P. Alberto Neglia O. Carm.)

L’uomo, allora, è creato ad immagine della Santissima Trinità e, quindi, per la relazione. Penso che l’immagine terrena che più si avvicina a realizzare questo progetto sia la Famiglia in cui un uomo e una donna, in una circolarità d’amore che si dona ed accoglie, si aprono alla fecondità dell’amore la cui prima, ma non esclusiva, concretizzazione è il figlio.

«Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi»  Accogliendo, dunque, l’esortazione di Mosè e la piena rivelazione di Cristo, contempliamo la SS. Trinità e realizziamo nella nostra vita ciò per cui siamo stati creati.

Fr. Marco

sabato 18 maggio 2024

Fratelli, camminate secondo lo Spirito

 «Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste … Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2,1-11)

​«Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne» (Gal 5,16-25)

​«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.» (Gv 15,26-27; 16,12-15)

Questa domenica, solennità della Pentecoste, termina il tempo liturgico della Pasqua e giunge a compimento l’opera della redenzione iniziata con la resurrezione.

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste. Anche il giudaismo, infatti, conosce la festa di Pentecoste nella quale fa memoria dell’alleanza al Sinai ratificata dal dono della Legge (Es 19-20). Raccontando ciò che avvenne con la Pentecoste cristiana, nella prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, S. Luca sembra alludere proprio alla teofania al Sinai parlando di tuono, terremoto e fuoco dal cielo. È ai piedi del monte Sinai che le “genti raccogliticce” liberate dalla schiavitù d’Egitto ratificano l’Alleanza e diventano il Popolo di Dio. Il fatto che lo Spirito scenda sugli apostoli proprio il giorno in cui il Popolo faceva memoria dell’Alleanza e del dono della legge, indica nello Spirito la Legge nuova  che suggella la Nuova Alleanza e che consacra il popolo regale e sacerdotale che è la Chiesa. Si realizza la profezia di Geremia: «Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo.» (Ger. 31, 33). In cosa consista questa “legge interiore” lo spiega meglio Ezechiele: «Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi.» (Ez 36, 27).

L’apostolo S. Paolo, nella seconda lettura, scrivendo ai Galati riguardo la vita nuova nello Spirito, si colloca proprio in questa prospettiva “interiore”: Dio ha scritto la Sua Legge nei nostri cuori con lo Spirito Santo. Questa “legge nuova” è l’Amore che Egli ha effuso nei nostri cuori nel Battesimo mediante lo Spirito. La Legge antica, infatti, ci rende consapevoli del peccato, ma non è in grado di liberarci da esso. Il “tronco del peccato”, cioè l’egoismo e “l’amore di sé spinto fino all’odio di Dio” (secondo la definizione di S. Agostino), non può essere cancellato dall’osservanza di una legge, ma solo se si sarà ristabilito quello stato di Amicizia che c’era tra Dio e l’uomo all’origine.

La redenzione operata da Cristo nel mistero pasquale ha realizzato proprio questo: Gesù sulla Croce ha riconciliato l’uomo a Dio, ha distrutto il cuore di Pietra, ha crocifisso l’uomo vecchio. In cambio di ciò ci ha dato la Sua Vita, la sua obbedienza al Padre, il Suo Spirito da Figlio.

Quello che abbiamo ricevuto, nel Battesimo come caparra e nella Cresima in pienezza, è quindi lo Spirito del Risorto che ci dà la Sua stessa vita, la linfa che attraverso Cristo, la Vera Vite, ci percorre come tralci e ci rende capaci di portare frutto; è lo Spirito che ci rende capaci di vivere da Figli di Dio. Noi riceviamo l’Amore di Dio, Dio stesso viene ad abitare in noi, e siamo inseriti in questo rapporto di reciproca donazione e accoglienza che è la SS. Trinità.

Proprio perché è Dio, lo Spirito, venendo nei credenti attraverso i sacramenti, nella misura in cui è accolto e assecondato (dalle nostre buone disposizioni), è in grado di cambiare quella situazione che la legge non poteva modificare. L’uomo “vecchio” vive per se stesso, secondo la “carne”, percepisce Dio come un ostacolo, un antagonista che con i suoi comandamenti gli impedisce di realizzarsi; è assetato di vita, ma la cerca dove è solo morte; pretende di salvarsi da solo e scopre la propria impotenza. Quando, invece, lo Spirito prende dimora nel cuore dell’Uomo avviene il cambiamento: lo Spirito gli comunica l’Amore di Dio, gli attesta che Dio, lungi dall’ostacolare la sua realizzazione, gli è veramente favorevole (Paràclito è il “riscattatore”, colui che ci consola e difende ed è totalmente “dalla nostra parte”); lo Spirito fa comprendere all’Uomo l’immenso amore di Dio che si è manifestato nell’opera redentrice di Gesù. In tal modo l’Uomo diventa Nuovo: un Uomo Nuovo che ama Dio e obbedisce volentieri: lo Spirito suscita nell’uomo i sentimenti del Figlio.

La Legge Nuova che è lo Spirito è “un’azione”: non si limita più a comandare di fare o non fare, ma fa egli steso con noi le cose che ci comanda. Se Gesù si fosse limitato a promulgare il comandamento nuovo dicendo: «Vi lascio un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,34), esso sarebbe stato, come la prima legge, “lettera morta”. È per lo Spirito che tale comandamento è “nuovo”. Solo perché il Suo Amore è effuso nei nostri cuori, possiamo amarci “come” Lui ci ama.

Un grande autore Ortodosso, N. Cabasilas, , fa notare che: «Gli apostoli ebbero il vantaggio di essere istruiti in ogni dottrina e per di più dal Salvatore in persona. […] Lo videro morire, risorgere e ascendere al cielo; tuttavia, pur avendo conosciuto tutto questo, finché non furono battezzati [allude alla Pentecoste], non mostrarono nulla di nuovo, di nobile di spirituale, di migliore dell’antico. Ma quando venne per essi il battesimo e il Paràclito irruppe nelle loro anime, allora divennero nuovi e abbracciarono una vita nuova …»

Oggi celebriamo la pienezza della nostra redenzione, il compimento della Nuova Alleanza, il passaggio dalla schiavitù alla Libertà dei figli di Dio; siamo chiamati, però, ad attuare esistenzialmente questo passaggio nella nostra vita. Noi nasciamo “in rivolta contro Dio”, “uomini vecchi” con i desideri della carne e la fiducia nelle opere: nasciamo sotto la legge.  Con il battesimo rinasciamo alla Vita nuova in Cristo, ma durante la nostra esistenza possiamo “narcotizzare”, questa nuova vita e ricadere nell’economia della legge, vivere da “uomini vecchi”. È il pericolo che Paolo denuncia ai Galati: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.» (Gal 5,1). Il dato rivelatore è fare attenzione a come percepiamo, esistenzialmente e non solo “nozionalmente”, Dio: guardiamo a lui con l’occhio dello schiavo, mosso dalla paura del castigo e dalla brama del premio, o, conformi al Figlio, siamo mossi dall’amore e dal desiderio di compiacere il Padre?

Accogliamo pieni di gratitudine il gratuito Amore di Dio. Lasciamoci amare e permettiamo allo Spirito di accendere i nostri cuori d’amore per Dio, solo in tal modo potremo vedere i frutti dello Spirito e rendere testimonianza a Cristo con la nostra vita.

Fr. Marco

venerdì 10 maggio 2024

Cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio

 «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra» (At 1,1-11)

«Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.» (Ef 4,1-13)

«Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.» (Mc 16,15-20)

Celebrando la solennità dell’Ascensione del Signore, oggi contempliamo Gesù che porta con sé nel seno del Padre la nostra umanità, quella umanità che aveva assunto con la Sua incarnazione e che ha glorificato con la Sua passione, morte e resurrezione. Gesù è andato a prepararci un posto (Cfr. Gv 14,2) perché, là dove Lui ci ha preceduto, possiamo un giorno raggiungerlo godendo della beatitudine eterna in attesa del Suo ritorno Glorioso alla fine dei tempi. Ecco la nostra vocazione alla quale San Paolo nella seconda lettura ci invita a guardare ravvivando il nostro desiderio del Cielo.

«Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto» L’Apostolo si riferisce alla vocazione fondamentale che tutti ci accomuna e alla quale giungiamo attraverso le varie chiamate particolari (Cfr. Ef 4,11): la santità, la piena realizzazione della nostra vita, che comincia qui e prosegue per l’eternità in Cielo!

«Signore, è questo il tempo …?» Nella Chiesa delle origini, che attendeva come imminente la fine dei tempi, il desiderio del Cielo era ben presente, tanto che Gesù deve specificare: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti …» Ciò che è importante, infatti, non è conoscere “il momento” (andare dietro a “profezie”, “messaggi” e “segni” straordinari), ma vivere in maniera degna della nostra vocazione, cioè in attesa e in vista del Regno dei Cieli.

Nella pagina evangelica, inoltre, ascoltiamo il mandato missionario dato agli apostoli e a tutti i discepoli: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura». Siamo invitati a portare a tutti l’annuncio della salvezza, il Vangelo della Vita che vince la morte. Dall’accoglienza o meno di esso dipende la salvezza, il fare esperienza della Vita o il rimanere nella morte.

«Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono …». I segni elencati dal Maestro per accreditare i testimoni hanno a che fare con la Vita: scacciare i demoni, lo spirito impuro che, trascinandoci nella sfera della morte, toglie gioia alla vita; parlare la lingua nuova dell’amore che permette di capire il fratello; essere immuni ai veleni e ai serpenti, avere cioè sconfitto la morte tanto che questa non ha più potere (mi viene in mente la testimonianza dei martiri che, avendo in loro la Vita, non si preoccupano di chi li minaccia di morte); guarire i malati, condividere cioè il dono della Vita. Tutti segni della Vita presente in coloro che credono, accolgono Gesù come loro Signore e vivono l’attesa del Regno dei Cieli.

« … con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore» Per vivere bene quest’attesa ed essere testimoni del Regno, è ancora la lettera agli Efesini a darci alcune indicazioni su come rapportarci ai fratelli e al  mondo. Umiltà, dolcezza e magnanimità sono frutti dello Spirito che siamo invitati ad accogliere in noi perché i fratelli possano gioirne. S. Paolo ci invita, inoltre, alla sopportazione vicendevole, quello che altrove esprime con «portate i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2). Una sopportazione animata dall’amore disposto a portare il peso dell’altro, ma anche il peso che è l’altro. Vivere così ci porterà a custodire “l’unità dello spirito”, cioè quell’amore vicendevole che è il comandamento del Signore (Cfr. Gv 15).

«Riceverete la forza dallo Spirito Santo» Il Signore conosce la nostra debolezza, sa che senza di Lui non possiamo far nulla (Cfr. Gv 15), per questo manda su noi la potenza dello Spirito Santo, che ci raggiunge principalmente attraverso i Sacramenti. A noi la responsabilità di non contristare lo Spirito (Cfr. Ef 4,30), ma di accoglierlo e farlo fruttificare lasciandoci guidare da Lui. Solo così la nostra predicazione sarà credibile, solo così potremo essere testimoni del Signore e affrontare la “buona battaglia” della vita con le sue le difficoltà, da cui nessuno è esonerato, mantenendo la Speranza e senza cedere allo sconforto. Solo così vivremo in maniera degna della nostra vocazione e un giorno saremo accolti da Gesù nella dimora che da sempre ha preparato per noi.

Fr. Marco

venerdì 3 maggio 2024

Nessuno ha un amore più grande di questo

«In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (At 10,25-27.34-35.44-48)

«In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.» (1Gv 4,7-10)

«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,9-17)

Come domenica scorsa, anche questa domenica, sesta di Pasqua, la pagina evangelica è tratta dal secondo discorso di addio di Gesù (Gv 15), il Suo “testamento”, le Sue “ultime volontà”: «Rimanete nel mio amore … amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi».

«Dio non fa preferenze di persone». La prima lettura di oggi pone l’attenzione su una caratteristica particolare dell’Amore che siamo chiamati ad accogliere e a prendere ad esempio per praticarlo: la gratuità, la libera iniziativa. Dio non sceglie in base al merito o alla “simpatia”, ma accoglie e chiama tutti gli uomini alla salvezza. Dicendolo con uno “slogan”: “Dio non ci ama perché siamo buoni, ma ci chiede di essere buoni perché ci ama”.

«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi». Il Maestro stesso, nella pericope evangelica di oggi, afferma la sua libera iniziativa nella chiamata dei discepoli. Contrariamente a quanto accadeva al tempo di Gesù, infatti, non sono stati i discepoli a scegliere di seguire il Maestro, a sceglierlo come loro Signore; è stato Gesù che li ha scelti e chiamati quando ancora loro non lo conoscevano. Ciò non vale solo per i discepoli di allora, vale anche per noi. È Gesù, infatti, che liberamente e senza nostro merito ci ha chiamati alla vita, ci ha liberati dal peccato e ci ha costituiti perché possiamo portare “frutti di vita eterna”.

« … come io ho amato voi» Dopo averci rivelato il Suo amore e la sua libera iniziativa, il Maestro oggi ci comanda di amarci gli uni gli altri “come” Lui ci ha amati. Abbiamo già visto che questo “come”, il modo in cui Gesù ci ha amati, implica la gratuità: siamo stati amati gratuitamente, senza aver fatto nulla per meritarcelo. Non siamo chiamati, quindi, ad amare solo i fratelli della “nostra cerchia” (fraternità, comunità, gruppo di preghiera ecc.) o solo i fratelli che “se lo meritano”; né, peggio ancora, siamo chiamati ad amare solo coloro che possono contraccambiare al nostro amore. Siamo chiamati, invece, ad amare indistintamente tutti, anche coloro che non se lo meritano (i “nemici”). Se una particolarità ci è concessa, è verso coloro che non possono contraccambiare al nostro amore: i piccoli, i poveri (cfr Mt 25,31-47).

«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.» Questo “come” implica anche la “donazione della vita”. Ciò significa fare della propria vita un dono per coloro che il Signore ci ha messo accanto; non necessariamente morendo fisicamente, ma sicuramente morendo al nostro orgoglio e alla nostra pigrizia donando loro il nostro tempo, le nostre capacità, il nostro perdono … Gesù ci ama così, anche quando non ce lo meritiamo: si è consegnato nelle mani dei suoi crocifissori perdonandoli.

Umanamente questo amore universale e senza misura è molto difficile, potremmo dire impossibile. Il “come” del versetto 12, però, ha anche il valore di “siccome”. Potremmo interpretare così: «Siccome io ho amato voi (vi ho dato il mio Amore), questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri». Solo perché siamo amati gratuitamente e senza misura da Gesù, infatti, possiamo amare i nostri fratelli allo stesso modo.

Oggi il Maestro non ci chiede altro che di lasciarci amare, di lasciarci raggiungere dal Suo Amore, lo Spirito Santo effuso nei nostri cuori, per imparare ad amare e avere la gioia piena che è frutto solo una vita donata per amore.

Vorrei concludere con un pensiero di S. Teresa di Gesù Bambino: «Ah! Signore, so che non comandi nulla di impossibile. Conosci meglio di me la mia debolezza, la mia imperfezione, sai che non potrò mai amare le mie sorelle come tu le ami, se non sei ancora tu, Gesù mio, ad amarle in me. È per accordarmi questa nuova grazia che tu hai dato un comandamento nuovo. Oh! Quanto lo amo, se mi da la garanzia che la tua volontà è d’amare in me tutti coloro che comandi d’amare! Sì, ne sono convinta; quando uso carità è solamente Gesù che agisce in me. Quanto più sono unita a lui, tanto più amo tutte le mie sorelle»

Fr. Marco