venerdì 12 settembre 2025

Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce

«In quei giorni, il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: “Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero”.  … Il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita”» (Nm 21,4-9)

«Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.» (Fil 2,6-11)

«E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.» (Gv 3,13-17)

Questa domenica celebriamo la festa della esaltazione della Croce che ci mette dinanzi all’amore salvifico di Dio. Egli ha mandato il suo Figlio perché il mondo si salvi. A noi chiede solo di accogliere questa salvezza compiendo con Lui il cammino salvifico che, passando dalla Croce, ci libera dalla schiavitù del peccato e ci rende figli di Dio.

La Croce, infatti, non è un incidente della vita Cristiana, qualcosa che può pure mancare: è imprescindibile. Lo sappiamo bene, Gesù ha detto «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua Croce e mi segua». Come ci ha ricordato Papa Leone XIV nell’angelus del 24 agosto scorso, nel contesto dell’anno giubilare: « Gesù non ha scelto la via facile del successo o del potere ma, pur di salvarci, ci ha amati fino ad attraversare la “porta stretta” della Croce. Lui è la misura della nostra fede, Lui è la porta che dobbiamo attraversare per essere salvati (Cfr Gv 10,9), vivendo il suo stesso amore e diventando, con la nostra vita, operatori di giustizia e di pace.»

La liturgia della Parola si apre con l’affermazione che il popolo, liberato dalla schiavitù d’Egitto e chiamato a percorrere il cammino verso la Terra promessa, non sopporta il viaggio e mormora contro Mosè e contro Dio. È quello che spesso facciamo anche noi: mormoriamo, ci comportiamo da ingrati, chiediamo sempre di più.

Questa mormorazione avvelena il rapporto d’amore tra il popolo e Dio; quel rapporto d’amore e di reciproca appartenenza che rendeva quella “gente raccogliticcia” che era uscita dall’Egitto, il Popolo di Dio. Per questa ragione, con i serpenti, il Signore rende visibile l’effetto mortifero della mormorazione. Il popolo si pente del suo peccato e torna al Signore per avere vita.

«Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta» Il Signore invita il popolo a contemplare la conseguenza del proprio peccato dalla quale il Suo Amore lo ha liberato. Il serpente di bronzo diventa quindi memoriale della morte, conseguenza del proprio peccato, e della salvezza che viene dal Signore.

Anche noi, nelle fatiche di ogni giorno, siamo invitati a contemplare la conseguenza del nostro peccato che ci dà anche la misura dell’Amore di Dio per noi: il Signore Gesù Cristo crocifisso per i nostri peccati e risorto come primizia di molti fratelli. Da questa contemplazione siamo invitati ad accenderci d’amore per Lui per portare con Lui la nostra Croce quotidiana.

La Croce, infatti, non è una sofferenza che subiamo nostro malgrado, con rassegnazione, perché non possiamo farne a meno; la croce è un’offerta d’amore, una sofferenza accolta per amore di Cristo e dei fratelli, un mettere da parte “noi stessi” per Amore.

La Croce, quindi, non va “sopportata”, subita; tanto meno va evitata. La Croce va abbracciata per amore e con amore. Questo amore non toglie che si sperimenti tutto il peso della Croce. P. Pio, in una epistola d una figlia spirituale, ci rivela in che modo non cadere sotto il peso della Croce: «Conosco per propria esperienza che il rimedio per non cadere è l’appoggiarsi alla Croce di Cristo, con la confidenza in Lui solo, che per la nostra salvezza volle esservi appeso»

«... perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Cosa significa credere in Lui? Fidarsi di Lui, obbedire a Lui, seguire le Sue orme. Quelle orme che puntano con decisione verso il Calvario per offrire la vita per amore. Quelle orme che, dopo il Calvario, giungono alla gloria eterna della resurrezione. 

La Croce, infatti, lo ribadisco è la sorgente della nostra salvezza: è attraverso la Croce che l’Amore misericordioso di Dio giunge al suo culmine e salva tutti gli uomini. È con la Croce, quindi, che siamo chiamati a seguire Gesù: siamo chiamati a fare della nostra vita un’offerta d’amore, rinnegando noi stessi, il nostro orgoglio e la nostra vanagloria, per Amore di Dio e dei fratelli.

Fr. Marco

sabato 6 settembre 2025

Se uno viene a me

 «A stento immaginiamo le cose della terra … ma chi ha investigato le cose del cielo?» (Sap 9, 13-18)

«… perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo» (Fm 1, 9-10.12-17)

«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.» (Lc 14, 25-33)

​La Parola di Dio della  XXIII domenica del Tempo Ordinario, già dalla prima lettura ci pone una questione fondamentale per la realizzazione della nostra vita: Quale uomo può conoscere il volere di Dio?

Si tratta di avere o non avere quella Sapienza che dà sapore alla nostra vita (“sapienza” e “sapore” hanno la stessa radice nel latino sapio: “aver sapore”). Dal conoscere e fare la volontà di Dio, infatti, dipende la realizzazione della nostra vita. Viviamo veramente quando sappiamo e facciamo la volontà di Dio. Senza questa Sapienza, quindi, la nostra vita risulta insipida, vuota, una vita in cui “tiriamo a campare”. Ecco perché è importane cercare di conoscere il volere di Dio.

«A stento immaginiamo le cose della terra …» Facciamo continuamente, purtroppo, esperienza della nostra inadeguatezza: a stento riusciamo a conoscere le cose a noi vicine; spesso non conosciamo pienamente neanche noi stessi, tanto da restare sorpresi da alcune nostre reazioni e da non riuscire a dominarci pienamente. Il Padre stesso, però, ci viene incontro donandoci la Sua Sapienza. Nell’antico patto ha donato la Legge; nella pienezza dei tempi ci ha donato il Figlio e lo Spirito perché l’Amore, riversato nei nostri cuori, ci rendesse capaci di vivere la Legge.

Gesù, infatti, è la piena rivelazione del Padre, il Verbo eterno che ci rivela pienamente la Via e la Verità della Vita. Per questo noi conosciamo il volere di Dio: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23); «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27).

Anche conoscendo il volere di Dio, tuttavia, non sempre viviamo con sapienza, non sempre sappiamo ordinare i valori nella giusta gerarchia: difficilmente rinneghiamo noi stessi per mettere Dio al primo posto. Con difficoltà rinunciamo a tutti i nostri averi (rinunciamo a possedere  e a “possederci”) per camminare dietro il Maestro. Troppo spesso confondiamo le cose importanti con le cose “urgenti”: sappiamo che è importante l’Eucarestia domenicale, ma poi veniamo bloccati da mille cose che ci impediscono l’incontro con il nostro Signore; sappiamo che è importante pregare e meditare la Parola di Dio, ma le “urgenze” di ogni giorno fanno sì che non troviamo tempo da dedicare al Signore; sappiamo che Gesù ci chiede di perdonare “settanta volte sette”, ma spesso l’amor proprio (magari camuffato da “amore di giustizia”) ci impedisce di obbedire al nostro Signore.

«Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.» Il Maestro oggi si mostra esigente: ai suoi discepoli chiede un amore che lo metta al di sopra di tutto, anche della propria vita. Il Signore oggi ci ricorda che la vita cristiana, la vita da discepoli, è una vita impegnativa e va presa seriamente. Siamo chiamati a camminare dietro a Lui facendo della nostra vita un dono d’Amore: questo significa prendere la croce.

Non è raro, tuttavia, che il nostro modo di vivere la fede ci renda simili a quel tale che ha iniziato a costruire una torre, ma l’ha lasciata incompiuta. Una vita cristiana vissuta con superficialità è una vita che dà scandalo: noi non gustiamo la bellezza della vita e chi ci osserva non è attratto alla sequela (quante volte sentiamo il commento: «Se questi sono quelli che vanno in Chiesa … »)

Accogliamo l’invito del Maestro: prendiamo seriamente l’impegno della sequela e viviamo la vita con sapienza. La nostra vita sarà più bela, più “saporita”, vivremo pienamente.

Fr. Marco

sabato 30 agosto 2025

Chi si umilia sarà esaltato

 «Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato.» (Sir 3,19-21.30-31)

«… Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli» (Eb 12,18-19.22-24)

​«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. … Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,1.7-14)

​Oggi, XXII domenica del Tempo Ordinario, la Parola di Dio ci ricorda il valore dell’umiltà. Nella prima lettura, tratta dal libro sapienziale del Siracide, ascoltiamo: «Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore.» Ecco, quindi, il primo motivo per cui l’umiltà è preziosa: per trovare grazia dinanzi al Signore.

«Non metterti al primo posto» Nella pagina di Vangelo Gesù, invitato ad un banchetto, prendendo spunto da ciò che accadeva attorno a lui, esorta chi vuole ascoltarlo a non ricercare i primi posti. L’atteggiamento prepotente di chi sgomita per mettersi avanti agli altri presto troverà umiliazione e discredito da parte del padrone di casa. «Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». L’umiltà è la strada per giungere alla vera gloria, quella che dà il Padre nel Regno.

Cosa significa però essere umile? Potremmo rispondere: parlare poco di sé e mai per vantarsi; confessare le proprie colpe (dinanzi a Dio e dinanzi ai fratelli); non essere vanitosi; essere disposti ad ascoltare … Sono tutte forme in cui si manifesta l’umiltà, eppure non vanno alla radice. Può accadere anche che la nostra umiltà sia falsa: siamo disposti a dire male di noi, purché gli altri ci contraddicano. Guai se chi ci ascolta denigrarci mostra di essere d’accordo con noi!

«Imparate da me che sono mite ed umile di cuore». Il versetto dell’alleluia che ci introduce al Vangelo, ci riporta le parole con cui il Maestro addita se stesso a modello di umiltà. Quale è stato il modo in cui Gesù è stato umile? Non una “umiltà delle parole”, ma l’umiltà dei fatti: «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.» (Fil 2,6-8). Gesù è stato umile perché ha scelto per sé l’ultimo posto, si è abbassato concretamente a lavare i piedi ai suoi discepoli, ha donato la vita per noi. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome (Fil 2,9).

Ecco l’umiltà che oggi Gesù ci addita nell’immagine del banchetto: scegliere l’ultimo posto, abbassarsi per servire. Questo significa imparare da Gesù mite ed umile. Questo significa comportarsi come Gesù si è comportato.

L’umiltà, inoltre, ci aiuta a fare verità su noi stessi: non meritiamo l’amore gratuito di Dio. Siamo amati gratuitamente. Ecco che scopriamo allora il rapporto tra la prima e la seconda parte del vangelo: « … quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.» Se umilmente abbiamo riconosciuto di essere amati gratuitamente da Dio, allora anche noi siamo chiamati alla gratuità, a fare del bene a chi, come noi, non lo merita. Solo se vivremo questa umiltà che ci rende simili al Figlio amato, potremo entrare al banchetto del Regno perché saremo riconosciuti come Suoi discepoli e figli di Dio.

«Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male.» La prima lettura di oggi ci mette in guardia dal pericolo della superbia, atteggiamento opposto all’umiltà. Se con l’umiltà, infatti, imitiamo il comportamento stesso di Dio che continuamente si abbassa fino a noi per amore, con la superbia, invece, volendo esaltare noi stessi, ci allontaniamo da Dio e ci comportiamo come Lucifero (cfr Is 14,11-15).

Il compianto Papa Francesco all’udienza generale del 13 maggio 2015, aveva proposto alle famiglie tre “parole magiche”: permesso, grazie e scusa. Mi sembrano tre comportamenti concreti che ci aiutano a vivere l’umiltà: chiedere permesso, cioè accostarsi all’altro con delicatezza e non con l’arroganza ci chi pensa di avere sempre ogni diritto sull’altro; ringraziare sempre per ciò che riceviamo senza la presunzione che tutto ci sia dovuto; chiedere scusa, cioè riconoscere umilmente che anche noi sbagliamo. Anche Papa Leone, infine, nella sua prima Messa, il 9 maggio 2025, ci esorta, con le parole e con l’esempio, a essere umili e rifuggire il protagonismo: «Io non voglio essere protagonista. Desidero sparire perché emerga Lui.» Il Signore ci conceda di vivere la vera umiltà perché possiamo condividere la Sua gloria.

Fr. Marco

venerdì 22 agosto 2025

Signore, sono pochi quelli che si salvano?

 

«Così dice il Signore: “Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria.”» (Is 66,18-21)

«Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.» (Eb 12,5-7.11-13)

«Un tale gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Disse loro: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.”» (Lc 13,22-30)

Questa domenica, XXI del tempo ordinario, la Parola di Dio ci presenta l’importante questione dell’essere pronti ad accogliere la salvezza. Nella pagina di Vangelo, infatti, ascoltiamo di un tale che chiede a Gesù: «Sono pochi quelli che si salvano?». La domanda, posta così, sembra una curiosità su gli altri e il Maestro non risponde.

«Sforzatevi di entrare per la porta stretta». Invece di rispondere, Gesù approfitta della domanda per esortare, il tale che pone la questione e tutti i presenti, a preoccuparsi della propria salvezza. Ciò che più ci deve urgere, infatti, non è tanto la curiosità oziosa e pettegola se Tizio e Caio si salveranno o se i musulmani o gli induisti si salveranno; ciò che con più urgenza mi devo chiedere è: “Io mi salverò?”.

Il Signore oggi ci esorta ad entrare per la “porta stretta”. Le città antiche, circondate da mura, avevano delle porte grandi e spaziose che durante il giorno permettevano l’accesso di un gran numero di persone e carri per gli scambi commerciali. Durante la notte, però, per sicurezza, queste porte venivano chiuse. Se qualcuno avesse avuto necessità di entrare in città dopo il tramonto, sarebbe dovuto passare per una porticina che permetteva l’accesso di una sola persona alla volta in modo che il custode potesse riconoscerlo e permettere o negare l’accesso. Per entrare, quindi, bisognava essere riconosciuti.

Ecco cosa significa “sforzarsi di entrare per la porta stretta”: lasciarsi conformare a Cristo, accogliere la Sua Grazia che ci raggiunge nei sacramenti, per essere riconosciuti dal Padre; avere in noi i tratti del Figlio di Dio, l’esserci rivestiti di Cristo. Diversamente, non potremo entrare: «Non so di dove siete».

«Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze» Se non avremo vissuto la conformità a Cristo che ci è stata donata nel Battesimo, non ci servirà a niente la nostra appartenenza ad un popolo o ad una congregazione; non ci servirà a niente essere stati a Piazza S. Pietro durante l’udienza del Papa, l’essere stati in questo o quell’altro santuario o l’avere partecipato a questa o quell’altra manifestazione. Se non avremo i tratti distintivi del Figlio di Dio, non ci servirà a niente persino essere stati presenti a Messa ogni domenica (magari con la testa e il cuore altrove). Ciò che ci permetterà di accedere alla salvezza sarà l’impegno che avremo messo per conformarci a Cristo, per rendere manifesta quella conformazione iniziata con il nostro Battesimo e nutrita dall'ascolto settimanale della Sua Parola e dalla Comunione sacramentale con Lui (la Messa domenicale è un dono prezioso).

«Gesù … era in cammino verso Gerusalemme». Quali sono, allora, i tratti distintivi del Figlio di Dio? Oggi Gesù ci è presentato mentre si dirige a Gerusalemme e sappiamo bene che lì sarà crocifisso per la nostra salvezza. Da risorto, entrando nel cenacolo, per essere riconosciuto mostrerà agli apostoli le mani e il costato piagati dalla croce. Ecco, dunque, da cosa potremo essere riconosciuti come conformi a Lui: se avremo amato sino alla fine (Cfr. Gv 13,1), se saremo stati capaci di portare con amore la nostra croce, se avremo fatto della nostra vita un dono d’amore, se Lo avremo seguito sulla via del Calvario unendo la nostra vita alla Sua per la salvezza del mondo.

«Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio.» Il Maestro è esigente, ma tutti sono chiamati alla salvezza e a tutti è offerta la Grazia dei sacramenti: a condizione di essere trovati conformi a Cristo, a nessuno è preclusa la salvezza.

«Sforzatevi di entrare per la porta stretta». Una sottolineatura vorrei farla, infine, sulla necessità dello “sforzo”, dell’impegno. Il Signore è un amante esigente e non si accontenta di niente di meno che di tutto il nostro impegno; così lo esprime Santa Teresa di Calcutta: «Dio non ci chiede di avere successo, ma di essere fedeli. L’amore, per essere vero, deve costarci, deve farci male, deve svuotarci di noi stessi.». Il Signore guarda il cuore: ciò che importa è l’amore che mettiamo in ciò che facciamo, l’impegno con cui lo facciamo. Può accadere che questo nostro impegno non sortisca l’effetto che vorremmo. Può accadere anche che il Signore stesso, perché non montiamo in superbia, permetta che il nostro impegno non porti i frutti desiderati. Ricordiamo che, più che ai frutti, il Signore guarda l’amore e l’impegno che avremo messo nelle nostre azioni: «Alla sera della vita saremo giudicati sull’Amore» (S. Giovanni della Croce)

Fr. Marco

sabato 16 agosto 2025

Teniamo fisso lo sguardo su Gesù che ha sopportato la grande ostilità dei peccatori

 «In quei giorni, i capi dissero al re: “Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole …”» (Ger 38,4-6.8-10)

«Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.» (Eb 12,1-4)

«Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre». (Lc 12,49-53)

​Questa domenica, XX del Tempo Ordinario, la  liturgia della Parola ci invita ad abbandonare ogni illusione di facili e comodi compromessi: il Dio Vivo e Vero è un Dio esigente, che chiede di prendere posizione anche quando questa risulta scomoda e sgradita al mondo.

È ciò che avviene a Geremia, chiamato da Dio ad annunziare che Israele cadrà sotto il re babilonese Nabucodonosor a causa del peccato del Popolo consistente soprattutto nell’idolatria, nell’avere separato il culto a Dio dalla vita quotidiana. Il re e la sua corte non vogliono sentire questo annunzio. È più piacevole credere a falsi profeti che, senza mandato di Dio, annunciano una facile vittoria. Geremia subirà persecuzione per la sua fedeltà al messaggio divino, sarà letteralmente sommerso dal fango, ma resterà fedele alla verità conosciuta da Dio.

«Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione.» Anche nel Vangelo Gesù ci avvisa che camminare dietro a Lui, essere suoi discepoli, richiede di prendere posizione per rimanere fedeli al Suo messaggio, alla Verità. Il mondo, ieri come oggi, preferisce il “politicamente corretto” alla Verità ed è forte la tentazione di “addomesticare” la Verità, “aggiornare” il Vangelo, per essere accettati dal mondo; magari alcuni pastori possono pure convincersi di farlo per “motivi pastorali”, per non allontanare le pecorelle del Signore, ma se smettiamo di annunciare la Verità o la "annacquiamo", dove conduciamo il gregge?

Essere discepoli di Cristo è incompatibile con il “volemose bene” al quale al giorno d'oggi alcuni vorrebbero ridurre il messaggio cristiano: «fai come ti pare, l’importante e che ti senti a posto … l’amore è amore … tanto Dio è buono e perdona a tutti».

Oggi un cristiano che prende sul serio il Vangelo e vuole viverlo fedelmente facilmente viene accusato di essere “estremista”, bigotto, viene ostracizzato, estromesso da luoghi di lavoro, soprattutto se questi hanno alta visibilità; cantanti che vengono “esclusi dal giro” perché si dichiarano cristiani, giornalisti che devono subire polemiche e rischiano di non potere lavorare perché portano al collo un crocifisso. Oggi tutto è permesso, a tutti si garantisce libertà di espressione, tranne che a chi si professa cristiano e annuncia la Verità del Vangelo che è incompatibile con la logica del mondo.

Il Maestro oggi ci invita a non lasciarci spaventare se la nostra fede ci procura persecuzione, anche se questo avviene all’interno del nostro nucleo familiare. Rimaniamo fedeli al Vangelo, opponiamoci al peccato in noi e alle “strutture di peccato” che la società attuale vorrebbe proporci come giuste. Non accettiamo che la nostra fede sia relegata alla sfera intima e slegata dalla vita quotidiana. Facciamo scelte coraggiose. Denunciamo il male nella società perché i fratelli possano correggersi.

Opponiamoci al peccato, però, non al peccatore per il quale dobbiamo pregare e verso il quale siamo sempre invitati alla Misericordia. Come Geremia, figura profetica di Gesù, pur non rinunciando ad annunciare la Verità, non allontaniamoci da coloro che la rifiutano: restando sempre pronti a rendere ragione della nostra Fede e Speranza (cfr. 1Pt 3,14-17)

Ardenti d'Amore per Cristo, quindi, guardando a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, rendiamo coraggiosamente testimonianza della nostra fede. Se non Lo rinnegheremo, alla fine anche noi saremo riconosciuti come Suoi.

Fr. Marco

giovedì 14 agosto 2025

Un segno grandioso apparve nel cielo

 «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle» (Ap 11,19; 12,1-6.10)

«Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.» (1Cor 15,20-26)

«Grandi cose ha fatto per me l’onnipotente» (Lc 1,39-56)

Oggi celebriamo la solennità di Maria Santissima Assunta in Cielo. L’evangelista Luca ci presenta Maria Santissima come la vera e definitiva Arca dell’Alleanza: la pagina di vangelo, infatti, racconta il viaggio di Maria verso la parente Elisabetta e nel farlo ricalca la narrazione della salita dell’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme nella casa di Obed Edom (2Sam 6,1-11). Piena dello Spirito Santo e portando nel grembo il Verbo fatto carne, Maria è la Nuova e definitiva Arca dell’Alleanza che Dio ha stipulato con l’uomo. L’antica Arca dell’Alleanza, infatti, custodiva le tavole della legge e la manna; Maria porta nel suo grembo il Legislatore e il Pane della Vita ed è testimonianza della presenza di Dio in mezzo al popolo e primizia e caparra delle meraviglie che il Signore è capace di compiere.

Contemplando Maria Assunta in Cielo, la Chiesa è invitata a contemplare ciò che il Signore ha preparato per il popolo della Nuova Alleanza. Così la costituzione conciliare Lumen gentium ci invita a guardare a Maria: «La madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore» (LG 68).

Maria Assunta in Cielo, allora, ci invita alla Speranza: il Signore ha per noi progetti di salvezza. Impariamo da questa Santissima Madre a non dubitare mai dell’amore del Padre. Impariamo a riconoscere con umiltà i prodigi che il Signore compie nella nostra vita e a rendere grazie per essi.

«Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» Così, nel Vangelo della messa della vigilia (Lc 11,27-28), Gesù risponde alla donna che proclama beato il grembo che l’ha portato. È questa, infatti, la più autentica gloria di Maria: l’avere ascoltato e accolto nel suo cuore la Parola di Dio, l’essere stata perfetta discepola del suo figlio, il Signore nostro Gesù Cristo.

Impariamo anche noi da questa santissima Madre ad accogliere con fiducia e attenzione la Parola di Dio perché possa portare frutto in noi e conformarci sempre più al nostro Signore Gesù Cristo. Impariamo ad accogliere in noi l’Amore di Dio e ad amare per primi e gratuitamente i fratelli. Guardando al Cuore Immacolato di Maria, ardente di vero Amore, impariamo a perdonarci reciprocamente e a pregare per coloro che ci fanno del male. Impariamo, infine, da questa perfetta discepola a rimanere uniti al Signore anche quando il Maestro ci chiede di seguirlo sulla via della croce.

Solo facendo così potremo anche noi dirci discepoli di Gesù e veri devoti di Maria. Imploriamo l’intercessione della Madre di Dio perché il Signore ci conceda la grazia di seguirlo come suoi autentici discepoli. Il mondo possa riconoscere in noi la presenza del Maestro e accogliere la Signoria di Cristo perché possiamo un giorno ritrovarci tutti alla presenza della Gloria di Dio. 

Fr. Marco

sabato 9 agosto 2025

Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese

«La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.» (Sap 18,6-9)

«Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.» (Eb 11,1-2.8-19)

«Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!» (Lc 12,32-48)

Questa domenica, XIX del Tempo Ordinario, la pagina di Vangelo si apre con l’esortazione a non temere. Un’esortazione che ricorre spesso nella Scrittura: qualcuno ha contato 365 volte, una per ogni giorno dell’anno. Si tratta di un’esortazione fondamentale che riguarda la nostra Fede, la nostra Speranza e quindi la Carità che dà pienezza alla nostra Vita: ​«Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore» (1Gv 4,18).

«Non temere, piccolo gregge» Quando ci lasciamo dominare dalla paura, infatti, ci ritroviamo “paralizzati”, incapaci di fare scelte di Vita; spesso, anzi, nel tentativo di “salvarci la vita” facciamo “scelte di morte”. Per questo il Signore ci esorta a non temere e a lasciarci guidare dalla Fiducia nell’Amore gratuito del Padre il quale ci dona la Vita, il Regno e tutto se stesso.

Credendo realmente all’Amore del Padre, lasciandoci amare, accogliendo la Vita che Lui vuole donarci, saremo capaci di fare scelte liberanti, scelte di Vita; non saremo più schiavi dell’idolatria dei beni, non ci affanneremo più ad accaparrare e a difendere ciò che non è capace di darci Vita: sapremo di avere un Padre che si prende cura di noi e di avere un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma, per questo saremo capaci di condividere ciò che abbiamo.

«Siate pronti, …» Il Vangelo di oggi, oltre ad esortarci a non lasciarci paralizzare dalla paura, ci invita anche alla vigilanza, all’attesa operosa. Ci invita a ricordarci che la vita è l'attesa di un incontro, ha un senso, uno scopo: l’incontro con il nostro Signore. Un incontro che sarà festoso se sarà stato preparato; se non avremo permesso alle cose del mondo di intontirci tanto da farci dimenticare chi aspettiamo; se saremo rimasti operosi nell’amore (le vesti ai fianchi, il prendersi cura dei fratelli): Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.

Se per nostra rovina, invece, avremo permesso alla paura, alla pigrizia, all’egoismo e a tutte le nostre passioni di farci dimenticare chi aspettiamo, al Suo arrivo dovremo rendere conto delle nostre scelte egoistiche, delle nostre scelte di morte: al momento dell'incontro, il Signore ratificherà la nostra scelta di vivere senza di Lui. Ecco l’unica cosa che dobbiamo temere: essere privati di Lui che è la Vita, la Luce, ogni Bene.

L’incontro con il Signore, “il fine”, più che “la fine” della nostra vita terrena, non dovrà spaventarci se saremo stati operosi, se avremo mantenuto vive Fede, Speranza e Carità, se avremo fatto fruttare le innumerevoli grazie che il Signore ci ha donato. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco