venerdì 27 giugno 2025

Su questa pietra edificherò la mia Chiesa

«In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. … Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva». (At 12,1-11)

«Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.» (2Tm 4,6-8.17-18)

«Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. “… E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.» (Mt 16,13-19)

La Parola di Dio di questa domenica, in cui celebriamo la solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, ci mette dinanzi il fondamento della Chiesa: la fede in Gesù Cristo figlio di Dio e l’amore per Lui (il vangelo della vigilia). Solo perché fondati sulla roccia che è Cristo, gli apostoli possono guidare, “pascere” e confermare nella fede i fratelli. È sulla roccia dell’amore per Cristo e della fiducia in Lui, quindi, che si fonda la Chiesa contro cui le potenze degli inferi non prevarranno.

La prima lettura di oggi si apre con la persecuzione dei capi della Chiesa di Gerusalemme: l’uccisione di Giacomo, che sembra suscitare il consenso della “opinione pubblica” (era gradito ai Giudei), e l’arresto di Pietro. Ieri come oggi, i potenti del mondo cercano il consenso più della verità; sono interessati a “pascere se stessi”, mantenendo posizioni di potere, più che a guidare i fratelli a ciò che è vero e buono.

Il Signore, però, ci ha garantito la Sua vittoria finale a patto che, combattendo la buona battaglia, manteniamo la fede, cioè rimaniamo in comunione d’amore con Lui e Lo riconosciamo, coi fatti e nella verità, Signore della nostra vita.

Non è raro, tuttavia, che il nostro amore e la nostra fede vacillino, che, spinti dalla “logica del mondo” e dalla ricerca di consenso, cominciamo a seguire un “Dio secondo me”; anche contro l’insegnamento dei pastori che il Signore ci ha donato assicurando loro, per ciò che riguarda questioni di fede e di morale, l’assistenza del Suo Spirito. Come Pietro anche noi vogliamo indicare la via al Maestro (Mt 16,22). E come Pietro anche noi ci sentiamo rispondere «Va’ dietro a me … tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mt 16,23).

Penso che, come Pietro, tutti nella Chiesa, pastori e fedeli, abbiamo fatto almeno una volta nella vita (e magari fosse solo una volta!), l’esperienza della debolezza del nostro amore e della nostra fede al momento della prova: quante volte anche noi come Pietro abbiamo detto, magari coi fatti e non a parole, «Non lo conosco!». Anche a noi oggi il Signore chiede di amarlo così come siamo, dandoGli tutta la nostra debolezza e confidando non più sulle nostre forze, ma su di Lui e sulla Sua fedeltà: «Tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene» (Gv. 21,17 il Vangelo della vigilia).

Seguendo allora il nostro Signore tramite i pastori che ci ha donato, smettiamo di fondarci su noi stessi, sulle nostre forze, sui nostri pensieri, sul consenso di chi ci sta attorno; fondiamo la nostra certezza su Cristo e sul Suo amore: vedremo meraviglie nella nostra vita.

Fra Marco

venerdì 20 giugno 2025

Questo è il mio corpo che è per voi

«In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo» (Gen 14,18-20)

​«Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”». (1Cor 11,23-26)

​«In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. … Gesù disse loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Ma essi risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci …” … Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.» (Lc 9,11-17)

Questa domenica, solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, la liturgia della Parola ci presenta, Gesù Buon Pastore e Sacerdote, Vittima ed Altare.

Nella prima lettura, infatti, Melchìsedek, “re di Salem” (re di pace) che offre il pane ed il vino, è un typos, una figura profetica, di Gesù Vero e Sommo sacerdote che offre l’unico e definitivo sacrificio della Nuova ed eterna Alleanza: il Suo Corpo e il Suo Sangue in cui il pane e il vino vengono transustanziati (II lettura).

Oltre al “tema sacerdotale”, come dicevo, la liturgia di oggi ci presenta Gesù anche come il Buon Pastore che si prende cura dei suoi, li guida e li nutre. È così infatti che lo invochiamo nella sequenza: «Buon pastore, vero pane, / o Gesù, pietà di noi: / nutrici e difendici, / portaci ai beni eterni / nella terra dei viventi.». 

Il Vangelo insiste su questo tema: si apre con la figura di Gesù che insegna alle folle indicando loro il Regno dei Cieli: l’unica cosa necessaria per sperimentare la Pienezza della Vita. La pericope evangelica, inoltre, ci mostra Gesù intento a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il Medico viene per gli ammalati, Gesù è venuto a cercare i peccatori per condurli alla salvezza.

La Pagina di Vangelo, inoltre, nel contesto del “ministero pastorale” di Gesù, ci presenta la moltiplicazione dei pani come un altro modo in cui il Buon Pastore si prende cura di coloro che hanno messo da parte tutto il resto per seguirlo. L’evangelista Luca, ben compreso dalla liturgia odierna, intende presentarci in questo racconto un’anticipazione dell’istituzione dell’Eucarestia nell’Ultima Cena.

Due cose mi colpiscono immediatamente contemplando la scena evangelica della moltiplicazione dei pani e dei pesci: una riguarda le condizioni per partecipare al banchetto, l’altra riguarda i discepoli.

La prima cosa che noto è che l’unica condizione prevista per partecipare a questo banchetto è l’avere seguito Gesù, l’averlo ascoltato ed avere messo Lui al di sopra e prima di tutti gli altri bisogni. È questa, infatti, l’unica cosa veramente necessaria per potersi accostare degnamente al Banchetto Eucaristico: avere messo Gesù al centro della nostra vita, l’impegnarsi nell’ascolto e nella conversione (e non è poco). In quest’ottica va compreso anche il Sacramento della Riconciliazione: non va celebrato per “arrifriscarisi l’anima” per potere fare la comunione (cinque minuti prima della Messa, magari senza un adeguato esame di coscienza e quindi senza pentimento e con la convinzione di non avere peccati); ma va celebrato per chiedere e accogliere la Grazia della propria conversione. 

La seconda cosa che mi colpisce, è la volontà da parte dei discepoli di deresponsabilizzarsi nei confronti della folla: «congedali … vadano …». A questi discepoli Gesù risponde: «Voi stessi date loro da mangiare». Penso sia da  sottolineare come questo comando apra ad una “dimensione eucaristica” della vita del cristiano e soprattutto del sacerdozio ministeriale: il farsi “pane spezzato”, il dare da “mangiare” noi stessi. Oggi però voglio sottolineare particolarmente come questo comando coinvolga i discepoli più vicini a Gesù e li inviti a prendersi cura dei loro fratelli più bisognosi: troppo spesso, anche tra i cristiani, si è sempre pronti a “puntare il dito”, a richiamare gli altri alle loro responsabilità, ad accusare “chi dovrebbe fare” cercando, in tal modo, di deresponsabilizzarsi. Certo, quello della denuncia e del richiamo al dovere sociale delle Istituzioni è un ruolo importante dei discepoli, ma non può essere l’unico. Il Beato Pino Puglisi, che ha toccato da vicino il bisogno dei suoi fratelli e sorelle, è famoso per la frase «Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto». Unendoci a Cristo, allora, impariamo anche noi a farci “pane spezzato” per i fratelli. Prendiamoci cura gli uni degli altri e camminiamo insieme verso quella Vita Piena ed Eterna che Solo Gesù ci può donare.

Fr. Marco

sabato 14 giugno 2025

Lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità

«Così parla la Sapienza di Dio: “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra.» (Pr 8,22-31)

«Fratelli, … ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. » (Rm 5,1-5)

«Quando verrà lui, lo Spirito della verità, … Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». (Gv 16,12-15)

Nella solennità di Pentecoste, domenica scorsa, abbiamo celebrato il memoriale del dono dello Spirito Santo che ci inserisce nella circolarità d’Amore all’interno della Santissima Trinità. Questa domenica la Chiesa ci fa contemplare proprio questo Mistero centrale della nostra fede: l’unico Dio, Creatore del cielo e della terra, è Uno e Trino. Un solo Dio in tre Persone: il Padre (Amante) che dall’eternità genera il Figlio (Amato) donandosi totalmente a Lui e tutto ricevendo da Lui nello Spirito Santo (Amore).

«Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato …» (Gv 17,6) La piena rivelazione di Dio agli uomini è elemento fondamentale dell’annuncio salvifico del nostro Signore Gesù Cristo. Il Figlio eterno del Padre, Verbo fatto uomo,  ci ha rivelato l’eterna processione d’amore in cui le tre Persone divine hanno tutto in comune tranne la loro identità personale (l’essere rispettivamente Padre, Figlio e Spirito). Il nostro Dio è, quindi, già al suo interno, relazione d’Amore. Ciò ha una grande importanza per noi.

Il fatto che il Dio Vivo e Vero sia Uno e Trino, Eterna relazione d’Amore, infatti, significa che l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, è per costituzione e già alla sua origine relazione: è fatto per la relazione ed è felice/realizzato solo nella relazione. L’uomo è immagine del Dio trinitario e come tale si realizza solo quando permette all’amore-relazione che è in lui di manifestarsi. 

Citando Padre Alberto Neglia (O. Carm.), mio docente di Spiritualità: «Come il Padre è nell’amore sorgività pura, così Egli dona alla creatura umana di essere nel tempo sorgente di amore. Questo significa che l’uomo è costitutivamente capace di amare.  Amato dall’eternità egli è fatto per amare. … amando, l’uomo riproduce in qualche modo la creatività del Padre. L’amore fa sbocciare la vita. L’uomo è ancora immagine del Dio Trinitario perché è stato creato per mezzo del Figlio, in vista di Lui ed in Lui (Col  1,15-17). Come in forza dell’accoglienza pura … il Figlio è immagine perfetta del Padre, così l’uomo è immagine di “Dio Figlio”, in quanto si fa  recettività, cavità capace di accogliere, fino alla trasparenza, l’amore eternamente amante. Nel Figlio amato l’uomo è costitutivamente oggetto di amore, apertura radicale, “uditore della Parola”. Chi non riceve l’amore, non esisterà mai veramente: la povertà che accoglie è la condizione dell’amore … Chi non sa accogliere, non sa dire grazie, non sarà mai veramente e pienamente umano. … Nel più profondo del suo essere creaturale … l’uomo ha bisogno dell’altro. … Lo Spirito Santo imprime nella creatura umana un certo riflesso di quello che Egli è nel mistero di Dio. Come fra l’Amante e l’Amato Egli è l’eterno legame di unità ed insieme Colui che fonda l’apertura infinita del loro amore, lo Spirito è la fantasia di Dio. L’uomo creato ad immagine di “Dio Spirito” è unità vivente di questo duplice movimento dell’amore: amando, egli si fa amare; lasciandosi amare, egli ama. … Lo Spirito, presente nell’uomo, lo spinge continuamente a spezzare il cerchio dell’amante e dell’amato, a fuggire la cattura dell’esclusività, per andare verso il bisogno di amore dell’altro, di tutti gli altri.»

Il cristiano conformato a Cristo e santificato dallo Spirito, porta quindi in sé il mistero della Trinità d’Amore e lo manifesta al mondo. Contemplando il suo Amore Trinitario e ciò che esso è capace di compiere in chi lo accoglie, il Signore ci conceda di realizzare pienamente la nostra vocazione all’amore per potere giungere alla Vita piena ed eterna per la quale siamo stati pensati fin dall’eternità.

Fr. Marco.

 

sabato 7 giugno 2025

Se uno mi ama, ... il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui

 «Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. » (At 2, 1-11)

« … voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,8-17)

«Se mi amate osserverete i miei comandamenti … il Paràclito, lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (Gv 14, 15-16. 23-26)

Con la solennità di Pentecoste giunge al suo culmine il Tempo Pasquale: quei cinquanta giorni che per la liturgia sono come un grande giorno in cui celebriamo il memoriale della nostra redenzione. Il nuovo patto, la Nuova Alleanza, profetizzata da Ger 31, 31-34, giunge a pienezza: la Legge Nuova di Dio è effusa nei nostri cuori rendendoci capaci di osservarla.

Nella prima lettura della Messa del giorno, tratta dagli Atti degli Apostoli, l’evangelista Luca ci racconta l’effusione dello Spirito sulla Chiesa riunita nel cenacolo come un’“Anti-Babele” (Cf. Gen 11). Si realizza il miracolo della comunione d’amore che non è confusione.

«Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole» (Gn 11,1) Il racconto della torre di Babele nel libro della Genesi descrive quasi una globalizzazione ante litteram in cui tutti gli uomini sono assoggettati ad un “pensiero unico”. Il “peccato di Babele” è volersi “fare un nome” senza Dio, anzi piuttosto contro Dio (una città e una torre che tocchi il Cielo). Una sorta di “regno degli uomini” che si oppone al Regno di Dio. Eliminato Dio dalle loro esistenze, sradicati della fonte della Vita, gli uomini cadono in una confusione che non è comunione; dimenticano chi sono e quindi non sono più in grado di comprendersi.

Con l’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste, la Legge Nuova effusa nei cuori, Dio torna ad occupare il posto centrale nell’esistenza dell’Umanità Nuova: gli uomini tornano a comprendersi e per l’umanità è possibile tornare a vivere la comunione immagine della Comunione Trinitaria, quella che il Venerabile Mons. Tonino Bello chiama “convivialità delle differenze”.

«Ciascuno li udiva parlare nella propria lingua». Le differenze non sono annullate. Ciascuno mantiene propria identità, ma questo non è ostacolo alla comunione. Ciò che permette la comunione è l’Amore, l’avere accolto l’Amore di Dio nella propria vita e, alla luce di questo, amare il proprio prossimo così com’è senza annullare la propria identità. L’amore, infatti non annulla le differenze. Al contrario le esalta perché ognuno è amato per ciò che è, per le sue peculiarità proprie. Ecco perché il primo e più alto dono pasquale è la Pace: la piena riconciliazione con Dio che porta alla riconciliazione tra gli uomini.

Lo Spirito è, quindi, il compimento della Nuova Alleanza. È Colui che rende possibile vivere secondo la Legge di Dio. Nel Vangelo Gesù afferma: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti». Solo se abbiamo in noi l’Amore, infatti, possiamo osservare i comandamenti. È lo Spirito, l’Amore di Dio effuso nei nostri cuori, che ci rende capaci di osservare i comandamenti.

Nella seconda lettura, poi, San Paolo ci dice che lo Spirito effuso nei nostri cuori ci libera da ogni paura e ci rende “figli adottivi”; non schiavi, ma figli capaci di rivolgerci a Dio chiamandolo “Papà”.

Lo Spirito, infatti, lo sappiamo bene, è la Terza Persona della Santissima Trinità; è “Signore e da la vita”, come diciamo nel Credo. Non è “un’energia”, ma una Persona divina, uno col Padre e il Figlio. Ricevendo lo Spirito Santo entriamo nel mistero della SS. Trinità. Mi piace la “descrizione” che della SS. Trinità fa S. Agostino: l’Amante (il Padre), l’Amato (il Figlio) e l’Amore (lo Spirito). Lo Spirito è, quindi, l’Amore tra Padre e Figlio, la reciproca e continua donazione di sé che il Padre fa al Figlio e il Figlio al Padre. Oggi, nella Pentecoste, noi celebriamo il nostro inserimento in questa circolarità d’amore.

Comprendiamo, allora, come diventa possibile ciò che la Parola di Dio ci ha detto oggi: l’Amore che è Dio è effuso nei nostri cuori! Non esistono più barriere insormontabili: nulla può separare coloro che si amano; la comprensione è possibile perché si vuole comprendere, perché si ascolta davvero; spinti dall’Amore, non sentiremo come gravosa l’osservanza dei comandamenti, ma come figli amati e amanti non desidereremo altro che fare felice il Padre realizzando pienamente la nostra vita.

Fratelli e sorelle, tutto questo è già presente, lo Spirito che il Padre ha effuso nei nostri cuori per l’opera del Figlio, attende solo che noi diamo la nostra disponibilità perché la nostra vita possa giungere alla pienezza.

Fr. Marco

sabato 31 maggio 2025

Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi.

«Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”» (At 1,1-11)

«… abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.» (Eb 9,24-28;10,19-23)

«… alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.» (Lc 24,46-53)

​​Ogni anno nella festa dell’ Ascensione contempliamo il Signore Gesù Cristo che porta nel seno del Padre la nostra umanità glorificata. Gesù, il Verbo eterno del Padre, che incarnato nel grembo della Vergine Maria ha assunto la nostra natura umana ed è nato a Betlemme; lui che ha vissuto in mezzo a noi condividendo le nostre miserie (tranne il peccato); che ha offerto la sua vita sulla croce per amore, adesso, dopo la resurrezione e dopo avere istruito i suoi, ascende al Cielo.

«Abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio» L’autore della lettera agli Ebrei nella seconda lettura di oggi ci invita ad avere fiducia: abbiamo “nella casa di Dio” un Sommo Sacerdote che ha sperimentato e quindi conosce e compatisce le nostre miserie e i nostri condizionamenti. Siamo invitati, quindi, ad avere Fede, a vivere con “il Cuore puro”, a testimoniare la nostra Speranza.

La Fede, infatti, si manifesta in una vita “con il Cuore sincero e purificato”, cioè non “contaminato”, “unificato”, non diviso tra vari “amori”, ma tutto rivolto a Dio e, quindi, ai fratelli; una vita all’insegna della Carità, animata dalla Speranza certa che il nostro destino è nei cieli dove raggiungeremo il nostro Signore Gesù Cristo. La Speranza cristiana fondata sulla Fede non è la speranza aleatoria di cui solitamente si  afferma: “Chi di speranza vive, disperato muore”; non è una speranza incerta e senza fondamento, la speranza degli illusi. La Speranza Cristiana è la Speranza Certa (come la chiama S. Francesco) di chi sa che è degno di fede colui che ha promesso: Cristo che è la Via la Verità e la Vita.

«Ordinò loro … di attendere l’adempimento della promessa del Padre». La Parola di Dio di oggi sottolinea l’atteggiamento dell’attesa che sempre caratterizza la Speranza: attesa dell’adempimento della Promessa, del dono dello Spirito; l’attesa del ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi quando il Signore «verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?». Gli angeli ricordano ai discepoli che la loro deve essere un’attesa operosa. La virtù della Speranza, infatti, non è ciò che Marx chiamava “l’oppio dei popoli”, ma ci rimanda ad un impegno concreto perché questo mondo si trasformi nel Regno dei Cieli.

«Mentre li benediceva, si staccò da loro …» Il brano del Vangelo, infine, ci fa conoscere che tutta la nostra vita, se lo vogliamo, è sotto la benedizione del Nostro Signore: Gesù entra in Cielo, nell’eternità di Dio, “mentre” benedice la Sua Chiesa, non “dopo averli benedetti”: la Sua benedizione, quindi, non è conclusa. La benedizione di Cristo continua a riversarsi sui suoi discepoli disposti a “prostrarsi”, a riconoscerlo Signore della loro vita.

Il Vangelo di Luca si conclude lì dove era iniziato (Cfr Lc 1,5ss): nel Tempio e in un contesto di lode, con la sottolineatura della grande gioia che pervade gli apostoli. Una gioia dovuta sicuramente all’esperienza misteriosa della costante presenza del Signore: «l’Ascensione – infatti – non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi.» (Papa Francesco, Udienza Generale, Aprile 2013)

Tornando alla nostra quotidianità, allora, viviamo la nostra vita tenendo sempre presente che  la nostra meta è il Cielo; confidiamo nella Benedizione eterna del nostro Signore, perché il mondo attorno a noi, anche grazie alla nostra testimonianza, si trasformi nel Regno di Dio.

Fr. Marco

sabato 24 maggio 2025

Vi lascio la pace, vi do la mia pace

«Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. … È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie» (At 15,1-2.22-29)

«La città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. … In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio» (Ap 21,10-14.22-23)

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. … il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.» (Gv 14,23-29)

Avvicinandosi la solennità della Pentecoste, in questa VI domenica di Pasqua, la Parola di Dio ci invita a cercare ciò che è essenziale nella nostra vita e a non lasciarci prendere da paura e turbamento. Lo Spirito Santo, l’Amore che è Dio, sarà riversato nei nostri cuori e ci insegnerà ogni cosa: ciò che è essenziale, ciò che è importante. Il “di più”, ciò che è motivo di paura e turbamento, non viene dall’Amore. Dove c’è Amore, infatti, non c’è paura e turbamento.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola.» Oggi il Signore ci dona un criterio per scoprire se veramente lo amiamo: osservare la Parola, fidarci di Lui e quindi fare ciò che ci chiede. È questo ciò che conta. Anche a noi può capitare l’esperienza raccontata nella prima lettura: “falsi pastori” che vengono a sconvolgere i nostri animi imponendoci pesi e comportamenti gravosi o chiedendoci l’adesione a questo o quel movimento quasi che la nostra salvezza dipenda da essi.

«È parso bene, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie». Le parole del primo concilio di Gerusalemme, riportate nella prima lettura, ci invitano a tornare a ciò che è necessario, all’essenziale, e a non lasciarci opprimere da obblighi e gravami che se da una parte rendono la nostra vita più pesante, dall’altra ci fanno sentire “a posto” e ci distolgono da ciò che realmente conta; un atteggiamento spesso rimproverato da Gesù: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgredite la giustizia e l'amore di Dio.» (Lc 11,42)

Nella pagina evangelica di questa domenica, preparando i discepoli alla sua ascensione al Cielo, il Maestro ci presenta ciò che veramente è necessario nella vita dei credenti: amarLo, ascoltare la Sua Parola e vivere la comunione con Lui. Tutto il resto può anche avere il suo posto, purché non sia fonte di turbamento e paura, chiaro sintomo che non viene da Dio.

«… noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.» Questo è ciò che avverrà quando, accostandoci alla Comunione, riceveremo in noi il Signore vivo e vero, inseparabile dal Padre e dallo Spirito Santo. È anche ciò che avviene ogniqualvolta accogliamo nel nostro cuore lo Spirito Santo e ci lasciamo istruire da Lui su come comportarci.

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.» La presenza in noi del Signore è fonte di una Pace che il mondo non conosce, della Vera Pace che è il dono pasquale per eccellenza. Una pace che non è solo assenza di conflitto, ma vera riconciliazione. Questa Pace è il perdono del Padre, la comunione con Lui, si diffonde anche nelle nostre relazioni. La Pace di Cristo, però non è neanche assenza di tribolazioni. È, invece, forza nelle tribolazioni, consapevolezza che Cristo è più forte del mondo con le sue tribolazioni e che queste, quindi, non potranno prevalere.

Osserviamo la Parola di Cristo, cerchiamo l’amore di Lui al di sopra di tutto, accogliamo la Sua adorabile presenza nella nostra vita. Sperimenteremo la vera Pace e saremo suoi testimoni nel mondo.

Fr. Marco

sabato 17 maggio 2025

Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri

 «Non appena furono arrivati, riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede. » (At 14, 21b-27)

​«E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” » (Ap 21,1-5)

«Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. » (Gv 13, 31-33.34-35)

La liturgia della Parola della quinta domenica di pasqua anno C, è caratterizzata dalla tematica della “novità”: il Signore fa cose nuove, ci dà un comandamento nuovo, ci rende nuovi. L’aggettivo “nuovo” si oppone a “vecchio”, “obsoleto”, aggettivi che identificano qualcosa che ormai non è più efficace. Nuovo è, allora, qualcosa di efficace, migliore. L’aggettivo “nuovo”, inoltre, ci apre alla speranza, accende le nostre attese: da qui la gioia che accompagna l’inizio di un nuovo anno.

«Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Nella seconda lettura abbiamo sentito che Signore fa cose nuove, inedite. Non a caso il “comandamento nuovo” ci viene consegnato nell’ultima Cena, dopo che Gesù avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (cf. Gv 13, 1); dopo che Giuda è uscito nella notte per compiere gli ultimi atti che porteranno Gesù alla donazione totale di sé sulla croce.

«Vi do un comandamento nuovo» I discepoli conoscevano sicuramente il comandamento dell’amore espresso nell’Antico Testamento: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lev. 19,18). Gesù stesso nel Vangelo lo presenta, insieme all’amore per Dio, come compendio di tutta la legge (Cfr. Mt 22,37-39). Amare il prossimo come se stessi è già arduo: sono chiamato a fare al prossimo ciò che vorrei fosse fatto a me: come vorrei essere soccorso nel bisogno, così devo soccorrere il fratello; come vorrei essere accolto, così devo accogliere il fratello; come voglio essere perdonato quando sbaglio, così devo perdonare il fratello. Il comandamento che ci dà oggi Gesù, però, è “nuovo” perché supera l’antico: parametro di confronto non è più l’amore per se stessi, ma l’amore che Gesù ci ha mostrato in tutta la sua vita di donazione che si conclude con l’estrema donazione sulla Croce. L’amore per se stessi non è più il limite all’amore per il fratello: Gesù ci ha donato un amore capace di espropriarsi, di dimenticarsi di se, di donarsi totalmente e gratuitamente.

«Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». La novità del comandamento, tuttavia, non è solo nella formulazione, ma anche nella capacità nuova che Gesù ci dà. Il “come” che leggiamo nel Vangelo, infatti, ha sicuramente il significato di avverbio di modo: «Allo stesso modo in cui io ho amato voi …»; tuttavia il “come” ha anche il valore di congiunzione causale: «Siccome (poiché) io ho amato voi, anche voi amatevi gli uni gli altri». Perché possiamo Amare come Gesù ci Ama, è necessario accogliere il Suo amore, credere nel Suo Amore, lasciare che questo Amore ci raggiunga nei sacramenti e non opporre resistenze alle mozioni dello Spirito.

Per l’uomo “carnale”, l’uomo vecchio non vivificato dallo Spirito e non innestato nella morte e resurrezione di Cristo, è già arduo amare il prossimo come se stesso; tanto più non sarà capace di amare come Gesù, espropriandosi, facendosi pane spezzato. L’uomo nuovo, invece, l’uomo “spirituale” morto e risorto con Cristo che ha ricevuto lo Spirito di Dio, costui trova in sé una forza sconosciuta che gli permette di amare come Gesù ci ama. Per questo al capitolo 15 del Vangelo di Giovanni il Maestro ci esorta: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9). Innestati in Cristo con il Battesimo, abbiamo in noi lo Spirito Santo, l’Amore che è Dio, che ci rende capaci di Amare. Spesso, però, questa capacità è sopita, come un seme gettato che non può portare frutto senza le condizioni essenziali al suo sviluppo.

«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli» Dalla nostra disponibilità ad accogliere la Vita nuova in Cristo e a vivere il comandamento nuovo dell’Amore, dipende non solo la nostra credibilità, ma anche il nostro discepolato: solo amandoci gli uni gli altri come Gesù ci ama possiamo dirci ed essere riconosciuti suoi discepoli. Solo accogliendo realmente Gesù come nostro Maestro e Signore potremo sperimentare la Vita piena ed eterna che Egli ci ha regalato.

Come fare a essere uomini e donne “nuovi” capaci di vivere il comandamento nuovo? La prima cosa è lasciarci Amare e credere nell’Amore di Gesù fidandoci di Lui. Ritengo possa esserci d’aiuto l’esempio di San Francesco d’Assisi. Il Serafico Padre, infatti, si lascia amare da Gesù, crede veramente nel Suo Amore e lo accoglie come maestro; si pone dinanzi il Vangelo in atteggiamento di estrema obbedienza: compie immediatamente ciò che comprende e, facendo, comprende sempre meglio. La stessa cosa vale per il comandamento dell’Amore, per la vita nuova presente in noi: nutrendoci dei sacramenti, segni efficaci dell’Amore di Dio per noi, amiamo come meglio possiamo, amiamo nella misura in cui siamo capaci; ciò ci trasformerà, “dilaterà” la nostra capacità di amare, ci farà sempre più nuovi. Dicendolo con S. Agostino: «È questo amore che ci rinnova, rendendoci uomini nuovi, eredi del Testamento nuovo, cantori del cantico nuovo». Solo così saremo riconoscibili come discepoli del Signore e il nostro annuncio sarà credibile.

Permettetemi, prima di concludere, di invitarvi a pregare per Papa Leone XIV che oggi inaugura solennemente il suo pontificato. Il Signore lo custodisca sempre nel Suo Amore perché possa essere testimone credibile della Resurrezione di Cristo e convertire il mondo.

Fr. Marco