sabato 16 novembre 2024

In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga

 «In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. … Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.» (Dn 12,1-3)

«Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi.» (Eb 10,11-14.18)

«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.» (Mc 13,24-32)

Oggi, trentatreesima domenica del tempo ordinario, la Parola ci presenta “le cose ultime” e la Speranza finale. Domenica prossima, infatti, con la solennità di Cristo Re, si concluderà l’anno liturgico.

«Vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria». La letteratura e filmografia contemporanei ci hanno abituato a pensare alla fine del mondo come qualcosa di catastrofico e tragico. Per il cristiano, invece, non è la fine, bensì l’inizio della Vita Piena ed Eterna: la venuta gloriosa del nostro Signore Gesù Cristo e la ricapitolazione della storia che confluisce nell’Eternità. Un’eternità di gioia per coloro che hanno saputo attenderla e hanno vissuto tenendo costantemente lo sguardo su questo orizzonte; un’eternità di rovina (la “morte secunda” la chiamerebbe S. Francesco) per coloro che si sono lasciati rinchiudere negli stretti orizzonti del “mondo” ed hanno vissuto secondo la logica egoistica che il mondo insegna.

«In quel tempo …»; «In quei giorni …». Il tempo e i giorni cui si riferiscono la prima lettura e il Vangelo, sono quelli in cui l’iniquità ha raggiunto il suo culmine. Umanamente parlando, non si scorge più speranza: la misura è colma, le “tenebre” sembrano averla vinta. Proprio in quel momento, però, quando sembrerebbe che tutto sia perduto, il cristiano sa che si manifesterà la Vittoria di Cristo: le “tenebre”, infatti, sono già sconfitte; il Signore Gesù Cristo ha già vinto il peccato, la morte e il mondo. Ora si attende solo la manifestazione finale di questa vittoria (II lettura).

«In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga.» È forte la tentazione di riconoscere nei nostri giorni “quei giorni”, il culmine dell’iniquità: Le guerre e gli orrori vicini e lontani che quotidianamente ci sono riportati dai telegiornali possono orientare in tal senso il nostro pensiero. Oggi nel Vangelo, con “la parabola del fico”, Gesù ci invita a sapere scorgere i “segni dei tempi”: pur senza cadere in futili millenarismi, siamo chiamati a fare attenzione per non farci trovare impreparati. Tentazione opposta ai millenarismi apocalittici, infatti, è quella di immaginare la Venuta finale di Cristo in un lontano futuro, quella di pensare che abbiamo ancora tempo … Facciamo attenzione perché ciascuno di noi vedrà la venuta del Signore e dovrà rendere conto della sua vita. La fine del nostro tempo in questo mondo, infatti, di cui nessuno conosce l’ora eccetto il Padre, coinciderà per noi con la fine del mondo. È oggi, quindi, in questo tempo, che siamo chiamati a scegliere con chi schierarci: se unirci al corteo trionfale di Cristo riconoscendo la sua Signoria e, quindi, obbedendo alla Sua volontà ; o schierarci con ciò che si oppone a Lui e procurarci la rovina eterna quando la vittoria di Cristo sarà manifesta.

Con il Mistero Pasquale di Cristo sono iniziati gli “ultimi tempi” in cui celebriamo sempre “in attesa della Sua venuta” (vedi il Mistero della Fede). Gli eventi della nostra vita, allora, diventano occasioni perché possiamo riconoscere l’imminenza della Sua venuta. Per questo è importante mantenere un clima di costante vigilanza; non a caso il Signore si rifiuta di rivelare il “quando”: per noi non è importante sapere il “quando”, ma è fondamentale mantenere desta la nostra attesa e il nostro desiderio perché, al momento dell’Incontro Finale, la nostra gioia sia piena. 

Fr. Marco

sabato 9 novembre 2024

Tutto diamo a Colui che tutto si è dato a noi

 «Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.» (1Re 17,10-16)

«Ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso.» (Eb 9,24-28)

«In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,38-44)

Domenica scorsa, rispondendo allo scriba che lo interrogava, Gesù ci ha indicato il primo e fondamentale comandamento: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza […] Amerai il tuo prossimo come te stesso». La Parola di Dio di questa domenica, trentaduesima del Tempo Ordinario, ci presenta come vivere il duplice comandamento dell’amore che riassume in sé tutta la Legge e i Profeti.

Nella prima lettura, infatti, ascoltiamo di una vedova poverissima che, in tempo di carestia, fidandosi della Parola di Dio annunciata da Elia, non rifiuta di condividere con il Profeta il poco che ha: il Signore provvederà. Proprio per questa fiducia nella Parola sulla quale scommette tutto quello che ha, la sua vita e quella del figlio saranno salvate.

Nella pagina di Vangelo è ancora una vedova che viene presentata dal Maestro come modello di comportamento. Una vedova capace di amare Dio con tutto se stessa: non tiene per sé il poco che possiede, ma dona tutto quanto aveva per vivere. Non importa se ciò che possiamo dare sia tanto o poco: il Signore non chiede tanto, chiede tutto! Ciò che conta è che doniamo con tutto il cuore, che doniamo con un amore pieno per Lui, che gli consegniamo tutta la nostra vita.

Quanto spesso, invece, noi ci comportiamo come i ricchi che donano parte del loro superfluo. Tratteniamo per noi, vogliamo “salvarci la vita” e ci guardiamo bene dal consegnarla al Signore. Per Dio abbiamo solo i ritagli di tempo, misuriamo il dono della nostra vita: « … fin qui, ma non oltre». Lui, Amore illimitato, accoglie ciò che noi vogliamo dargli, ma finché non gli consegneremo tutto, non potrà fare della nostra vita il capolavoro che vorrebbe.

«Guardatevi dagli scribi […] Essi riceveranno una condanna più severa». Oltre l’esempio positivo dell’amore totale della vedova e l’esempio negativo dell’amore parziale dei ricchi, quest’oggi la pericope evangelica, nella sua versione estesa, si apre con l’ammonizione di Gesù a guardarsi dall’ipocrisia di quanti, sotto un’apparenza religiosa, non amano per niente Dio, ma solo il proprio Io e usano per la propria gloria persino le cose sante. L’amore per Dio e l’amore per l’Io, infatti, si escludono a vicenda e se l’Io non viene messo al servizio di Dio, si finisce per mettere Dio al servizio dell’Io. Di loro dice Gesù che riceveranno una condanna più severa.

Sull’esempio della vedova del Vangelo, guardiamo, allora, Gesù che, accogliendo su di sé la conseguenza del peccato del mondo, tutto si è donato a noi e niente ha tenuto per sé. Impariamo anche noi a donare a Dio “tutto quanto abbiamo per vivere”: vedremo come il Signore sarà capace di moltiplicare il poco che noi gli consegniamo facendo delle nostre vite quel capolavoro per le quali le ha create. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

sabato 2 novembre 2024

Non c’è comandamento più grande

 «Temi il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, ... tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni.» (Dt 6,2-6)

«Cristo invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.» (Eb 7,23-28)

«Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi». (Mc 12,28-34)

Questa domenica, trentunesima del Tempo Ordinario, la Liturgia della Parola ci presenta lo spirito di tutta la legge e i profeti: la relazione con Dio. 

«Ascolta … Amerai …» Il primo e fondamentale comandamento, che riassume in sé tutta la legge e i profeti è, infatti, vivere la relazione d’amore con l’unico Signore, l’unico vivo e vero, l’unico capace di salvarci, di donarci la Vita.

«Il Signore nostro Dio è l’unico Signore» Quante volte mettiamo la nostra vita sotto altre “signorie”: il lavoro, il benessere, la casa … Non di rado, per queste realtà elevate ad idoli sacrifichiamo noi stessi, le nostre energie e ciò che di più prezioso abbiamo (tempo, affetti …). Da questi idoli cerchiamo una Vita che però non possono darci. Più spesso ancora è il nostro Io a volersi ergere a signore: abbiamo la pretesa di essere signori della nostra vita, di decidere da soli ciò che è bene e ciò che è male. Spesso vogliamo che anche i fratelli si pieghino alla nostra signoria: vogliamo comandare, sottomettere gli altri a noi. Nessuno, tuttavia, può darsi da solo la Vita che cerca; Gesù altrove lo dice chiaramente: «… chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?» Mt 6,27.

Solo il Signore nostro Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, può darci la Vita. Ecco allora l’esigenza di vivere sotto la sua Signoria, di ascoltare e mettere in pratica i suoi comandamenti. Non da schiavi, però, ma da figli che si sanno amati dal Padre e che corrispondono a questo amore. Un amore “assoluto”, sciolto da ogni condizione, pieno: con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza; un amore che non lascia spazio ad altri idoli, che detronizza il nostro Io.

È possibile, però, corrispondere all’immenso e gratuito amore di Dio? Un Amore che ci ha pensati e voluti dall’eternità, che ci ha chiamati all’esistenza, che ci ha salvati donando tutto se stesso sulla croce, che ogni giorno si consegna nelle nostre mani nell’Eucarestia … Nessuno può dare a Dio il corrispettivo per i suoi immensi doni. Ecco perché il Maestro aggiunge una seconda parte al comandamento dell’amore: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».

Solo amando i fratelli che il Signore mi mette accanto, amandoli come “un altro me stesso”, è possibile amare il Dio vivo e vero. Amando i fratelli che mi stanno accanto, infatti, amo il Padre che li ha pensati e creati per amore; amo il Figlio che li ha salvati dando se stesso per ciascuno di essi e ha voluto identificarsi con i più piccoli e fragili (« … l’avete fatto a me» Cfr. Mt 25,40); amo lo Spirito Santo che tutti ci pervade e ci rende un solo corpo.

Se faremo così, attingeremo alla Sorgente della Vita, avremo una Vita che il  mondo non conosce e non può darci: vivremo la Vita dei risorti e non avremo più alcun timore. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

giovedì 31 ottobre 2024

Quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui

« … ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello”». (Ap 7, 2-4.9-14)

«… noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.» (1Gv 3,1-3)

«Beati i poveri in spirito, … Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.» (Mt 5, 1-12)

La Parola di Dio della solennità di Tutti i Santi si apre con l’immagine di una moltitudine immensa: sono tutti i nostri fratelli e sorelle nella fede che hanno realizzato la loro vita conformandosi a Cristo. Non solo i santi che la Chiesa ha canonizzato, cioè posti a modello, misura (canone) per noi, ma anche quelli anonimi che nel silenzio della loro quotidianità hanno saputo vivere la logica delle beatitudini e non si sono conformati alla mentalità del mondo.

Questa solennità è soprattutto per loro. Ma è anche per noi, per ricordarci che siamo tutti chiamati alla santità, alla beatitudine, a vivere secondo la dignità di figli di Dio facendo emergere nella nostra vita l’immagine del Figlio per eccellenza. 

«La salvezza appartiene al nostro Dio …» Così grida la moltitudine immensa riconoscendo che la realizzazione della nostra vita, la santità, è prima di tutto un dono gratuito di Dio e non merito dei nostri sforzi. Ciò che il Padre chiede a noi è solo di accogliere questo dono e farlo fruttificare. Ecco dove entra in campo il nostro impegno: nel fare sì che la Grazia non venga vanificata; nell’essere pronti a comprendere e fare la volontà di Dio nell’attimo presente; nel rifiutare la logica dell’egoismo, dell’edonismo, del potere e dell’avere, per assumere, invece, la logica dell’altruismo, dell’amore gratuito e disinteressato che si fa servizio e perdono.

«…  Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione …» ; «Beati i perseguitati per la giustizia …» Vivere come Figli di Dio, conformarsi alla logica del Beatitudini, non è mai accetto al mondo la cui logica è totalmente altra. Per questo i santi di tutti i tempi hanno affrontato la persecuzione. A volte si è trattato di persecuzione violenta come quella di Diocleziano (cui si riferisce l’autore dell’Apocalisse) o quella subita dai martiri di tutti i tempi (ancora oggi tanti  nostri fratelli subiscono il martirio, per esempio in Siria, Iraq e Nigeria), Più spesso, però, soprattutto qui in Occidente si tratta di una persecuzione subdola tesa a screditare la Chiesa e i suoi ministri; ancora più frequente è l’insinuazione che “il nemico dell’umanità” ci mette nel cuore, anche attraverso i nostri fratelli, che la santità non fa per noi; che non c’è niente di male a scendere a compromessi … d’altronde, bisogna aggiornarsi!; o, ancora, la suggestione: «Se Dio veramente ti amasse, non permetterebbe questa sofferenza …» ; tutte cose che ci allontanano dalla nostra piena realizzazione e ci riducono a vivere una vita senza senso, una vita che non è Vita tanto che non di rado sentiamo i nostri fratelli lamentarsi: «Ma è vita questa?». Guardando all’esempio dei santi, non temiamo la persecuzione del mondo che, non avendo riconosciuto il nostro Maestro, non potrà certo accettare la vita secondo i Suoi insegnamenti, ma perseveriamo nell’adempimento della Volontà di Dio, nell’accoglienza della Sua Grazia, e giungeremo a quella Gioia piena che il Signore è venuto a regalarci.

In questa giornata della santificazione universale, infine, voglio riportarvi un pensiero di Papa Francesco tratto dalla Gaudete et Exultate: « Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente. In realtà, fin dalle prime pagine della Bibbia è presente, in diversi modi, la chiamata alla santità. Così il Signore la proponeva ad Abramo: «Cammina davanti a me e sii integro» (Gen 17,1).» (Gaudete et Exultate, 1) Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

sabato 26 ottobre 2024

Coraggio! Alzati, ti chiama!

 «Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il  cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla.» (Ger 31,7-9)

«Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: “Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato”, gliela conferì come è detto in un altro passo: “Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek”». (Eb 5,1-6)

«Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.» (Mc 10,46-52)

Questa domenica, XXX del tempo ordinario, la liturgia della Parola si apre con un messaggio di speranza: «Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele». Nella pagina di Vangelo, infatti, Gesù ci viene presentato ancora una volta come colui che viene a cercare e salvare “il cieco e lo zoppo”, quanti sono ridotti a mendicare la vita. Il Salvatore che viene a radunare tutta l’umanità per farla entrare nella pienezza della Vita.

L’evangelista Marco racconta che Gesù sta recandosi a Gerusalemme, la città santa simbolo della comunione con Dio, e attraversa Gerico, la città simbolo di peccato e della resistenza a Dio (Cf. Gs 6,1-21), consegnata da Dio a Giosuè. Non è un caso se nella parabola “del buon samaritano” il tale incappato nei briganti sta scendendo da Gerusalemme a Gerico (Lc 10,25-37): la città di Gerico è simbolo dell’autoaffermazione contro Dio.

Mentre Gesù sta uscendo da Gerico, Bartimeo, cieco e ridotto a mendicare lungo la strada, lo riconosce e comincia a chiamarlo con il titolo messianico di Figlio di Davide. Bartimeo racchiude in sé l’immagine dell’umanità che, resistendo a Dio per affermare se stessa, si trova cieca, lontana dalla Luce della Vita, e mendicante. Pur nella sua cecità, tuttavia, quest’uomo riconosce in Gesù l’unico che può salvarlo, che può strapparlo dalla sua miseria e restituirgli la Luce che aveva perduto: « … che io veda di nuovo!».

«Coraggio! Àlzati, ti chiama!» Gesù è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto, come dirà Luca nel racconto di Zaccheo (Lc 19,1-10), per questo Bartimeo può riconoscere in Lui il salvatore. All’uomo nella miseria il Signore chiede di farsi coraggio e, lasciando le proprie misere sicurezze (la coperta), rispondere alla chiamata per lasciarsi risollevare dalla propria condizione e vivere la vita dei risorti (alzarsi è il verbo della resurrezione).

«Che cosa vuoi che io faccia per te?» Come domenica scorsa, Gesù si mostra come colui che non è venuto per farsi servire ma per servire con quel servizio regale che è proprio di Dio perché proprio dell’Amore. Con questa domanda, nondimeno, Gesù vuole anche che Bartimeo completi la sua “confessione di fede”: lo aveva riconosciuto “figlio di Davide”, quindi il Messia atteso, e rabbunì (mio maestro); ora manifestando la sua richiesta deve riconoscerlo Signore. Solo Dio, infatti, avrebbe potuto restituirgli la vista. Chiedere a Gesù di farlo tornare a vedere, equivale quindi a riconoscerlo Dio e manifestare fiducia in lui.

«Va’, la tua fede ti ha salvato» A questo punto, guarito, Bartimeo che ha incontrato la Luce vera che viene nel mondo (cf. Gv 1,9), non può che mettersi gioiosamente alla sequela.

Anche noi siamo invitati quest’oggi a fare lo stesso percorso: riconoscendoci bisognosi della misericordia del Padre, siamo chiamati a lasciare le nostre misere sicurezze a cui tanto facilmente attacchiamo il cuore, e fidandoci di Gesù, metterci alla Sua sequela e vivere la Vita dei Risorti. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

sabato 19 ottobre 2024

Il Figlio dell’uomo è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti

 «Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.» (Is 53,10-11)

« … non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.» (Eb 4,14-16)

«Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,35-45)

​La Parola di Dio della XXIX domenica del tempo ordinario, ci fa crescere nella conoscenza del nostro Maestro perché noi possiamo sempre più lasciarci conformare a Lui.

La liturgia della Parola di oggi si apre con un passaggio fondamentale del Carme del Servo Sofferente (Is 52,13-53,12): un uomo che, accogliendo in sé la volontà divina, si fa solidale con i peccatori assumendo su di sé la conseguenza del loro peccato. In questo modo ottiene la salvezza per sé e per coloro che per i quali intercedeva («per le sue piaghe siamo stati guariti»). È facile per noi vedere in quest’uomo una profezia di Cristo: è Lui il Servo che fa della Sua vita un offerta, che accoglie su di sé tutto il male del mondo inchiodandolo ad una croce perché a noi possa venire la Vita.

Nella pagina di Vangelo, ascoltiamo che Gesù, mentre si sta dirigendo a Gerusalemme, istruisce i discepoli su quello che lì dovrà patire. In questo contesto, assistiamo alla “vanagloriosa” richiesta di Giacomo e Giovanni: incapaci di comprendere ciò che Gesù sta annunciando, chiedono al Maestro un posto di gloria. Il tono della richiesta sembra quasi di pretesa: «vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo».

Davanti a tale richiesta, contrariamente agli altri dieci apostoli (forse altrettanto “vanagloriosi”), il Maestro non si scandalizza, ma orienta correttamente il desiderio di grandezza che emerge dal cuore dell’uomo e insegna ancora una volta, prima con l’esempio e poi con la parola, che il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire: «Che cosa volete che io faccia per voi?». La risposta di Gesù è quella di chi, pienamente libero, si mette al servizio in maniera regale.

«… chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore …». Veramente grande, infatti, non è chi siede per farsi servire, chi domina i fratelli soggiogandoli, chi viene apertamente ricoperto di onori; veramente grande è, invece, colui che si pone al servizio dei suoi fratelli, chi ama gratuitamente, chi è capace di accogliere e perdonare le miserie dei propri fratelli facendosi solidale con loro. Veramente grande, infine, è colui che imita il Maestro il quale «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Un’offerta che ancora si perpetua nel sacramento dell’Eucarestia: Gesù si fa pane spezzato per noi e ci invita ad unire la nostra vita alla Sua nell’offerta per la salvezza del mondo.

La “grandezza” proposta secondo la logica del Vangelo è una grandezza che il mondo non può capire. Una grandezza ardua: ci chiede di morire a noi stessi, di anteporre al nostro Io l’amore per Dio e per fratelli. Per questo oggi l’autore della Lettera agli Ebrei viene a confortarci: «non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze …»; il nostro Maestro conosce per le nostre debolezze e ci chiede solo di attingere alla Sua forza, alla Grazia che ci raggiunge nei sacramenti, per conformarci a Lui e giungere a quella gloria che da sempre ha preparato per noi.

Fra Marco

venerdì 11 ottobre 2024

Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?

 «Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto» (Sap 7,7-11)

«Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.» (Eb 4,12-13)

«Mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” … “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”. Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.» (Mc 10,17-30)

La liturgia della parola di questa domenica, XXVIII del TO, ci invita ad indirizzare i nostri cuori verso le cose eterne che sole possono saziare la nostra “fame di vita”.

La pagina evangelica di oggi, infatti, ci presenta “un tale” che sembra avere tutto quello che si possa desiderare: possiede molti beni ed una vita “ricca di virtù” di cui va fiero («queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza»); quest’uomo, tuttavia, non è un uomo felice, realizzato, sente che gli manca qualcosa: cerca la “Vita eterna”, quella Vita Piena che non avrà mai fine e che sa di dovere attendere come un dono: parla di “ereditare”.

Credo che non sia un caso se l’evangelista non identifica in alcun modo questo tale: incarna le attese di ogni uomo la cui speranza ha bisogno di orizzonti ampi e non può ridursi al solo orizzonte materiale. La stessa speranza che ispirò l’autore sapienziale a implorare il dono della Sapienza (I lettura): una guida sicura nella vita che ci dia le giuste coordinate per Vivere veramente. Questa Sapienza viene data al Popolo di Israele sotto forma della Legge: le Dieci Parole destinate a guidare il comportamento del popolo eletto e a custodire l’Alleanza con Dio. È a questa sapienza che Gesù inizialmente rimanda il suo interlocutore: «… Tu conosci i comandamenti.»

Il “tale”, però, non è soddisfatto dalla risposta di Gesù, non gli basta l’osservanza della Legge, non gusta ancora la Vita Piena. Il Maestro, allora, lo invita ad uscire dal suo inganno e a liberarsi dall’idolatria che gli impedisce di osservare realmente i comandamenti: «Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”»; lo invita a vendere i suoi beni dimostrando che non sono essi il suo dio (osservando realmente i primi tre comandamenti che riguardano l’amore per Dio), e a dare il ricavato ai poveri (osservando i restanti sette riguardanti l’amore per il prossimo). Solo allora sarà disponibile alla sequela, a “perdere” la vita abbandonando ogni sicurezza precedente, per vivere la Vita lasciandosi guidare dalla Luce della Fede, dalla fiducia nel Maestro Buono. La sapienza antica, infatti, pur non essendo mai stata abrogata, è adesso superata dalla “Sapienza personificata”: è Gesù adesso che noi siamo chiamati a seguire per giungere alla Pienezza della vita.

Sappiamo qual è il triste esito di quest’incontro: il Tale “possedeva molti beni”, o meglio era posseduto da molti beni, quindi, pur con la morte nel cuore (scuro in volto e rattristato), torna alla misera vita di prima.

«Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». … «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio». Anche a noi oggi il Maestro chiede di abbandonare le nostre fallaci sicurezze per metterci alla Sua sequela, per divenire Suoi discepoli lasciandoci guidare la Lui. Anche noi siamo invitati ad entrare nella verità di noi stessi: non siamo capaci di salvarci da soli! Per quanti beni accumuliamo e per quanto bene crediamo di fare, non siamo in grado di darci da soli la Vita piena che desideriamo. Dinanzi a questa verità che potrebbe scoraggiarci, il Maestro ci conforta: nulla è impossibile a Dio! Se sceglieremo di rispondere alla Sua chiamata, e di lasciarci guidare da Lui rinunciando alle nostre false sicurezze, sperimenteremo anche noi quel centuplo che il Maestro promette, insieme all’incomprensione da parte del mondo, a coloro che lo seguono.

Fr. Marco