sabato 30 agosto 2025

Chi si umilia sarà esaltato

 «Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato.» (Sir 3,19-21.30-31)

«… Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli» (Eb 12,18-19.22-24)

​«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. … Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,1.7-14)

​Oggi, XXII domenica del Tempo Ordinario, la Parola di Dio ci ricorda il valore dell’umiltà. Nella prima lettura, tratta dal libro sapienziale del Siracide, ascoltiamo: «Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore.» Ecco, quindi, il primo motivo per cui l’umiltà è preziosa: per trovare grazia dinanzi al Signore.

«Non metterti al primo posto» Nella pagina di Vangelo Gesù, invitato ad un banchetto, prendendo spunto da ciò che accadeva attorno a lui, esorta chi vuole ascoltarlo a non ricercare i primi posti. L’atteggiamento prepotente di chi sgomita per mettersi avanti agli altri presto troverà umiliazione e discredito da parte del padrone di casa. «Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». L’umiltà è la strada per giungere alla vera gloria, quella che dà il Padre nel Regno.

Cosa significa però essere umile? Potremmo rispondere: parlare poco di sé e mai per vantarsi; confessare le proprie colpe (dinanzi a Dio e dinanzi ai fratelli); non essere vanitosi; essere disposti ad ascoltare … Sono tutte forme in cui si manifesta l’umiltà, eppure non vanno alla radice. Può accadere anche che la nostra umiltà sia falsa: siamo disposti a dire male di noi, purché gli altri ci contraddicano. Guai se chi ci ascolta denigrarci mostra di essere d’accordo con noi!

«Imparate da me che sono mite ed umile di cuore». Il versetto dell’alleluia che ci introduce al Vangelo, ci riporta le parole con cui il Maestro addita se stesso a modello di umiltà. Quale è stato il modo in cui Gesù è stato umile? Non una “umiltà delle parole”, ma l’umiltà dei fatti: «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.» (Fil 2,6-8). Gesù è stato umile perché ha scelto per sé l’ultimo posto, si è abbassato concretamente a lavare i piedi ai suoi discepoli, ha donato la vita per noi. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome (Fil 2,9).

Ecco l’umiltà che oggi Gesù ci addita nell’immagine del banchetto: scegliere l’ultimo posto, abbassarsi per servire. Questo significa imparare da Gesù mite ed umile. Questo significa comportarsi come Gesù si è comportato.

L’umiltà, inoltre, ci aiuta a fare verità su noi stessi: non meritiamo l’amore gratuito di Dio. Siamo amati gratuitamente. Ecco che scopriamo allora il rapporto tra la prima e la seconda parte del vangelo: « … quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.» Se umilmente abbiamo riconosciuto di essere amati gratuitamente da Dio, allora anche noi siamo chiamati alla gratuità, a fare del bene a chi, come noi, non lo merita. Solo se vivremo questa umiltà che ci rende simili al Figlio amato, potremo entrare al banchetto del Regno perché saremo riconosciuti come Suoi discepoli e figli di Dio.

«Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male.» La prima lettura di oggi ci mette in guardia dal pericolo della superbia, atteggiamento opposto all’umiltà. Se con l’umiltà, infatti, imitiamo il comportamento stesso di Dio che continuamente si abbassa fino a noi per amore, con la superbia, invece, volendo esaltare noi stessi, ci allontaniamo da Dio e ci comportiamo come Lucifero (cfr Is 14,11-15).

Il compianto Papa Francesco all’udienza generale del 13 maggio 2015, aveva proposto alle famiglie tre “parole magiche”: permesso, grazie e scusa. Mi sembrano tre comportamenti concreti che ci aiutano a vivere l’umiltà: chiedere permesso, cioè accostarsi all’altro con delicatezza e non con l’arroganza ci chi pensa di avere sempre ogni diritto sull’altro; ringraziare sempre per ciò che riceviamo senza la presunzione che tutto ci sia dovuto; chiedere scusa, cioè riconoscere umilmente che anche noi sbagliamo. Anche Papa Leone, infine, nella sua prima Messa, il 9 maggio 2025, ci esorta, con le parole e con l’esempio, a essere umili e rifuggire il protagonismo: «Io non voglio essere protagonista. Desidero sparire perché emerga Lui.» Il Signore ci conceda di vivere la vera umiltà perché possiamo condividere la Sua gloria.

Fr. Marco

venerdì 22 agosto 2025

Signore, sono pochi quelli che si salvano?

 

«Così dice il Signore: “Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria.”» (Is 66,18-21)

«Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.» (Eb 12,5-7.11-13)

«Un tale gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Disse loro: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.”» (Lc 13,22-30)

Questa domenica, XXI del tempo ordinario, la Parola di Dio ci presenta l’importante questione dell’essere pronti ad accogliere la salvezza. Nella pagina di Vangelo, infatti, ascoltiamo di un tale che chiede a Gesù: «Sono pochi quelli che si salvano?». La domanda, posta così, sembra una curiosità su gli altri e il Maestro non risponde.

«Sforzatevi di entrare per la porta stretta». Invece di rispondere, Gesù approfitta della domanda per esortare, il tale che pone la questione e tutti i presenti, a preoccuparsi della propria salvezza. Ciò che più ci deve urgere, infatti, non è tanto la curiosità oziosa e pettegola se Tizio e Caio si salveranno o se i musulmani o gli induisti si salveranno; ciò che con più urgenza mi devo chiedere è: “Io mi salverò?”.

Il Signore oggi ci esorta ad entrare per la “porta stretta”. Le città antiche, circondate da mura, avevano delle porte grandi e spaziose che durante il giorno permettevano l’accesso di un gran numero di persone e carri per gli scambi commerciali. Durante la notte, però, per sicurezza, queste porte venivano chiuse. Se qualcuno avesse avuto necessità di entrare in città dopo il tramonto, sarebbe dovuto passare per una porticina che permetteva l’accesso di una sola persona alla volta in modo che il custode potesse riconoscerlo e permettere o negare l’accesso. Per entrare, quindi, bisognava essere riconosciuti.

Ecco cosa significa “sforzarsi di entrare per la porta stretta”: lasciarsi conformare a Cristo, accogliere la Sua Grazia che ci raggiunge nei sacramenti, per essere riconosciuti dal Padre; avere in noi i tratti del Figlio di Dio, l’esserci rivestiti di Cristo. Diversamente, non potremo entrare: «Non so di dove siete».

«Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze» Se non avremo vissuto la conformità a Cristo che ci è stata donata nel Battesimo, non ci servirà a niente la nostra appartenenza ad un popolo o ad una congregazione; non ci servirà a niente essere stati a Piazza S. Pietro durante l’udienza del Papa, l’essere stati in questo o quell’altro santuario o l’avere partecipato a questa o quell’altra manifestazione. Se non avremo i tratti distintivi del Figlio di Dio, non ci servirà a niente persino essere stati presenti a Messa ogni domenica (magari con la testa e il cuore altrove). Ciò che ci permetterà di accedere alla salvezza sarà l’impegno che avremo messo per conformarci a Cristo, per rendere manifesta quella conformazione iniziata con il nostro Battesimo e nutrita dall'ascolto settimanale della Sua Parola e dalla Comunione sacramentale con Lui (la Messa domenicale è un dono prezioso).

«Gesù … era in cammino verso Gerusalemme». Quali sono, allora, i tratti distintivi del Figlio di Dio? Oggi Gesù ci è presentato mentre si dirige a Gerusalemme e sappiamo bene che lì sarà crocifisso per la nostra salvezza. Da risorto, entrando nel cenacolo, per essere riconosciuto mostrerà agli apostoli le mani e il costato piagati dalla croce. Ecco, dunque, da cosa potremo essere riconosciuti come conformi a Lui: se avremo amato sino alla fine (Cfr. Gv 13,1), se saremo stati capaci di portare con amore la nostra croce, se avremo fatto della nostra vita un dono d’amore, se Lo avremo seguito sulla via del Calvario unendo la nostra vita alla Sua per la salvezza del mondo.

«Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio.» Il Maestro è esigente, ma tutti sono chiamati alla salvezza e a tutti è offerta la Grazia dei sacramenti: a condizione di essere trovati conformi a Cristo, a nessuno è preclusa la salvezza.

«Sforzatevi di entrare per la porta stretta». Una sottolineatura vorrei farla, infine, sulla necessità dello “sforzo”, dell’impegno. Il Signore è un amante esigente e non si accontenta di niente di meno che di tutto il nostro impegno; così lo esprime Santa Teresa di Calcutta: «Dio non ci chiede di avere successo, ma di essere fedeli. L’amore, per essere vero, deve costarci, deve farci male, deve svuotarci di noi stessi.». Il Signore guarda il cuore: ciò che importa è l’amore che mettiamo in ciò che facciamo, l’impegno con cui lo facciamo. Può accadere che questo nostro impegno non sortisca l’effetto che vorremmo. Può accadere anche che il Signore stesso, perché non montiamo in superbia, permetta che il nostro impegno non porti i frutti desiderati. Ricordiamo che, più che ai frutti, il Signore guarda l’amore e l’impegno che avremo messo nelle nostre azioni: «Alla sera della vita saremo giudicati sull’Amore» (S. Giovanni della Croce)

Fr. Marco

sabato 16 agosto 2025

Teniamo fisso lo sguardo su Gesù che ha sopportato la grande ostilità dei peccatori

 «In quei giorni, i capi dissero al re: “Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole …”» (Ger 38,4-6.8-10)

«Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.» (Eb 12,1-4)

«Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre». (Lc 12,49-53)

​Questa domenica, XX del Tempo Ordinario, la  liturgia della Parola ci invita ad abbandonare ogni illusione di facili e comodi compromessi: il Dio Vivo e Vero è un Dio esigente, che chiede di prendere posizione anche quando questa risulta scomoda e sgradita al mondo.

È ciò che avviene a Geremia, chiamato da Dio ad annunziare che Israele cadrà sotto il re babilonese Nabucodonosor a causa del peccato del Popolo consistente soprattutto nell’idolatria, nell’avere separato il culto a Dio dalla vita quotidiana. Il re e la sua corte non vogliono sentire questo annunzio. È più piacevole credere a falsi profeti che, senza mandato di Dio, annunciano una facile vittoria. Geremia subirà persecuzione per la sua fedeltà al messaggio divino, sarà letteralmente sommerso dal fango, ma resterà fedele alla verità conosciuta da Dio.

«Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione.» Anche nel Vangelo Gesù ci avvisa che camminare dietro a Lui, essere suoi discepoli, richiede di prendere posizione per rimanere fedeli al Suo messaggio, alla Verità. Il mondo, ieri come oggi, preferisce il “politicamente corretto” alla Verità ed è forte la tentazione di “addomesticare” la Verità, “aggiornare” il Vangelo, per essere accettati dal mondo; magari alcuni pastori possono pure convincersi di farlo per “motivi pastorali”, per non allontanare le pecorelle del Signore, ma se smettiamo di annunciare la Verità o la "annacquiamo", dove conduciamo il gregge?

Essere discepoli di Cristo è incompatibile con il “volemose bene” al quale al giorno d'oggi alcuni vorrebbero ridurre il messaggio cristiano: «fai come ti pare, l’importante e che ti senti a posto … l’amore è amore … tanto Dio è buono e perdona a tutti».

Oggi un cristiano che prende sul serio il Vangelo e vuole viverlo fedelmente facilmente viene accusato di essere “estremista”, bigotto, viene ostracizzato, estromesso da luoghi di lavoro, soprattutto se questi hanno alta visibilità; cantanti che vengono “esclusi dal giro” perché si dichiarano cristiani, giornalisti che devono subire polemiche e rischiano di non potere lavorare perché portano al collo un crocifisso. Oggi tutto è permesso, a tutti si garantisce libertà di espressione, tranne che a chi si professa cristiano e annuncia la Verità del Vangelo che è incompatibile con la logica del mondo.

Il Maestro oggi ci invita a non lasciarci spaventare se la nostra fede ci procura persecuzione, anche se questo avviene all’interno del nostro nucleo familiare. Rimaniamo fedeli al Vangelo, opponiamoci al peccato in noi e alle “strutture di peccato” che la società attuale vorrebbe proporci come giuste. Non accettiamo che la nostra fede sia relegata alla sfera intima e slegata dalla vita quotidiana. Facciamo scelte coraggiose. Denunciamo il male nella società perché i fratelli possano correggersi.

Opponiamoci al peccato, però, non al peccatore per il quale dobbiamo pregare e verso il quale siamo sempre invitati alla Misericordia. Come Geremia, figura profetica di Gesù, pur non rinunciando ad annunciare la Verità, non allontaniamoci da coloro che la rifiutano: restando sempre pronti a rendere ragione della nostra Fede e Speranza (cfr. 1Pt 3,14-17)

Ardenti d'Amore per Cristo, quindi, guardando a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, rendiamo coraggiosamente testimonianza della nostra fede. Se non Lo rinnegheremo, alla fine anche noi saremo riconosciuti come Suoi.

Fr. Marco

giovedì 14 agosto 2025

Un segno grandioso apparve nel cielo

 «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle» (Ap 11,19; 12,1-6.10)

«Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.» (1Cor 15,20-26)

«Grandi cose ha fatto per me l’onnipotente» (Lc 1,39-56)

Oggi celebriamo la solennità di Maria Santissima Assunta in Cielo. L’evangelista Luca ci presenta Maria Santissima come la vera e definitiva Arca dell’Alleanza: la pagina di vangelo, infatti, racconta il viaggio di Maria verso la parente Elisabetta e nel farlo ricalca la narrazione della salita dell’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme nella casa di Obed Edom (2Sam 6,1-11). Piena dello Spirito Santo e portando nel grembo il Verbo fatto carne, Maria è la Nuova e definitiva Arca dell’Alleanza che Dio ha stipulato con l’uomo. L’antica Arca dell’Alleanza, infatti, custodiva le tavole della legge e la manna; Maria porta nel suo grembo il Legislatore e il Pane della Vita ed è testimonianza della presenza di Dio in mezzo al popolo e primizia e caparra delle meraviglie che il Signore è capace di compiere.

Contemplando Maria Assunta in Cielo, la Chiesa è invitata a contemplare ciò che il Signore ha preparato per il popolo della Nuova Alleanza. Così la costituzione conciliare Lumen gentium ci invita a guardare a Maria: «La madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore» (LG 68).

Maria Assunta in Cielo, allora, ci invita alla Speranza: il Signore ha per noi progetti di salvezza. Impariamo da questa Santissima Madre a non dubitare mai dell’amore del Padre. Impariamo a riconoscere con umiltà i prodigi che il Signore compie nella nostra vita e a rendere grazie per essi.

«Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» Così, nel Vangelo della messa della vigilia (Lc 11,27-28), Gesù risponde alla donna che proclama beato il grembo che l’ha portato. È questa, infatti, la più autentica gloria di Maria: l’avere ascoltato e accolto nel suo cuore la Parola di Dio, l’essere stata perfetta discepola del suo figlio, il Signore nostro Gesù Cristo.

Impariamo anche noi da questa santissima Madre ad accogliere con fiducia e attenzione la Parola di Dio perché possa portare frutto in noi e conformarci sempre più al nostro Signore Gesù Cristo. Impariamo ad accogliere in noi l’Amore di Dio e ad amare per primi e gratuitamente i fratelli. Guardando al Cuore Immacolato di Maria, ardente di vero Amore, impariamo a perdonarci reciprocamente e a pregare per coloro che ci fanno del male. Impariamo, infine, da questa perfetta discepola a rimanere uniti al Signore anche quando il Maestro ci chiede di seguirlo sulla via della croce.

Solo facendo così potremo anche noi dirci discepoli di Gesù e veri devoti di Maria. Imploriamo l’intercessione della Madre di Dio perché il Signore ci conceda la grazia di seguirlo come suoi autentici discepoli. Il mondo possa riconoscere in noi la presenza del Maestro e accogliere la Signoria di Cristo perché possiamo un giorno ritrovarci tutti alla presenza della Gloria di Dio. 

Fr. Marco

sabato 9 agosto 2025

Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese

«La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.» (Sap 18,6-9)

«Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.» (Eb 11,1-2.8-19)

«Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!» (Lc 12,32-48)

Questa domenica, XIX del Tempo Ordinario, la pagina di Vangelo si apre con l’esortazione a non temere. Un’esortazione che ricorre spesso nella Scrittura: qualcuno ha contato 365 volte, una per ogni giorno dell’anno. Si tratta di un’esortazione fondamentale che riguarda la nostra Fede, la nostra Speranza e quindi la Carità che dà pienezza alla nostra Vita: ​«Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore» (1Gv 4,18).

«Non temere, piccolo gregge» Quando ci lasciamo dominare dalla paura, infatti, ci ritroviamo “paralizzati”, incapaci di fare scelte di Vita; spesso, anzi, nel tentativo di “salvarci la vita” facciamo “scelte di morte”. Per questo il Signore ci esorta a non temere e a lasciarci guidare dalla Fiducia nell’Amore gratuito del Padre il quale ci dona la Vita, il Regno e tutto se stesso.

Credendo realmente all’Amore del Padre, lasciandoci amare, accogliendo la Vita che Lui vuole donarci, saremo capaci di fare scelte liberanti, scelte di Vita; non saremo più schiavi dell’idolatria dei beni, non ci affanneremo più ad accaparrare e a difendere ciò che non è capace di darci Vita: sapremo di avere un Padre che si prende cura di noi e di avere un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma, per questo saremo capaci di condividere ciò che abbiamo.

«Siate pronti, …» Il Vangelo di oggi, oltre ad esortarci a non lasciarci paralizzare dalla paura, ci invita anche alla vigilanza, all’attesa operosa. Ci invita a ricordarci che la vita è l'attesa di un incontro, ha un senso, uno scopo: l’incontro con il nostro Signore. Un incontro che sarà festoso se sarà stato preparato; se non avremo permesso alle cose del mondo di intontirci tanto da farci dimenticare chi aspettiamo; se saremo rimasti operosi nell’amore (le vesti ai fianchi, il prendersi cura dei fratelli): Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.

Se per nostra rovina, invece, avremo permesso alla paura, alla pigrizia, all’egoismo e a tutte le nostre passioni di farci dimenticare chi aspettiamo, al Suo arrivo dovremo rendere conto delle nostre scelte egoistiche, delle nostre scelte di morte: al momento dell'incontro, il Signore ratificherà la nostra scelta di vivere senza di Lui. Ecco l’unica cosa che dobbiamo temere: essere privati di Lui che è la Vita, la Luce, ogni Bene.

L’incontro con il Signore, “il fine”, più che “la fine” della nostra vita terrena, non dovrà spaventarci se saremo stati operosi, se avremo mantenuto vive Fede, Speranza e Carità, se avremo fatto fruttare le innumerevoli grazie che il Signore ci ha donato. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

sabato 2 agosto 2025

Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio

 «Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.» (Qo 1,2;2,21-23)

«Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. […] Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria.» (Col 3,1-5.9-11)

«Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». (Lc 12,13-21)

La pagina evangelica di questa domenica, XVIII del Tempo Ordinario, si apre con una scena tristemente sempre attuale: due fratelli che litigano per l’eredità. La richiesta rivolta da uno di loro  al Maestro, inoltre, fa capire che uno dei fratelli si è accaparrato tutta l’eredità lasciando l’altro senza ciò che gli spetta.

«O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?» Il rifiuto del Signore di intervenire e fare da mediatore è motivato dal non volere dare importanza a tale questione. Contrariamente a quanto insegna “il mondo” con la sua idolatria del denaro, non sono queste le cose importanti della vita: anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede. Sia chiaro: appropriarsi indebitamente dei beni della terra sottraendoli a colui al quale apparterrebbero, operare iniquità nella spartizione dei beni, significa rubare e chi se ne macchia dovrà renderne conto. Oggi, però, Gesù ci esorta a evitare quella cupidigia che è idolatria: affidare la propria speranza di Vita all’idolo della ricchezza.

La Parola di questa domenica, quindi, ci esorta a rivolgere il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Sono queste, infatti, a rimanere per sempre. Sono queste che danno pienezza alla nostra Vita. Non lasciamoci ingannare: i soldi non saziano, non danno pienezza alla nostra vita: più se ne hanno e più se ne vogliono avere!

«Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!» Il “principe di questo mondo”, ci vorrebbe “anestetizzare”: disimpegnati, “sballati”, senza più nulla per cui valga la pena di lottare, senza più valori eterni. I potenti di questo mondo vogliono solo “consumatori”. Non individui che abbiano una loro identità forte, che sappiano scegliere ciò che veramente vale, ma individui ai quali instillare sempre “nuovi bisogni” da soddisfare con il mercato.

«Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita». Il Maestro, invece, ci esorta a ricordarci che il tempo della nostra vita è limitato. «Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo.» (Sal 89,10). È questa consapevolezza la sapienza del cuore che chiediamo nel salmo responsoriale di oggi: abbiamo un tempo limitato per fare “frutti di vita eterna”, per iniziare a vivere quella Vita piena di senso che andrà di pienezza in pienezza per l’eternità. Ecco perché altrove ci rivolge l’invito alla vigilanza: Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno, né l’ora.

Siamo nei primi giorni della quindicina in preparazione alla solennità dell’Assunzione di Maria al Cielo, e siamo invitati a guardare alla nostra santissima Madre. Anche nel vegliare, naturalmente Maria santissima ci è madre e modello. Lei che ha vissuto la sua vita piena della Speranza certa e senza mai perdere di vista “la Meta” dell’eternità, oggi è per noi un faro che ci guida, che ci indica qual è la nostra meta; Maria è veramente, come la invoca la liturgia,  la “Stella del Mare” che ci permette di non perdere di vista il “Porto sicuro” verso cui tutti noi siamo diretti.

Maria seppe vivere la sua vita come un’attesa dell’incontro: apparteneva a quelle anime umili e grandi in Israele che, come Simeone, aspettavano «il conforto d'Israele» e attendevano, come Anna, «la redenzione di Gerusalemme»; Maria viveva in intimo contatto con le Sacre Scritture di Israele, che parlavano della speranza, della «promessa fatta ad Abramo ed alla sua discendenza». Come Lei siamo invitati a guardare alle “cose del Cielo”, a ciò che veramente vale.

Facciamo attenzione, allora, ad allontanare da noi ogni cupidigia e pigrizia, ascoltiamo la Voce del Maestro e, vivendo quel progetto d’amore che il Padre da sempre ha pensato per noi, facciamo della nostra vita un capolavoro.

Fr. Marco