sabato 27 luglio 2024

Riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo

«Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”». (2Re 4,42-44)

« … comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.» (Ef 4,1-6)

«“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?” … erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. … riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.» (Gv 6,1-15)

Questa domenica, XVII del Tempo ordinario, la liturgia della Parola continua il racconto della “cura pastorale” di Gesù verso le folle. Nel Vangelo di domenica scorsa contemplavamo Gesù, il Vero e Buon pastore che, avendo compassione della folla, dà loro la guida di cui hanno bisogno per giungere ai “pascoli” della Vera Vita: si mise a insegnare loro molte cose (Mc 6,34). Nei versetti successivi l’evangelista Marco racconta della moltiplicazione dei pani. La liturgia di questa domenica continua il racconto scegliendo, però, la versione del vangelo di Giovanni più ricco di simboli: l’erba su cui viene fatta sedere la folla, simbolo dei pascoli a cui il buon pastore conduce il gregge; la simbologia eucaristica dei gesti e delle parole di Gesù; le dodici ceste avanzate simbolo delle “dodici colonne” del nuovo popolo di Dio.

Centro della Parola odierna, oltre alla presentazione di Gesù come il Vero Pastore, il “profeta” atteso che attualizza i gesti di Mosè nell’esodo (Cfr. Dt 18,18), è la necessità della condivisione. L’indiscusso protagonista del brano evangelico è Gesù: prende l’iniziativa di nutrire la folla; provocatoriamente, pone la domanda: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?»; distribuisce il pane ed il pesce. Perché il miracolo si compia, tuttavia, Gesù chiede la collaborazione dei discepoli: si fa consegnare i cinque pani e due pesci, il poco posseduto da un ragazzo presente. Solo a partire da questo gesto di condivisione di chi non tiene per sé il poco che possiede, ma è pronto a donarlo con generosità, è possibile il miracolo che tutti abbiano da mangiare. 

La “logica del mondo”, improntata all’egoismo, insegna: «Meglio uno sazio che cento digiuni!» (solitamente chi la pensa così è colui che sarà sazio). La logica evangelica, invece, ci insegna a donare con generosità, a “perdere”, per amore. Solo il pane condiviso è capace di saziare quella “fame” che nessun pane potrà mai saziare: la fame di amore, di fraternità, di comunione.

Gesù non ha mai cessato di prendersi cura del suo popolo: è ciò che avviene ad ogni celebrazione eucaristica in cui veniamo nutriti alla duplice mensa della Parola e dell’Eucarestia. Oggi come allora, però, il Maestro chiede la collaborazione della pochezza umana per potere compiere il suo miracolo. All’offertorio, insieme al pane ed al vino, siamo chiamati a presentare a Gesù ciò che essi significano: il nostro lavoro quotidiano, la nostra stessa vita, “la gioia e la fatica di ogni giorno”. È tutto questo che Lui moltiplica e “trasforma” per donarci se stesso, il Suo Corpo e Sangue che ci nutre per la vita eterna e ci dà la forza per unire la nostra vita alla Sua offerta per la salvezza del mondo.

Lo facciamo sacramentalmente durate la celebrazione, ma siamo poi chiamati a viverlo esistenzialmente uscendo dalle nostre chiese: siamo chiamati, sull’esempio del Maestro, a fare della nostra vita un dono d’amore; a non farci fermare dalla nostra pochezza: fidiamoci del Signore che la farà sovrabbondare. Siamo chiamati, infine, a “sopportarci nell’amore” gli uni gli altri: a sostenere la debolezza del fratello e della sorella che il Signore mi ha messo accanto, a sorreggerlo e a custodirlo. Se faremo così Vivremo la Vita Piena che il Signore ha pensato per noi e il mondo resterà affascinato dal nostro Maestro.

Fr. Marco

venerdì 19 luglio 2024

Le mie pecore ascoltano la mia voce

 «Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una.» (Ger 23,1-6)

«Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini.» (Ef 2,13-18)

«“Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”. … Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.» (Mc 6,30-34)

La Parola di Dio della XVI domenica del tempo ordinario ci presenta Gesù come il Pastore che si prende cura delle pecore sbandate, senza pastore, dei “vicini” e dei “lontani” (seconda lettura): che prova compassione sia per la stanchezza dei suoi, sia per le folle di cui nessuno si cura.

«Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo». Il profeta Geremia, nella prima lettura, riporta il rimprovero che Dio rivolge ai pastori che non si prendono cura del gregge loro affidato, ma che lo sfruttano e allontanano i più bisognosi. Il Signore promette la punizione dei pastori che fanno perire e disperdono il gregge; soprattutto, promette che Lui stesso si prenderà cura delle sue pecore e susciterà un Pastore che si prenderà cura e salverà il suo popolo. 

Nella pagina di Vangelo, Gesù si comporta esattamente come il Pastore che si preoccupa per i suoi. Domenica scorsa ascoltavamo che il Signore aveva inviato i Dodici ad annunciare (Mc 6, 7-13); ora essi tornano entusiasti, ma stanchi. Il Maestro ha compassione di loro e li invita a ritirarsi per recuperare le forze: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Il loro “ritiro”, però, non dura che il tempo della traversata del lago in cui sicuramente si saranno attardati a riposare e pescare (tanto che le folle li possono precedere a piedi sull’altra riva). Appena sbarcati, infatti, scorgono una grande folla. Le pecore hanno riconosciuto la voce del Pastore e lo seguono. Gesù ha compassione di questa folla e dà loro ciò ci cui hanno veramente bisogno: la Parola prima ancora del pane (la moltiplicazione dei pani sarà raccontata nei versetti immediatamente successivi).

La Parola oggi, quindi, si rivolge in prima istanza ai pastori, per esortarli a prendersi cura delle pecore loro affidate. La Parola, tuttavia, si rivolge anche alle “pecore”, a coloro i quali hanno riconosciuto la voce del Pastore e intendono seguirlo. Ad entrambi insegna uno “stile pastorale” fatto di tempi di attività, ma anche di tempi di riposo in cui vivere una maggiore intimità con il Pastore; ad entrambi insegna che ciò di cui c’è veramente bisogno, prima ancora del pane, è la Parola che dia senso e gusto alla vita; diversamente non ci sarà pane capace di saziare la “fame di vita” del popolo di Dio.

La Parola di oggi, inoltre, esorta tutti, pastori e pecore, alla “compassione”, ad avere “viscere di misericordia” per coloro i quali hanno perso il senso del vivere e, allontanati da tutti, brancolano alla ricerca della Vita e spesso incontrano il non senso e la morte.

Penso che valga la pena di sottolineare, infine, che nel Vangelo di questa domenica, stranamente, non è il Pastore ad andare in cerca delle “pecore smarrite”, ma sono queste ultime che, avendone riconosciuto la voce, vanno in cerca del Pastore. Ritengo questo particolare istruttivo per noi oggi. Quando ci smarriamo, siamo invitati anche noi a non restare in passiva attesa che il Pastore ci venga a cercare. Sicuramente il Pastore, che ci ama più di quanto noi possiamo immaginare, ci cerca; i pastori suoi collaboratori sicuramente non possono omettere la ricerca dei lontani; anche questi ultimi, tuttavia, sono invitati alla ricerca del Pastore che solo può saziare la loro fame e dare loro la Pace di cui ci parla oggi san Paolo.

Fr. Marco

venerdì 12 luglio 2024

Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due

 «Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele». (Am 7,12-15)

«Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità …» (Ef 1,3-14)

«Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.» (Mc 6,7-13)

La Parola di Dio della XV domenica del Tempo Ordinario ci invita a riflettere sulla nostra chiamata alla missione, all’annunzio del Regno. Per il nostro battesimo, infatti, conformati a Cristo Re, Sacerdote e Profeta, siamo chiamati alla profezia, ad annunziare il Regno dei Cieli, per ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. Una chiamata gratuita, che non abbiamo cercato né meritato, in cui è il Signore con la Sua liberalità ad avere l’iniziativa. A noi solo la responsabilità della risposta.

«… mi prese, mi chiamò … Il Signore mi disse». Nella prima lettura ascoltiamo il profeta Amos che riconosce la gratuità della scelta del Signore. Anche nella pagina di Vangelo di oggi è il Signore che chiama e manda. È Lui che prende l’iniziativa ed è ancora il Signore che dona la grazia per compiere la missione.  La seconda lettura, inoltre, ci ricorda che tutti noi siamo stati scelti e chiamati ad essere santi e immacolati nella carità.

Nel capitolo 3 del suo Vangelo l’evangelista S. Marco aveva annotato che Gesù «chiamò a sé quelli che egli volle … perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni.» (Mc 3,13-15). Dopo avere descritto lo stare con Lui, nei capitoli che precedono la pericope odierna, questa Domenica l’evangelista ci racconta l’invio in missione. Una missione in cui i Dodici, capostipiti del Nuovo Israele, sono invitati a non fare affidamento sulle loro forze o su “sicurezze mondane”: possono prendere con se solo il bastone, simbolo del loro essere pellegrini e forestieri, e calzare i sandali dei viandanti; gli inviati sono chiamati ad affidarsi solo alla potenza di Colui che li invia e del Vangelo che annunciano.

Prese a mandarli a due a due. Fondamentale è rimanere nella comunione con il Maestro e quindi con i fratelli. Ecco perché il Signore li invia a due a due: perché lì dove due o tre sono riuniti nel Suo nome, Lui è in mezzo a loro (Mt 18,20) e perché solo se avranno amore l’uno per l’altro saranno riconoscibili come discepoli del Cristo (Cfr. Gv 13,35)

Proclamarono che la gente si convertisse. Prima ancora dello scacciare i demòni e dell’operare guarigioni, l’evangelista nota l’appello alla conversione, a lasciare, cioè, le proprie vie e la via del peccato, per accogliere il Vangelo. Convertirsi è ciò che altrove san Paolo descrive esortando «Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.» (Rm 12,2). È a partire da questo che è possibile entrare nella Signoria di Cristo ed essere guariti e liberati.

«Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero …» La missione, tuttavia, comporta anche il rischio del rifiuto. Coloro che vivono nella logica del mondo, asserviti alla ideologia dominante, mal sopportano l’annuncio della Parola. Ne fa l’esperienza Amos nella prima lettura e, come lui, anche i profeti di tutti i tempi. Dinanzi al rifiuto, il Maestro comanda agli apostoli un gesto profetico: «andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». È il gesto di chi prende le distanze, di chi non vuole mischiarsi con certe logiche e rimanda tutto al Giudizio divino (i passi paralleli citano la punizione di Sodoma e Gomorra).

Prendendo consapevolezza del fatto che siamo stati amati e chiamati fin da prima della creazione del mondo, uniamoci a S. Paolo nel benedire il Padre del Signore nostro Gesù Cristo e impariamo a corrispondere a tanto amore, rendendo la nostra testimonianza, lì dove il Signore ci ha voluti, confidando non sulle nostre capacità o su i mezzi che sapremo procurarci, ma sul Fatto che Colui che ci ha chiamati ed inviati non ci lascia soli e opera anche attraverso di noi.

Fr. Marco

 

venerdì 5 luglio 2024

Era per loro motivo di scandalo

«Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me.» (Ez 2,2-5)

«Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». ( 2Cor 12,7-10)

​«“Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”. Ed era per loro motivo di scandalo.» (Mc 6,1-6)

Anche in questa XIV Domenica del tempo ordinario, come nelle precedenti, la Parola di Dio tratta di fede e incredulità, di obbedienza e ribellione. La prima lettura, infatti, racconta della vocazione del profeta Ezechiele che viene inviato ad annunciare ad una razza di ribelli, che non vuole ascoltare la Parola di Dio. Nella pagina del Vangelo, i conterranei di Gesù si “scandalizzano” nel sentire la Parola di Dio annunciata dal falegname, il figlio di Maria, di cui conoscono tutta la parentela.

«Non è costui il falegname …?» Anche a noi può capitare di volere insegnare a Dio non solo “cosa” rivelare, ma anche “come” rivelarsi. Forse pensiamo che Dio per rivelarsi dovrebbe scegliere mezzi “alti”, “straordinari”; ci aspettiamo che parli solo attraverso i sacerdoti (meglio ancora se si presentano austeri, lontani dalla nostra quotidianità), o i veggenti; magari immaginiamo che adoperi un “linguaggio arcano”. Lo Spirito di profezia, invece, viene nel quotidiano, entra là dove la vita celebra la sua mite e solenne liturgia, la trasfigura da dentro. Il Dio onnipotente sceglie la via della debolezza per accostarsi a noi e farsi conoscere. Trovo che questo sia di conforto per noi tutti suoi discepoli chiamati alla testimonianza: ogniqualvolta facciamo esperienza della nostra debolezza, sperimentiamo la nostra insufficienza, siamo chiamati a ricordarci che Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti (1Cor 1,28) e che la forza si manifesta pienamente nella debolezza.

Ed era per loro motivo di scandalo. L'umanità di Gesù, la prossimità di Dio, scandalizza. È  proprio questa, però, la buona notizia del Vangelo: Dio ha un volto d'uomo, è venuto in mezzo a noi. Il Dio Amore annunziato e testimoniato da Gesù Cristo non è rimasto nell’impassibilità del Cielo, ma si è chinato sulle miserie dell’umanità: impariamo a riconoscerlo inginocchiato a terra con una brocca in mano e un asciugamano ai fianchi o piagato e crocifisso; impariamo a riconoscerlo nei piccoli e sofferenti: di loro Gesù ci ha detto che qualunque cosa avremmo fatto a uno solo dei suoi fratelli o delle sue sorelle più piccole, l'avremmo fatta a lui (cfr. Mt 25,40).

«E si meravigliava della loro incredulità.» Dinanzi al rifiuto dei compaesani, come dinanzi al nostro rifiuto, Gesù non si scandalizza. Si meraviglia, ma non si arrende. Il Dio che ordina a Ezechiele di annunciare ascoltino o non ascoltino, non rinuncia ad annunziare la Misericordia del Padre e l’avvento del Regno.

Concludendo il racconto della visita di Gesù a Nazareth, l’evangelista Marco annota: «Non vi poté operare nessun prodigio»; subito, però, aggiunge: «Solo impose le mani a pochi malati e li guarì». Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L'amante respinto continua ad amare anche pochi, anche uno solo. L'amore non è stanco: è solo stupito. Così è il nostro Dio: non nutre mai rancori, continua a manifestare il Suo Amore che chiede solo di essere corrisposto. Se solo sapremo abbandonarci alla Sua Grazia, il Signore non tarderà a manifestare la Sua potenza salvifica.

Fr. Marco