venerdì 24 aprile 2020

Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti


«“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?” … erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. … riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.» (Gv 6,1-15)

Il Vangelo di questo venerdì della seconda settimana di pasqua ci presenta la “cura pastorale” di Gesù verso le folle. Il Vangelo di Gv è ricco di simboli: l’erba su cui viene fatta sedere la folla è simbolo dei pascoli a cui il buon pastore conduce il gregge; la simbologia eucaristica dei gesti e delle parole di Gesù; le dodici ceste avanzate simbolo delle “dodici colonne” del nuovo popolo di Dio.
Oltre alla presentazione di Gesù come il Vero Pastore, il “profeta” atteso che attualizza i gesti di Mosè nell’esodo (Cfr. Dt 18,18), al centro della Parola odierna è anche la necessità della condivisione.
È Gesù l’indiscusso protagonista del brano evangelico: è lui che prende l’iniziativa di nutrire la folla; è ancora lui che, provocatoriamente, pone la domanda su come sfamare la folla (richiamando quella di Mosè in Nm 11,13); ed è, infine, lui che distribuisce il pane ed il pesce. Perché il miracolo si compia, tuttavia, Gesù chiede la collaborazione dell’uomo: si fa consegnare i cinque pani e due pesci, il poco posseduto da un ragazzo presente.
Solo a partire da questo gesto di condivisione di chi non tiene per sé il poco che possiede, ma è pronto a donarlo con generosità, è possibile il miracolo che tutti abbiano da mangiare. La “logica del mondo”, improntata all’egoismo, insegna: «Meglio uno sazio che cento digiuni»; la logica evangelica, invece, ci insegna a donare con generosità, a “perdere”, per amore: solo chi dona, infatti, possiede veramente; solo il pane condiviso è capace di saziare quella “fame” che nessun pane potrà mai saziare: la fame di amore, di fraternità, di comunione.
Ancora oggi Gesù si prende cura dei suoi: è ciò che avviene ad ogni celebrazione eucaristica in cui veniamo nutriti alla duplice mensa della Parola e dell’Eucarestia (speriamo che presto le norme anticontagio ci permettano di riprendere a celebrare assieme!). Ancora Gesù chiede la collaborazione della pochezza umana per potere compiere il suo miracolo. All’offertorio, insieme al pane ed al vino, siamo chiamati a presentare a Gesù ciò che essi significano: il nostro lavoro quotidiano, la nostra stessa vita, “la gioia e la fatica di ogni giorno”. È tutto questo che Lui moltiplica e “trasforma” per donarci se stesso, il Suo Corpo e Sangue che ci nutre per la vita eterna e ci dà la forza per unire la nostra vita alla Sua offerta per la salvezza del mondo.
Lo facciamo sacramentalmente durate la celebrazione, ma siamo poi chiamati, oggi più che mai, a viverlo esistenzialmente uscendo dalle nostre chiese: siamo chiamati, sull’esempio del Maestro, a fare della nostra vita un dono d’amore; a non farci fermare dalla nostra pochezza: fidiamoci del Signore che la farà sovrabbondare. Siamo chiamati, infine, a “sopportarci nell’amore” gli uni gli altri: a sostenere la debolezza del fratello e della sorella che il Signore ci ha messo accanto, a sorreggerlo e a custodirlo. Se faremo così, Vivremo pienamente e il mondo resterà affascinato dal nostro Maestro.
Fr. Marco

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