sabato 25 agosto 2018

Sceglietevi oggi chi servire


«Giosuè disse a tutto il popolo: “Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore”». (Gs 24,1-2.15-17.18)

«Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; […] E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,21-32)

«Disse allora Gesù ai Dodici: “Volete andarvene anche voi?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”». (Gv 6,60-69)

Dopo averci presentato nelle domeniche precedenti il Pane della Vita, Gesù Cristo che dà la sua vita per la salvezza del mondo, la Parola di Dio della XXI domenica del tempo ordinario ci esorta al servizio e alla sottomissione reciproca.
Già nella prima lettura di questa domenica Giosuè dichiara la propria decisione di servire il Signore e invita il Popolo a scegliere chi servire. La “libertà assoluta”, infatti, è un’illusione: siamo liberi per servire; e possiamo servire solo se siamo liberi. 
Se non serviamo il Signore della vita, finiremo per servire un idolo: qualcosa che possediamo, qualcuno che ci ha promesso di realizzare i nostri desideri, un lavoro, magari il nostro io. Fuggiamo dal servizio del Signore e ci scopriamo schiavi di qualcosa o di qualcuno, magari anche solo delle nostre passioni disordinate e delle pulsioni del momento. Ecco allora la necessità di scegliere con attenzione chi servire, chi riconoscere nei fatti Signore della nostra vita.
«Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Così reagiscono gli ascoltatori di Gesù al discorso sul pane e forse proprio alla affermazione: «… chi mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57)
Servizio e sottomissione nella società in cui ci troviamo a vivere sono considerate parole dure, difficili da accettare in un contesto in cui la propria libertà individuale viene idolatrata; in cui ciò che conta è solo il piacere personale ed immediato; in cui il sacrificio viene visto solo con accezione negativa; una società in cui siamo bombardati da messaggi del tipo «Tutto attorno a te … perché tu vali!». In questo contesto l’unico “servizio” che si accetta è quello offerto per avere un contraccambio, un "servizio" in cui al centro c’è sempre il nostro io.
«Volete andarvene anche voi?». Dinanzi la durezza delle parole di Gesù, dinanzi le esigenze del messaggio evangelico, non pochi discepoli restano scandalizzati e se ne vanno. Forse avevano frainteso il messaggio del Maestro. L’amore che ci insegna Gesù, infatti, non è “volemose bene”, non è “cuoricini e fiorellini” … l’Amore che ci insegna Gesù è la Croce, è “morire” per colui che amo, rinnegare se stesso, è servizio gratuito e disinteressato.
La domanda che Gesù pone ai Dodici, quest’oggi è posta anche a noi. Pensiamo sia impossibile vivere il Vangelo? Ci sembra troppo gravoso servire il Signore? Vogliamo Amare il Signore e i fratelli? Le mogli sono disposte ad amare il proprio marito come la Chiesa ama Cristo, cioè facendo ruotare la propria esistenza attorno a lui? I mariti sono disposti ad amare la propria moglie come Cristo ama la Chiesa, cioè fino a donare a lei ogni istante della propria la vita? 
Certo servire è difficile e senza di Lui non possiamo fare nulla (Cfr. Gv 15, 5), ma solo servire con amore e per amore dà senso alla nostra vita, la riempie. Diversamente tutta la vita sarà percepita come una schiavitù da cui cercare di evadere (vedi la società contemporanea). È proprio per venire incontro alla nostra incapacità di servire che il Signore ci ha donato se stesso come pane della vita (il vangelo di oggi conclude il “discorso sul pane”). È nella Sua Parola, infatti, che troviamo la luce e la sapienza della vita. È nei sacramenti che troviamo la forza per Vivere pienamente di quella vita che dura in eterno.
«Volete andarvene anche voi?» Chiediamo la grazia di rispondere come Pietro, di riconoscere come lui: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna».
Fr. Marco


sabato 18 agosto 2018

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna

«Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza». (Pr 9,1-6)

«Fratelli, fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore.» (Ef 5,15-20)

«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.» (Gv 6,51-58)

Nella XX domenica del Tempo Ordinario, Gesù, continua il “discorso sul pane”. Ha già detto che “l’opera di Dio” è Credere in Lui e fidarci di Lui; che Lui è il Pane dal Cielo dato per la salvezza del mondo. Oggi arriva ad affermare: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Chi si ciba dell’Eucarestia, del Corpo e Sangue di Cristo, allora, ha già nel presente la “Vita eterna” e risorgerà nell’ultimo giorno. La Vita eterna non è, allora, qualcosa che verrà, ma una realtà già presente in noi. Vita eterna, infatti, significa non solo vita “senza fine”, ma anche una vita “qualitativamente” diversa: una vita piena, bella; una vita che vale la pena di essere vissuta e non solo un “infinito trascinarsi di giorni”.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. È il Maestro stesso che quest’oggi nel Vangelo ci spiega cosa sia la Vita eterna: il rimanere in comunione con Lui. Lui in noi e noi in Lui. Gesù figlio di Dio, morto e risorto per noi, rimane dentro di noi e noi rimaniamo in Lui. Una comunione che diventa vita, a somiglianza della comunione tra Gesù e il Padre.
Questa vita eterna, quindi, è già presente in chi si nutre del Corpo e Sangue del Signore; è, però, una presenza, “imperfetta”, non pienamente realizzata (quel “già e non ancora” che caratterizza il tempo della Chiesa); ecco allora il rimando al futuro: lo risusciterò nell’ultimo giorno quando questa comunione, questa reciproca inabitazione sarà pienamente realizzata.
Oggi, nel presente della Chiesa, questa comunione già presente è fragile e va custodita con cura. Insieme al dono della liberazione dalla schiavitù del peccato, che ci è stato fatto nel battesimo, questa vita eterna già presente in noi che siamo morti e risorti con Cristo, rimanda alla nostra responsabilità: accogliere e custodire questo dono obbedendo sempre più perfettamente al Vangelo con la forza che traiamo dall’Eucarestia. È ciò a cui ci richiama oggi la prima lettura con l’appello a non comportarci da inesperti e a seguire la via dell’intelligenza. Un appello ripreso con forza da S. Paolo nella seconda lettura: fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi di quella sapienza che è saper riconoscere e compiere la volontà di Dio.
Accogliamo, allora, e custodiamo attentamente, la Vita eterna, quella Vita piena di senso, anche in mezzo alle traversie della vita, che solo Gesù può darci. Custodiamo con cura la comunione con Lui riconoscendolo, coi fatti, nostro Signore e nutrendoci di Lui perché possiamo sempre più divenire a Sua immagine e compiere le opere dei Figli di Dio.
Fr. Marco

martedì 14 agosto 2018

Un segno grandioso apparve nel cielo

«Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle» (Ap 11,19; 12,1-6.10)

«Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.» (1Cor 15,20-26)

«Grandi cose ha fatto per me l’onnipotente» (Lc 1,39-56)

Il Vangelo della solennità di Maria SS. assunta in Cielo, ci racconta il viaggio di Maria verso la parente Elisabetta. L’evangelista Luca costruisce il racconto ricalcando la narrazione della salita dell’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme nella casa di Obed Edom (2Sam 6,1-11). Maria, infatti, coperta dallo Spirito Santo e portando nel grembo il Verbo fatto carne, è la Nuova Arca della definitiva Alleanza che Dio ha stipulato con l’uomo. Come l’antica Arca dell’Alleanza, che custodiva le tavole della legge e la manna, Maria è testimonianza della presenza di Dio in mezzo al popolo e primizia e caparra delle meraviglie che il Signore è capace di compiere per il suo popolo.
Contemplando Maria assunta in Cielo, infatti, la Chiesa è invitata a contemplare il destino finale cui il Signore ha destinato il popolo della Nuova Alleanza. Così la costituzione conciliare Lumen gentium ci invita a guardare a Maria: «La madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore».
Guardando a Maria, quindi, siamo invitati alla Speranza: il Signore ha per noi progetti di salvezza. Impariamo, allora, da questa santissima madre a non dubitare mai dell’amore del Padre. Impariamo a riconoscere con umiltà i prodigi che il Signore compie nella nostra vita e a rendere grazie per essi. Impariamo ad accogliere con fiducia e attenzione la Parola di Dio perché possa portare frutto in noi e conformarci sempre più al nostro Signore Gesù Cristo. Impariamo ad accogliere in noi l’Amore di Dio e ad amare per primi e gratuitamente i fratelli. Guardando al Cuore Immacolato di Maria, ardente di vero Amore, impariamo a perdonarci reciprocamente e a pregare per coloro che ci fanno del male. Impariamo, in fine, da questa perfetta discepola a rimanere uniti al Signore anche quando il Maestro ci chiede di seguirlo sulla via della croce.


Solo facendo così potremo anche noi dirci discepoli di Gesù e veri devoti di Maria. Imploriamo l’intercessione di Maria perché il Signore ci conceda la grazia di seguirlo come suoi autentici discepoli. Il mondo possa riconoscere in noi la presenza del Maestro e accogliere la Signoria di Cristo perché possiamo un giorno ritrovarci tutti alla presenza della Gloria di Dio. 

Fr. Marco

sabato 11 agosto 2018

Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo


«“Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”. Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: “Àlzati, mangia!” … Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio» (1Re 19,4-8)

«Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi» (Ef 4,30-5,2)

«Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me … In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna … Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,41-51)

In questa XIX domenica del Tempo Ordinario continua il “discorso sul pane” cominciato domenica scorsa: Gesù, rispondendo alla mormorazione dei giudei che non comprendono le sue parole e sono scandalizzati dalla sua umanità, arriva ad affermare non solo che lui ci dà il Pane dal Cielo, ma anche che Lui è il Pane dal Cielo perché il Pane del Cielo è la sua Carne.
Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”? Anche oggi, forse più di allora, c’è chi vorrebbe “racchiudere” Gesù nella sua sola umanità. Al massimo si arriva a considerarlo un profeta o un maestro che ci insegna come “salvarci da soli”, alla stregua degli illuminati maestri orientali, ma negando in tal modo il Suo ruolo di Salvatore e stravolgendo il Suo messaggio.
Sicuramente Gesù è il Maestro e noi siamo chiamati a imparare da Lui, a farci suoi imitatori (II lettura); ma è anche il Salvatore, colui senza il quale non possiamo fare nulla (Cfr. Gv 15, 5). È capitato certamente anche a ciascuno di noi, infatti, come ad Elia, di sperimentare la pochezza delle proprie forze dinanzi l’altezza delle esigenze evangeliche. Sicuramente anche per noi c’è stato un momento in cui abbiamo esclamato: «Basta! Non ce la faccio!». È a questo punto che il diavolo, il “principe di questo mondo”, che vuole convincerci che noi siamo il “centro del mondo”, la “misura della verità”, tenta di convincerci che non sono le nostre forze ad essere insufficienti, ma le esigenze ad essere eccessive: «Come si può donare sempre con generosità? Essere sempre benevoli con gli altri anche quando non corrispondono alle nostre attese? Amare tutti con un amore disponibile al servizio gratuito e disinteressato? Come si può perdonare chi ci ha fatto del male? … è follia!». E così, pur chiamati a partecipare della vera Vita che dura per l’eternità, ci accontentiamo di una vita spesso meno che mediocre …
Àlzati, mangia! Gesù conosce la nostra debolezza, sa che abbiamo bisogno di Lui per alzarci dalla nostra mediocrità, vivere la Vita vera dei figli di Dio e camminare verso la piena manifestazione del Suo Regno, per questo viene a donarci Sé stesso come pane; ci dona il Suo Spirito perché possiamo riconoscere il Padre e, animati da sentimenti filiali, realizzare la nostra Vita secondo il Suo progetto d’amore e giungere così alla Felicità.
Solo con la Sua forza in noi potremo liberamente scegliere di non “rattristare lo Spirito Santo di Dio”. Una libertà terribile che non ci esonera dalla fatica del cammino e che implica la possibilità di volgere le spalle alla vera Vita.
Guidati da Maria santissima, accogliamo l’invito della Parola, riconosciamo nel nostro Maestro Gesù Cristo il nostro Signore e Salvatore e accogliendolo nel nostro cuore, impariamo a fare della nostra vita un’offerta d’amore a Lui e ai fratelli.
fr. Marco

sabato 4 agosto 2018

Io sono il pane della VIta

«… la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. … Allora il Signore disse a Mosè: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge …» (Es 16,2-4.12-15)

«… non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri. Voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù …» (Ef 4,17.20-24)

« “… voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà …”. Gli dissero allora: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”. Gesù rispose loro: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”» (Gv 6,24-35)

Nel Vangelo della XVIII domenica del Tempo Ordinario Gesù, dopo la moltiplicazione dei pani, inizia il suo “discorso sul pane” in cui presenta il Pane del Cielo, quello vero, cioè se stesso.
Il racconto evangelico di questa domenica inizia con la folla in ricerca di Gesù. Il Maestro, però, sa bene che cercano solo il loro interesse materiale; lo cercano con un atteggiamento “da pagani”: vogliono solo riempirsi la pancia. Sono ben lontani dall’avere riconosciuto in lui il vero e definitivo Profeta che conduce il Popolo di Dio nell’Esodo dal peccato alla libertà dei figli di Dio.
Gesù esorta questa folla affamata a cercare il Pane della Vita eterna, quello che solo può saziare la più autentica fame dell’uomo. I suoi ascoltatori, però hanno ancora una mentalità “pagana”: pretendono di potersi “acquistare” questo pane, di potere “compiere opere” che ottengano loro la Vita eterna. Gesù torna a correggerli: una sola è l’opera da compiere, accogliere il Pane del Cielo che il Padre ha inviato; credere in Gesù, fidandosi di Lui, riconoscendo di avere bisogno di Lui.
Anche a noi può capitare di cadere nello stesso errore, di comportarci come i pagani con i loro vani pensieri (II lettura). Accade quando cerchiamo Dio quasi come una “polizza assicurativa”, solo per il nostro interesse materiale immediato. Magari può capitarci di pensare che nel compiere le “opere di religione” facciamo qualcosa per Dio, accumuliamo meriti davanti a Lui e, in qualche modo, lo rendiamo “nostro debitore”.
Questa è l’opera di Dio: che crediate … Il Maestro oggi ci mette in guardia: una sola è l’opera fondamentale che ci chiede, fidarci di Lui, credere in Lui e riconoscerlo nostro Signore. Ecco che allora le “opere di religione” acquistano il loro vero senso: non sono qualcosa che noi facciamo per lui, ma la conseguenza della nostra fede nel Signore che ci ama e ci ha donato tutto se stesso. Non più, quindi, qualcosa che noi facciamo per Dio, ma un dono che il Signore fa a noi perché possiamo giungere a quella Pienezza di vita che solo Lui ci può donare.
Fondamentale nel nostro rapporto con Dio è l’atteggiamento di fiducia e Speranza che ci deve animare. È questo che YHWH “mette alla prova” quando, nel dare la manna per il nutrimento del popolo, ordina che se ne raccolga solo il necessario per la razione di un giorno (I lettura); è ancora per questo che Gesù ci ha insegnato a chiedere “il pane quotidiano”.
Fidiamoci di Lui che si prende cura di noi, smettiamo di pensare di poterci “salvare da soli” accumulando beni quasi che siano essi a darci la vita. Se ci disporremo dinanzi a Lui come anawim (i poveri di YHWH) che, pur facendo la loro parte, sanno di potere contare solo su Dio, vedremo le Sue meraviglie e gusteremo quella Vita Piena ed Eterna che Egli è venuto a regalarci.
Maria Santissima, modello della fede, ci conceda di fidarsi sempre del nostro Signore Gesù Cristo e di vivere secondo i Suoi insegnamenti.
Fr. Marco